Avanti, con riflessione

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In tempi di economie volatili, ogni scelta aziendale è difficile e la riflessione pratica dovuta, se non si traduce in immobilismo. Gli investimenti in beni durevoli in Italia ristagnano dal 2008. Un pericoloso immobilismo! Negli ultimi tre anni gli investimenti nel manifatturiero hanno però segnato una ripresa. L’export ha ricominciato a tirare con buoni risultatati. La nostra riflessione agli imprenditori non può che essere «proseguite così». Eravamo preoccupati che la propensione al rischio che ha fatto dell’economia italiana una delle maggiori potenze europee e tutt’ora la seconda nel campo manifatturiero, potesse tramontare. Attenti però: il parco macchine medio è ancora vecchiotto. Pochi buoni esempi non fanno economia. Da tre anni un grande tema aleggia sulla nostre teste: la Fabbrica digitale. L’entusiasmo delle grandi società di consulenza è alto, quello della comunità scientifica anche, per non parlare di quello dei grandi «giocatori» dell’informatica e dell’automazione. La Fabbrica digitale sarà il motore propulsore delle economie mondiali! Grandi scenari, grandi architetture, grandi configurazioni. Grandi strategie. Molte teorizzazioni. I governi propongono strumenti finanziari per incentivare gli investimenti nelle tecnologie abilitanti prescelte. Anche il governo italiano. Ben vengano. La «macchina» si sta muovendo. Molte le aspettative ma sono ancora molte le incertezze più o meno fini sulle ammissibilità tecnologiche. I piloti di Formula 1 del manifatturiero sono sulla griglia di partenza. Il saggio dice «i finanziamenti non siano l’obiettivo, ma lo strumento per realizzare l’obiettivo!» I rischi dell’inerzia possono essere pesanti.

La Fabbrica digitale è una buona idea, un’occasione per ripensarsi, per mettere meglio a fuoco il proprio futuro competitivo. Forse anche una via obbligata. Ma la Fabbrica digitale è partita gravata di un peccato originale. I comunicatori l’hanno vista con il binocolo, a bordo di un drone. Quindi, non hanno potuto vedere l’imprenditore che in officina con un colpo d’occhio guarda il numero dei pezzi da fatturare, che manda avanti un lotto per fare girare la macchina, che prende decisioni tempestive per fare andare avanti una buona commessa, che sposta persone e cose alla bisogna. Questo personaggio è in simbiosi con gli strumenti e gli uomini che conosce e che sa valutare, per fiuto, per esperienza. La Fabbrica digitale è un’altra cosa. È più impalpabile, la sua finalizzazione richiede lungimiranza e la visione di «volere trasformare il valore della propria azienda in un asset immateriale a maggior valore». Stiamo scrivendo in «politichese»? Forse. Proviamo allora a scrivere di «integrazione», «connessione», «gestione intelligente di dati», «trasformazione del proprio modello di business». Più comprensibile? Speriamo di sì, perché di questo si tratta quando si parla di Fabbrica digitale. È proprio una rivoluzione, ma non, come dicono e scrivono in molti, di tipo tecnologico. È una rivoluzione culturale. Per immaginarla l’imprenditore deve perlomeno arrampicarsi fino a raggiungere un posto strategico sulle travi del capannone, ma in alto. Quindi, avanti, ma con riflessione, prima di cadere.

di Michele Rossi

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