Gamification: il gioco dell’eredità

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Presente in Italia con otto sedi e trenta partner e con uno staff da oltre 300 persone, RSM è una società di revisione contabile e consulenza di respiro globale, che presidiando più di 120 Paesi genera un fatturato annuo superiore ai 5,7 miliardi di dollari. Nel paniere dei servizi e delle prestazioni che il gruppo propone alla sua clientela internazionale si sono fatte strada col tempo anche le iniziative basate sulla gamification. Quindi, sull’utilizzo di strumenti e scenari ludici – videogame inclusi – a scopo di formazione, gestione delle risorse umane, risoluzione dei problemi. «Il gioco», ha spiegato a Stampi il partner Luca Pulli, «permette di accelerare e potenziare la co-creazione a quattro mani coi clienti di sfide e relative soluzioni. È il meccanismo del cosiddetto design thinking, la realizzazione di challenge mirate a un obiettivo specifico che servono per sviscerare e affrontare tematiche delle più complesse. Il gaming, si basi su un videogioco piuttosto che sull’uso dei mattoncini del Lego per il quale RSM è certificata e autorizzata, è coinvolgente e trasversale. È una metafora che crea una forma di apprendimento interattivo, dinamico, immersivo». Le sue stesse caratteristiche sono tali da suscitare il pieno interesse anche dei più restii e riservati, secondo Pulli, e le metodologie studiate dalla sua società, specializzata altresì nell’organizzazione lean, consentono di valutare l’andamento della curva di apprendimento in diretta, in tempo reale. «Questo», ha continuato, «è molto più difficile in contesti diversi e ricorrendo ad altri metodi. Mentre gioca, una persona genera dati ed elementi di studio comportamentale e la sua azione può essere analizzata immediatamente. Per questo la cultura del gioco si diffonde; e il mercato cresce».

Non solo video

Le piattaforme utilizzate non sono l’essenziale, che è invece rappresentato «dall’applicazione e fruizione delle logiche tipiche del gioco allo scopo di facilitare e rendere più efficace l’approccio alle problematiche concrete di un’impresa». Divenuta parte integrante e «quasi preminente» del business di RSM, la gamification non è solo videogame. «Certo», ha osservato Pulli, «il videogioco è più performante ma anche più costoso e i giochi di ruolo o di carte danno esiti comunque ottimi». Oltre che i budget, contano le strategie e la creazione di una cultura adeguata presso gli interlocutori e questo è un passaggio preliminare realizzato attraverso l’organizzazione di workshop e incontri, di «educazione dei clienti» e definizione del design thinking, delle sfide da affrontare e dei traguardi. Lego e giochi sono fattori-chiave della decostruzione e riorganizzazione dei paradigmi operativi e della possibilità di abbattere ed estendere i confini dell’attività industriale, accrescendo l’attenzione. Se questa è la teoria, la pratica sul campo dice persino di più. Per esempio, guardando alla vicenda vera di un produttore farmaceutico italiano con circa 30 addetti alle sue dipendenze e un difficile nodo da sciogliere: quello cioè del passaggio di testimone dal fondatore all’erede diretto, il figlio. «In questa situazione, come peraltro in altre analoghe», ha raccontato Luca Pulli, «si era venuta a creare una spaccatura simile a quella del tifo sportivo fra i sostenitori della vecchia guardia, per lo più i dipendenti storici; e i simpatizzanti del ricambio, in generale più giovani. Il progetto di RSM è qui ancora in via di completamento (l’intervista è stata realizzata a metà maggio, ndr) e, appunto, non è basato sui videogiochi ma su interviste one-to-one e su un gioco di carte di nostra ideazione».

Liberare le emozioni

Si tratta dello ethno-game che prevede una serie di domande a sorpresa, customizzate però a seconda delle esigenze del cliente, spesso scottanti o imbarazzanti; oppure la richiesta di commentare immagini o fotografie e, ancora, di eseguire un disegno a mano libera, magari un ritratto del capo. «Stimola le emozioni», ha detto Pulli, «e la loro libera espressione, tanto che non di rado le sessioni di ethno-game sono anche quelle che durano di più e permettono di riempire quaderni interi di appunti. Sino a questo momento l’esperienza ci ha consentito di mettere in luce un fraintendimento. I fan della dirigenza uscente stimavano profondamente anche il successore e le loro paure non erano dovute al passaggio generazionale in sé quanto invece alle possibili reazioni da parte del mercato». La prossima puntata dell’operazione fa leva perciò su un progetto di coaching esteso a tutto il personale. Altrove, nel settore orafo, contrasti e tensioni scuotevano e dividevano il personale dell’amministrazione da quello dei reparti produttivi e per ricomporle, stavolta, RSM si è affidata ai videogiochi. Le diverse funzioni aziendali sono state inserite però in un’unica squadra, proprio per far comprendere loro che la partita da vincere era la stessa per tutti. Lo scopo dell’esperimento collaborativo era fare sì che ognuno si mettesse nei panni dell’altro e il punteggio ha non a caso premiato non soltanto il livello di performance dei giocatori, bensì soprattutto quello di empatia. Ovvero, la capacità di immaginare, se non altro, le sensazioni provate da un collega impegnato in un ruolo diverso quando si trova in una circostanza determinata. «Gli avatar utilizzati», ha detto Pulli, «avevano il volto di operai e impiegati; nel gioco sono fluite frustrazioni percepite davvero». Il cinema – le scene di culto di Karate Kid – e i videogame hanno lavorato in parallelo nello scenario ludico di Katà 4.0, ancora una volta inventato da RSM per conferire maggiore efficienza ai processi di un produttore di elettronica da poco passato sotto il controllo di una multinazionale francese. «Dopo avere analizzato la questione con un incontro-tavola rotonda», ha ricordato Luca Pulli, «abbiamo sviluppato un gioco, Katà 4.0, nel quale erano riprodotte le 12 fasi della filiera produttiva e dove il jackpot finale consisteva nell’eseguirle nella sequenza corretta e senza intoppi. La filosofia del Maestro Miyagi con il suo celebre metti la cera e togli la cera, per educare il giovane Daniel all’esecuzione quasi automatica delle mosse del karate, è servita a interiorizzare i 12 step. E l’analisi comportamentale ha fatto sì che identificassimo quelle più critiche, esposte agli errori». Cosicché a finire inevitabilmente al tappeto è stato tutto quel che ostacolava la fluidità del lavoro.

 

 

 

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