Stampi: il miracolo italiano

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L’industria tricolore degli stampi è più che mai l’autrice di un ininterrotto miracolo. Quello cioè di riuscire a competere nel mondo pur muovendosi in un ambiente che ben poco fa per favorire il business. Nonostante la crisi abbia inciso sul mercato interno i cui numeri sono leggermente sotto quelli pre-2008, nel campo degli stampi plastica essi sono già da quattro anni superiori a quelli generati tipicamente sino al 2007. Degli 1,5 miliardi di euro delle produzioni ben 800 milioni provengono dalle vendite all’estero, ma il dato fondamentale è che queste vendite vengono realizzate in larga maggioranza nei Paesi a più elevato valore aggiunto. E, va da sé, derivano «non già dai più banali stampi apri-chiudi ma dalle lavorazioni più complesse», secondo quanto osservato dal direttore generale di Ucisap (Unione dei costruttori italiani di stampi e attrezzature di precisione), Giovanni Corti, in occasione del recentissimo convegno Stampi & Co. Né sussistono troppi motivi per lamentarsi sul fronte degli stampi-lamiera, posizionati su un valore della produzione di 292 milioni; o su quello degli stampi per metallo duro che dopo un riassestamento valgono 724 milioni (col 50% di export). Innovare resta tuttavia necessario per continuare a concorrere in tutti i continenti e il percorso di cambiamento non riguarda solamente le tecnologie. Anzi, interessa ben di più il modello organizzativo delle imprese che devono passare da una forma di gestione verticistica e piramidale a una orizzontale, «diffusa». Il mondo nuovo di Industria 4.0 impone «un planning sincronizzato e l’integrazione dei processi a valle e a monte della filiera». L’obiettivo è guadagnare: ovvio. Oggi però le metodologie per arrivare al successo mutano e in primo luogo le aziende sono chiamate a ridurre sprechi e inefficienze, col supporto dell’It.

 

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