Il valore delle risorse umane

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Viviamo momenti di grandi contraddizioni. Su tutte le questioni ogni parere è valido così come il suo esatto contrario. Quando però c’è di mezzo il “valore” delle risorse umane nei nuovi contesti economici, il tema comporta implicazioni sociali, prospettive, futuri indirizzi educativi, didattici e culturali.

L’industria opera oggi in un contesto destrutturato e globalizzato. La fabbrica “piatta”, la dislocazione all’esterno delle attività e dei processi, la loro gestione tramite reti di comunicazione, stanno cambiando le logiche di marketing, progettazione, produzione, logistica, servizio. Come cambia il mondo del lavoro? Come cambia la valutazione del “valore” per l’azienda di ogni singola risorsa umana? La democratizzazione del sapere distribuisce ovunque le stesse conoscenze e gli stessi strumenti. Spinta al ribasso valutativo? Non proprio, perché ad ampie disponibilità, corrispondono anche necessità di elevate specializzazioni. Disponibilità, poi, non significa stessa padronanza e capacità di utilizzo. Infine, qualcuno ha un plus. Ma non solo. La complessità e la variabilità delle problematiche di mercato, richiedono apertura mentale, capacità di analisi e di sintesi, visione organizzativa e gestionale. La sola specializzazione non basta. Negli Stati Uniti, la specializzazione limita sovente la conoscenza e la capacità di visione globale dei problemi. In Cina, il livello medio dell’istruzione non ha ancora raggiunto risultati “occidentali” ma i cinesi sono dotati di buona intraprendenza. In Germania, l’inquadramento formativo, accompagnato dalla rigidità delle procedure e delle regole, rende poco agevole una gestione tempestiva delle turbolenze e delle variabilità. In Italia? L’istruzione di ogni grado, nonostante tutto, è nel complesso buona, mirata ad ampliare la mente. Il nostro cervello è particolarmente versato a reagire rapidamente ai cambiamenti e quindi a gestire le turbolenze, quasi sempre con efficacia. Quindi, tutto bene per noi? Certo, no. Purtroppo dobbiamo smantellare una serie di lacci e lacciuoli. A cominciare dalle barriere intellettuali, dai saperi gelosamente custoditi, dai piccoli segreti. Fenomeni a volte scandalosi e che riguardano sia il mondo dell’università e della ricerca, sia il mondo delle imprese. Insicurezza generata dai rapidi mutamenti che ci circondano? Forse, ma l’insicurezza è, sempre e comunque, un segno di debolezza. Un insieme di debolezze che, nel complesso, si trasferiscono nocivamente sul nostro sviluppo, rallentandone la crescita. Ai giovani dobbiamo svelare i cambiamenti e consegnare a loro i segreti per proseguire. Ai giovani dobbiamo avere il coraggio di sconsigliare determinati studi o facoltà universitarie che non portano da nessuna parte. Dire che il loro “valore” sarà sempre più lontano dai processi automatizzabili e sempre più vicino ai processi non di routine, non automatizzabili, nei quali il contributo intellettuale si traduce in risultati di innovazione e di scoperte. Che il loro valore sarà valutato anche per la capacità di lavorare in gruppo, comunque composto, anche in questo caso senza barriere. Capiranno l’importanza delle lingue. Infine, che è giusto avere ambizioni, motivazioni individuali, che portino al proprio benessere e alla propria crescita nella società. Molti nel mondo stanno spingendosi in avanti forti delle proprie aspirazioni. Per inerzia, o peggio ignavia, non vorremmo vedere la corresponsabilità e la progressiva emarginazione di quanti non avranno compreso tutto questo e avranno fatto “spallucce”.

di Michele Rossi

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