La Brexit in 10 punti

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Ombre e luci sul nuovo scenario europeo dove il Regno Unito è ufficialmente uno stato terzo.

Dal 1° gennaio 2021 il Regno Unito è ufficialmente uno stato terzo, non facendo più parte dell’Unione europea. Infatti, dopo quasi quattro anni, il 31 gennaio 2020, a mezzanotte, si è dato avvio alla fase di perfezionamento dell’accordo per l’uscita, con l’inizio del cosiddetto periodo di transizione, che è durato per tutto l’anno. Negli 11 mesi dello scorso anno, imprese, istituzioni e cittadini hanno avuto modo di organizzarsi, grazie a un lasso di tempo utile per garantire loro di affrontare al meglio la nuova condizione del mercato. Procediamo, allora, per gradi e analizziamo le novità per industrie e imprenditori, focalizzandoci su dieci punti che ci aiuteranno a capire cosa cambierà nel rapporto con il Regno Unito.

1. L’iter d’uscita

Se il percorso per l’uscita dalla Ue era stato già intrapreso a partire da giugno 2016 con il referendum, in realtà le aziende si sono trovate a dover affrontare ancora le numerose questioni pendenti, non potendo contare su un accordo di massima, e vacillando nel buio in mancanza di un’effettiva regolamentazione. Nel 2020, quindi, tra crisi pandemica e procedure d’uscita, la politica anglosassone è stata messa a dura prova, anche in considerazione della possibile hard Brexit, nel caso in cui non si fosse raggiunto un accordo con l’Ue entro fine 2020. Senza troppo ottimismo, un no deal avrebbe messo in ginocchio il paese, con disastrose conseguenze economiche. Da marzo 2020, quindi, è stato dato avvio ai negoziati, e l’Ue ha trattato l’UK come un vero e proprio paese terzo, provando a normare tutte le questioni procedimentali, commerciali e istituzionali, ex novo.

Quando ormai sembrava sempre più difficile arrivare a un punto d’incontro, e sembrava sempre più plausibile il cosiddetto divorzio “sanguinoso”, il 24 dicembre è stata raggiunta l’intesa sulle modalità di recesso del Regno dalla Ue. Con oltre 1200 pagine, l’accordo ha disciplinato le principali tematiche, stabilendo una serie di sostanziali cambiamenti, tuttavia non proibitivi, in diversi settori – dal commercio di beni a quello dei servizi, dalla libera circolazione delle persone alla mobilità lavorativa, dai contratti agli investimenti. E se da un lato l’accordo ha reso meno traumatica l’uscita dell’UK dall’Ue, si sono però smossi tanti equilibri, soprattutto per Londra, che dovrà ora negoziare trattati commerciali con una quarantina di paesi extra Unione, con l’obbligo di non peggiorare le precedenti condizioni già concordate.

 

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