Direttiva Macchine: fate presto!

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Alcuni mesi fa, presso la Moldall S.r.l., azienda specializzata nello stampaggio di materiali plastici, si verificò un incidente piuttosto serio e insolito. Lo raccontiamo in breve.

Fatalità e non solo
Due addetti in officina stavano preparando una pressa a iniezione per l’avvio della produzione di alcuni manufatti in plastica.

A un certo punto, uno dei due si accorse che un componente metallico, forse un attrezzo, era inavvertitamente caduto all’interno dello stampo; per tale ragione, decise di recuperarlo. Salì sul macchinario e infilò un braccio in una delle aperture ricavate nel carter di protezione superiore. Nel tentare di raccogliere l’attrezzo metallico, tuttavia, la manica dell’operaio rimase impigliata in una delle sporgenze dello stampo.

In quello stesso momento l’altro addetto avviò il macchinario senza accorgersi di quanto stava accadendo, essendo la postazione dei comandi di controllo leggermente defilata. Inevitabilmente la parte mobile della macchina, nell’avvicinarsi verso lo stampo, schiacciò il braccio del malcapitato. L’imprudenza e la fatalità giocarono un brutto scherzo allo sfortunato operatore, il quale riportò diverse gravi fratture e, attualmente, rischia di perdere il completo recupero della mano.

Die EntscheidungA chi attribuire le responsabilità?
In realtà non si trattò soltanto di imprudenza e fatalità; si evidenziarono infatti gravi responsabilità. Il titolare dell’azienda spiegò che “per avviare la macchina, tutti e due i lavoratori devono trovarsi in prossimità del quadro comandi”, e quindi che “l’infortunio si era verificato a seguito del mancato rispetto della procedura da parte di entrambi i lavoratori”. In realtà, per quanto in buona fede, il titolare dell’azienda rischiava accuse molto gravi come la scelta di rischiose e cattive procedure di lavoro, ma soprattutto quella di un difetto di sorveglianza all’interno dell’officina; ciò avrebbe comportato conseguenze penali nonché il rischio di pesantissimi esborsi economici, soprattutto in caso di mancata assicurazione rischi professionali.

Il titolare, al fine di evitare tali situazioni (in caso di perdita di una mano spetta all’infortunato un rimborso di centinaia di migliaia di euro) o comunque per alleggerire la sua posizione, decise di avviare una causa legale nei confronti dell’impresa costruttrice della pressa, a suo dire responsabile di avere immesso sul mercato una macchina poco sicura, in quanto dotata di protezioni facilmente “aggirabili”, quindi non rispondente alla Direttiva Macchine. Nel caso in esame, in effetti, la pressa risultava alla prova dei fatti pericolosa perché consentiva, senza blocchi di alcun tipo, l’accesso di mani e braccia dall’alto in un’area di lavoro particolarmente rischiosa per via dei movimenti automatici di grandi componenti metallici.

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La chiamata in causa dello stampista
La casa costruttrice della pressa si costituì in giudizio rigettando in maniera netta le accuse; secondo il legale di parte, infatti, la macchina “era marcata CE e rispondeva a tutti i requisiti di sicurezza necessari”; tuttavia, visto l’elevato valore di causa e i rischi connessi a un procedimento del genere, l’azienda costruttrice della macchina decise di chiamare a sua volta in causa l’azienda che aveva fornito lo stampo. I motivi ce li spiega lo stesso legale: «Il funzionamento della pressa è ben descritto nel manuale d’uso; le segnalazioni sono chiare e il corso di formazione è stato correttamente svolto presso il nostro cliente. Pertanto, non riteniamo che alla macchina sia da attribuire il sinistro; oltre all’imprudenza dell’operatore, di cui è responsabile il titolare, riteniamo invece che le cause del sinistro vadano ricercate nello stampo in cui l’operatore è rimasto impigliato». Secondo il legale, infatti, lo stampo in questione era “pericoloso” perché presentava sporgenze nascoste, cilindri e parti mobili e cavità “non segnalate” né illustrate mediante un fascicolo tecnico.

