Piccole imprese: forza e debolezza fuori dagli schemi

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Sono momenti difficili per l’economia mondiale e ancora più difficili per le economie di alcuni Paesi, tra i quali l‘Italia. Problemi oggettivi, di identità, di riequilibrio tra i Paesi avanzati e quelli in via di sviluppo, a vari livelli. Che scrivere poi di un’Europa giovanissima e quindi in evoluzione e ormonalmente instabile? Peccato che negli anni siano state dilapidate ingenti risorse finanziarie che, se gestite nell’interesse comune secondo il sacro principio del “buon padre di famiglia”, avrebbero potuto oggi esserci d’aiuto. Malgoverno? Tant’è. Il malgoveno è una costante nel tempo. Ricordo Cicerone che attorno agli anni 70 a.c. ricevette mandato dai Siciliani nella causa contro il tiranno Verre, accusato di avere dissanguato l’isola. L’efficacia delle sue orazioni costrinse Verre all’esilio. Poi il napoletano Masaniello che, a metà del 1600, a fronte dell’esasperazione popolare derivata dalle pesanti gabelle imposte dagli spagnoli sugli alimenti di base urlava “ mora il malgoverno!” e ancora Alessandro Manzoni, Cesare Cantù e moltissimi altri.

Ma L’Italia non è soltanto malgoverno. Essa rappresenta un preziosissimo sistema di imprenditoria, unico nel suo genere, l’impresa famigliare. Un organismo che si perpetua nel tempo, nasce, muore, si rigenera.  Un organismo che si muove su criteri semplici, plasmati sulla persona dell’imprenditore e sulla sua famiglia, rifugge da termini astrusi come “strategie”, “modelli”, “architetture”. Cerca di ottenere il massimo beneficio con il minimo sforzo. Quello che pomposamente chiamiamo marketing è stato messo in atto da sempre dal piccolo imprenditore: scoprire il vero bisogno del cliente significa identificare la linea di minore resistenza per ottenere la massima penetrazione commerciale. Quando, per comodità d ragionamento, cerchiamo di inquadrare e/o ingabbiare la piccola impresa in qualche sorta di schema commettiamo certamente grossolani errori. Anche quando trattiamo della necessità di integrazioni verticali per aumentare la massa critica delle risorse in funzione della globalizzazione, è possibile che commettiamo errori. L’imprenditore può non scegliere questa strada e proseguire velleitariamente su quella dell’individualismo specialistico. Ripensamenti rispetto a precedenti scritti? Forse soltanto revisioni del pensiero vissuti in maniera dinamica osservando il mondo. Anche la scelta di mantenere dimensioni limitate risponde alla logica dell’imprenditore – famiglia e si comprende quindi anche come la figura di un manager esterno sia vista con diffidenza se non con sospetto. Figura non richiesta! Il solido concetto di famiglia italiano, unico nel mondo, rappresenta un caposaldo su qualsiasi altra forma di aggregazione. Tutto positivo lo scenario delle piccole imprese italiane? No, certo. Se così fosse non si sarebbe registrata negli ultimi anni le gravi difficoltà nelle quali anch’esse sono coinvolte. Le cause? La scarsa attitudine a cambiare la propria specializzazione, in particolare verso prodotti a crescita lenta, la scarsa flessibilità intersettoriale e territoriale, la scarsa cultura di impresa – ancora oggi sento sovente ripetere “abbiamo sempre fatto così con buoni risultati” – i difficili passaggi generazionali. Abbiamo un sistema di piccole imprese unico al mondo, atavicamente consolidato  su concetti che si rifanno alla nostra storia agraria. Tutti siamo chiamati a difenderlo e a supportarlo, nonostante sia recalcitrante ai consigli.

di Michele Rossi

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