Formazione: un affare per pochi

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Qualsiasi giornale si stia leggendo, è molto difficile non incorrere almeno una volta nel termine «innovazione». Sono stati fatti studi, date definizioni, scritte molte parole, ma, a mio avviso, poco si è sottolineato come l’innovazione presupponga una adeguata formazione. Anche l’intuizione geniale, per essere opportunamente sfruttata, richiede ci siano almeno conoscenze di base, frutto dello sviluppo della conoscenza. Allora mi chiedo: come mai la formazione fa sempre la figura della Cenerentola? Gli investimenti sono sempre al minimo e fatti solo quando sono proprio indispensabili. Per non parlare del tempo: non ce ne è mai! Il telefono, la richiesta urgente, la trasferta improvvisa… Sono tutte priorità che relegano la formazione agli ultimi posti. Infatti, stando al Manifesto per lo sviluppo della formazione in Italia, redatto da AIF (Associazione Italiana Formatori), i modesti investimenti in formazione, realizzati dal sistema imprenditoriale, hanno relegato l’Italia all’ultimo posto a livello mondiale, fra i paesi industrializzati e al terz’ultimo nell’Europa allargata. A me sembra che delle serie riflessioni andrebbero fatte, sia a livello imprenditoriale che a livello politico, stante la mancanza di una normativa specifica in materia di defiscalizzazione degli oneri sostenuti per gli investimenti in ambito formativo.

Al di là dello specifico investimento, vorrei ancora ricordare come spesso le forniture siano «chiavi in mano», prevedendo, oltre allo strumento acquistato, un pacchetto di ore per il training, ore che spesso vengono talmente diluite nel tempo da perdere di efficacia. Per non parlare dei casi in cui vengono addirittura lasciate morire. Alla domanda «Quando facciamo i corsi?» la classica risposta è «più avanti, ora dobbiamo lavorare!» Ma la formazione non fa parte del lavoro? E come si può pensare di utilizzare al meglio un qualsiasi strumento, da una macchina utensile, a un CAD, a un sistema informativo, se prima non se ne conoscono le funzionalità/potenzialità?

Sono più di vent’anni che frequento uffici tecnici e officine sul territorio italiano e solo due volte mi sono imbattuta in aziende che vedevano nella formazione continua del personale la chiave per il successo, tanto da incentivare chi, oltre ad accettarla, partecipava con impegno. Un altro aspetto è che tutti siamo nati «imparati», per cui facilmente ci si imbatte nell’irrigidimento di chi deve subire l’atto formativo, quasi si avesse l’intenzione di denigrare le competenze acquisite.

Mi piacerebbe anche spendere due parole sulle gratuità: spesso vengono organizzati incontri gratuiti, quali seminari o presentazione di nuove versioni. A mio avviso anche questa è formazione, una formazione assolutamente gratuita che viene svolta, a mio avviso, su due livelli: aggiornamento e arricchimento per scambio di opinioni. Naturalmente anche questa opzione non va. Ed è considerato negativamente anche lo scambio di idee, perché esiste questa sorta di gelosia morbosa nei confronti del proprio modo di lavorare.

Non so, sono molto perplessa. In realtà credo molto nel detto che mi ricorda spesso mia mamma: «Quello che esce dalla porta poi te lo ritrovi che entra dalla finestra». Sarà mai che a fronte di un piccolo investimento, sia esso in tempo, fatica e magari anche denaro, ci ritroveremo, alla fine del buio tunnel della crisi, con aziende più competitive?

E concludo appoggiando in pieno l’invito contenuto nel già citato Manifesto di AIF che «Invita gli organi competenti di Governo, le categorie imprenditoriali, le parti sociali, le strutture bilaterali, le istituzioni formative pubbliche e private, le Università, le strutture di consulenza, formazione e sviluppo individuale e organizzativo, le associazioni professionali, i formatori liberi professionisti a impegnarsi, ciascuno nell’ambito dei propri ruoli, competenze e responsabilità, a mobilitare tutte le energie, a investire tutte le risorse disponibili al fine di invertire in modo determinante e definitivo questo orientamento negativo per l’evoluzione e la competitività del nostro Paese».

di Daniela Tommasi

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