Il costruttore dello stampo, convocato in Tribunale, cadde dalle nuvole: «Non si è mai visto – continuò a ripetere – che uno stampo debba avere un fascicolo tecnico, né segnalazioni di pericolo. Semmai la pressa non deve permettere all’operatore di raggiungere lo stampo».

Su questo punto ci fu una reazione violenta da parte del legale dell’azienda fornitrice della pressa: «Non è vero. Lo stampo può e deve essere raggiungibile per operazioni di preparazione della produzione, per manutenzione, ecc. Quindi deve essere un componente meccanico “sicuro” a prescindere dalla macchina su cui è montato».

foto-d-img_5999La parola al CTU
Il Giudice, ovviamente, non entrò nel merito della questione: troppo tecnica e specialistica per venirne a capo. Incaricò dunque un suo ingegnere di fiducia, il cosiddetto CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio), di redigere una relazione al fine di fare chiarezza sul caso. Ebbene, dopo 3 mesi di indagini, studio dei documenti, ispezioni alla macchina e allo stampo, il CTU, al quale non venne chiesto di occuparsi della responsabilità del titolare, ma solo di valutare i mezzi meccanici, concluse che le cause del sinistro erano da ricondurre a inadeguatezze sia della pressa sia dello stampo.

La pressa, nonostante fosse marcata CE, permetteva l’accesso in area pericolosa anche durante le fasi di movimentazione, dunque non rispondeva in maniera integrale alla Direttiva Macchine.

Lo stampo fu definita dal CTU una “attrezzatura intercambiabile”, in quanto:
-1 è un dispositivo che viene montato sulla macchina, successivamente alla sua messa in servizio, da un operatore al fine di “apportare una nuova funzione” (procedere a un nuovo tipo di produzione);
-2 non è un utensile;
-3 è un componente che viene assemblato seguendo le indicazioni del suo costruttore.

I punti 1), 2) e 3) costituiscono una sorta di riepilogo della definizione che la Direttiva Macchine 2006/42/CE dà di una “attrezzatura intercambiabile”.

Così finì la questione
Il CTU concluse la sua relazione scrivendo che «lo stampo è a tutti gli effetti una “attrezzatura intercambiabile” e come tale deve rispondere ai requisiti e agli obblighi previsti dalla Direttiva Macchine, con tanto di targa di certificazione, istruzioni per l’uso che ne consentano un sicuro uso e una facile installazione sulla macchina base, ecc.»

Il giudice, pertanto, sentenziò che lo stampo, quale “attrezzatura intercambiabile” e la pressa, quale “macchina”, avevano contribuito in pari misura al verificarsi del sinistro in oggetto, in quanto entrambi non rispondenti ai requisiti previsti dalla Direttiva Macchine.

foto-bokCaso ipotetico…, ma non troppo!
È all’ordine del giorno il problema se considerare o meno gli stampi all’interno della Direttiva Macchine. Gli esperti del settore hanno diverse posizioni in merito. Alcuni “vedono” lo stampo, a prescindere dai suoi elementi costitutivi (cilindri, valvole, sistemi di riscaldamento, ecc.) un elemento meccanico “inerte”, una sorta di utensile a sé stante ed “estraneo” alla macchina. Altri sostengono invece che gli stampi debbano essere considerati all’interno della Direttiva, e come tali debbano rispondere ai relativi obblighi: l’accompagnamento di un manuale tecnico, la marcatura CE, ecc. Tali obblighi costituirebbero da una parte un costo produttivo supplementare per le aziende, dall’altra aiuterebbero ad accrescere la sicurezza e a responsabilizzare i costruttori, “elevando” il prodotto europeo rispetto a quelli extraeuropei, in genere di minore qualità e più pericolosi da utilizzare. La comunità tecnica del settore, in Italia e in Europa, discute dunque sul tema, ma ancora non si è giunti a una soluzione univoca; esistono anche posizioni “intermedie”, come quella per esempio di ISTMA Europe, per la quale ogni caso deve essere valutato singolarmente. La discussione è dunque lanciata; ne prendono parte stampisti, commissioni, associazioni, tra cui UCISAP (l’Unione Costruttori Italiani Stampi & Attrezzature di Precisione), organizzando convegni e vagliando proposte; e anche la nostra rivista è attiva sul tema.

