Gamification: c’è gioco e gioco

Condividi

Il dinamismo che tipicamente caratterizza le piccole e medie imprese italiane nei settori della manifattura e della meccanica le rende destinatarie e fruitrici ideali dei percorsi di gamification. La metodologia semplifica infatti la trasmissione di nozioni relative alla gestione del cambiamento o change management; al codice etico o alla sicurezza. È quindi uno strumento di formazione che migliora l’approccio anche a temi solitamente considerati di secondaria importanza rispetto ad altri oppure, banalmente, più noiosi che utili. Permette infine di raggiungere efficacemente le funzioni che, per via delle specifiche mansioni svolte, è più difficile tener sedute in un’aula o dinanzi a un pc. I commerciali e la forza vendita, per esempio o i manutentori, coi quali è certamente più agevole e fruttuoso interagire mediante contenuti veicolabili via smartphone e perciò accessibili ovunque. Questi sono alcuni dei pilastri della filosofia di OSEL, nata come spin-off dell’Università degli Studi di Bari e dal 2009 attiva come S.r.l. in particolare nell’ambito del digital learning. Business game e gamification fanno parte della sua offerta e anzi stanno acquisendo un peso via via crescente anche nella relazione coi grandi clienti. Ma sono due concetti distinti, come a Stampi ha spiegato il cofondatore Agostino Marengo, docente di informatica nella prestigiosa Università del capoluogo pugliese e presso l’ateneo LUMSA di Roma. «Il primo», ha spiegato, «è l’apprendimento attraverso il gioco e l’inserimento in ambienti virtuali entro i quali, immedesimandosi con un avatar, devono essere prese decisioni relative a una precisa situazione. Quando vi si introduce anche un meccanismo competitivo, di sfida, per esempio con quiz a punti e una classifica, si entra nel territorio tipico della gamification».

Adatti alla manifattura, utili ai servizi
Il professor Marengo e il suo socio, il professor Alessandro Pagano, da anni collaborano in pubblicazioni scientifiche a livello internazionale. Il team ha pubblicato circa 50 paper in conferenze internazionali e journal e hanno coordinato ben 6 progetti europei finanziati nell’ambito delle call TEMPUS e ERASMUS+ con partner russi e arabi; OSEL (acronimo per Open source e-learning, data l’iniziale specializzazione), infatti, assegna alla ricerca e comunicazione un ruolo centrale nel quadro del suo modus operandi. «I giocatori», ha detto Marengo, «devono capire subito quel che si chiede loro. Rispondere a domande o sondaggi, fare clic sull’uno o l’altro tasto, agire per vincere. Ma al tempo stesso, e fermo restando che il game deve restare semplice, vanno guidati e, soprattutto, coinvolti. Non devono mai avere l’impressione errata che questa attività stia sottraendo tempo al loro vero lavoro. La ricompensa finale, cuore della gamification, è lo stimolo per continuare a migliorarsi rispettando al contempo le regole del gioco».
Meccanismi e scopi possono essere comuni e trasversali a più settori dell’industria e dei servizi come hanno dimostrato le iniziative di formazione sulla gestione del cambiamento. «Per le imprese», ha proseguito l’intervistato, «è un passaggio critico perché modifica la gestione dei processi. Siamo partiti dal classico della formazione manageriale intitolato Chi ha spostato il mio formaggio? sostituendo ai topini protagonisti del libro dei leoni il cui scopo era procacciarsi delle bistecche e chiedendo ai partecipanti di rispondere, per sfamarsi, a serie di domande e quesiti a più livelli. In manifattura si può usare questo scenario per il training su nuove macchine e tecnologie». Fra i principali clienti di OSEL, più volte ospite della Columbia University di New York, c’è una multinazionale manifatturiera bergamasca, per la quale è stato sviluppato un business game finalizzato alla conoscenza e all’interiorizzazione del codice etico societario. L’ambientazione riproduceva la struttura avveniristica della sede e quanto fatto non è stato che un passo del percorso verso altri traguardi. Coi giochi s’è parlato di gestione della qualità, IT, protezione dei dati.

Il ruolo degli HR manager
Un esempio – comprensibilmente – molto caro a Marengo è quello di House of Sky, creato appositamente per i 700 addetti del contact center della nota pay tv, per valutarne le conoscenze e formarli in relazione al palinsesto. Contestualmente, lo scopo era quello di renderli più partecipi della vita dell’azienda. Replicando il set della fortunata serie House of Cards, si è dato modo ai 700 concorrenti di giocare su totem distribuiti in sede, computer o telefonini. Il paradigma era ancora una volta quello dei quiz e non solo la correttezza delle risposte, ma anche la rapidità nel darle, era premiata con punteggi dai quali scaturiva una classifica provvisoria settimanale. I finalisti, due, si sono poi confrontati nel corso di un mega-evento finale, di fronte al resto dei competitor. «Si è trattato», ha ricordato il docente e cofondatore di OSEL, «di uno dei nostri primi lavori importanti sui Serious game. Il livello di coinvolgimento, molto elevato, è stato ottenuto sia grazie all’utilizzo delle scene del serial; sia grazie alla capacità di comunicare dei responsabili delle risorse umane, molto efficaci nello spiegare senso e finalità del gioco».
Anche una banca di prima grandezza si è rivolta a OSEL per creare un gioco sulla gestione delle differenze culturali allo sportello; e una analoga dinamica può esser però trasferita alle Pmi dove sempre più spesso uomini di diverse etnie si alternano ai centri di lavoro e nei reparti. L’idea è stata un giro del mondo virtuale le cui varie tappe erano tenute insieme dal filo rosso della gastronomia; e che si concludeva con un momento di confronto e di riflessione sulla multiculturalità. «Business game e gamification», ha concluso Agostino Marengo, «possono favorire la conoscenza fra dipendenti e favorire la relazione fra l’azienda e gli addetti, agevolare l’inserimento di nuove leve e correggerne le eventuali lacune. È formazione, sì, ma riesce a risultare appassionante una volta che l’imprenditore ha identificato con precisione quali siano i percorsi che più lo interessano; riuscendo a interessare la forza lavoro».

FRA SCHERMO E REALTA’
Il business game ideato da Osel per il contact center di Sky Italia si è basato sì sulla celebre serie House of Cards, ribattezzata House of Sky, e ha immaginato che i dipendenti-concorrenti fossero candidati alla presidenza degli Sky Uniti. Per praticare il gioco, anche su totem e postazioni ad hoc all’interno delle sedi, ci si poteva immedesimare in avatar ideati al momento oppure tratti dalle varie specialità del network televisivo: da Valentino Rossi a Genny Savastano passando per Fabio Caressa. La sfida era d’altra parte combattuta a colpi di quiz che avevano per leitmotiv il palinsesto dei vari canali tematici: dallo sport al cinema, all’intrattenimento e all’informazione. I quesiti a risposta multipla potevano esser risolti anche con il classico aiuto del computer, su richiesta: in tal caso una delle opzioni sarebbe stata eliminata, facilitando la risposta, dall’intelligenza del sistema. Ispirata al blockbuster con Kevin Spacey anche la finalissima, coi nomi dei due partecipanti rimasti in lizza annunciati e presentati dinanzi a una gremita platea proprio dai protagonisti della fiction, con uno escamotage scenografico che ha permesso un’ultima immersione nella stanza dei bottoni.

 

Articoli correlati