Ciò che abbiamo voluto mettere in evidenza in questo articolo è che l’impegno della comunità tecnica, se andasse troppo per le lunghe, potrebbe essere “mortificato” (nel senso di “reso inutile”) da una decisione di un Giudice nel contesto di una causa civile come quella proposta nella nostra “simulazione”. Il Giudice, quindi, dopo aver espletato tutte le indagini del caso mediante l’ausilio di un CTU, avrebbe la facoltà di decidere autonomamente se uno stampo deve o non deve essere considerato all’interno della Direttiva Macchine. E poiché nei Paesi occidentali il ruolo della giurisprudenza è essenziale, soprattutto in caso di “buchi normativi”, la sentenza potrebbe influenzare il giudizio in successivi casi analoghi; potrebbe cioè costituire un precedente decisivo con buona pace delle riunioni dell’UCISAP, delle commissioni tecniche e degli stampisti.

L’invito che dunque viene rivolto alle commissioni, alle associazioni e ai lettori è «Fate presto!». Si tratta di una questione non più procrastinabile e, soprattutto, che deve essere affrontata “di petto” dagli esperti del nostro settore, e che non può essere delegata a un Giudice, o più propriamente a un CTU, il quale potrebbe non avere la necessaria “visione d’insieme” che invece meriterebbe un problema di simile ampiezza.

Nota per il lettore
La “simulazione” che abbiamo proposto in questo articolo, sebbene costruita con riferimento a fatti e situazioni di fantasia, descrive una situazione realistica, che potrebbe realmente verificarsi in futuro, anche a breve. Potrebbe cioè accadere che un Tribunale venga chiamato a giudicare le responsabilità di un ipotetico incidente accaduto nel contesto di un’officina, per esempio nell’ambito della costruzione o dell’utilizzo di uno stampo, e sia chiamato quindi a valutare se lo stampo sia o meno una “attrezzatura intercambiabile” oppure una “quasi macchina”, cioè debba rientrare all’interno della Direttiva 2006/42/CE.

Gli obblighi della Direttiva
La Nuova Direttiva Macchine è un insieme di regole definite dall’Unione europea che si prefiggono di stabilire i requisiti essenziali relativi alla progettazione, alla costruzione e al funzionamento delle macchine al fine di migliorare le caratteristiche di sicurezza dei prodotti prima che vengano immessi sul mercato europeo. Si applica a diverse tipologie di macchine e attrezzature, tra cui le cosiddette “attrezzature intercambiabili” (eccetto gli utensili) e le “quasi-macchine” (sistemi destinati a essere incorporati in un’altra macchina o apparecchio per costituire una macchina nuova). “Quasi macchine” e “attrezzature intercambiabili” sono le tipologie comprese nella Direttiva che più si avvicinano al concetto di stampi.

Se gli stampi venissero considerati quasi macchine o attrezzature intercambiabili, i costruttori, per rispondere ai requisiti della Direttiva, sarebbero costretti ad assolvere diversi obblighi. Ne citiamo solo alcuni: redigere e conservare una “Documentazione Tecnica Pertinente” (per le quasi macchine), riportare sullo stampo l’indicazione del nome e dell’indirizzo del fabbricante, la marcatura CE (o la “dichiarazione d’incorporazione” per le quasi macchine), la serie e il tipo di prodotto, l’anno di costruzione, ecc. I prodotti non rispondenti ai requisiti della Direttiva non possono accedere al mercato comune europeo e quindi nemmeno a quello italiano.

Il presente articolo è stato redatto dall’ing. Vittorio Pesce, consulente tecnico d’ufficio del Tribunale di Milano, che non di rado svolge indagini per il Giudice nell’ambito di controversie che hanno per protagoniste aziende operanti nel mondo degli stampi.

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