Implicazioni della pneumatica nella medicina delle patologie respiratorie

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Nella pneumatica applicata alla ventilazione si è passati negli anni da dispositivi totalmente meccanici a soluzioni con microprocessori altamente evoluti e innovativi accorgimenti funzionali.

La pneumatica, dal greco πνευματικο′ς (“pneumatikos, proveniente dal vento”), è una branca della fisica e della tecnologia che studia il trasferimento di forze mediante l’utilizzo di gas in pressione. Partendo da questa definizione lo stesso sostantivo “pneumatica” è certamente valido anche per definire un’azione che è l’esatto reciproco di quanto sopra ovvero: la pneumatica studia il trasferimento di volumi di gas mediante l’utilizzo di forze che ne condizionano la pressione. È questo il caso della respirazione (1). Dal punto di vista meccanico-pneumatico l’apparato respiratorio può essere esemplificato con un modello analogo costituito da una pompa a volume, del tipo alternativo a stantuffo a effetto singolo (2), così come schematizzato nella Figura 1. Infatti, esistono importanti analogie di funzionamento tra il modello di dispositivo pneumatico rappresentato nella Figura 1 e le strutture anatomo-funzionali che danno luogo al ciclo respiratorio vero e proprio.

Nel modello analogo meccanico una coppia rotoide (vedi la freccia semicircolare) dà luogo al movimento del sistema biella-manovella che produce alternativamente:
a) uno spostamento verso sinistra dello stantuffo (fino al punto morto prossimale alla manovella) che dà luogo a un aumento del volume d’aria contenuto nella camera cilindro in quanto questa inizialmente aumenta il suo volume per cui, come afferma la ben nota legge di Boyle, la sua pressione interna diminuisce rispetto alla pressione atmosferica generando un flusso netto di aspirazione che cessa quando lo stantuffo raggiunge nel cilindro il punto morto prossimale alla manovella;
• trasferendo il fenomeno di cui in (a) al ciclo respiratorio, si ha inspirazione d’aria nel recipiente polmonare a causa dell’azione della muscolatura inspiratoria (questa è prevalentemente costituita dal muscolo diaframma e dai muscoli intercostali esterni) che deforma il complesso polmone-cassa toracica in toto nel senso di una sua espansione, producendo quindi una analoga depressione all’interno che dà luogo al flusso d’aria inspiratorio e, come nel modello meccanico, nei polmoni si raggiunge il picco di massimo volume inspiratorio per cui le pressioni interne ed esterne a essi si equilibrano, dando luogo alla pausa
b) uno spostamento verso destra dello stantuffo (fino al punto morto distale alla manovella) che, aumentando la pressione dell’aria all’interno della camera cilindro rispetto alla pressione atmosferica, genera un flusso di mandata dell’aria verso l’esterno;
• di nuovo, trasferendo il fenomeno di cui in (c) al ciclo respiratorio, si ha espirazione dell’aria dal recipiente polmonare verso l’atmosfera a causa della contrazione delle fibre elastiche inserite nel tessuto polmonare che, avendo accumulato energia durante il loro stiramento causato dall’azione della muscolatura inspiratoria, adesso la restituiscono sotto forma di pressione centripeta sui polmoni, questa assume valori positivi rispetto alla pressione atmosferica invertendo quindi il gradiente pressorio, nel senso di polmoni versus atmosfera, da cui la riduzione del volume del recipiente polmonare a causa di un efflusso d’aria che cessa quando finisce la contrazione volumetrica del polmone e si riequilibrano le pressioni tra interno ed esterno dei polmoni, dando luogo alla pausa espiratoria (3) (tuttavia, in condizioni di esigenza dell’aumento della quantità d’aria da far circolare nei polmoni, si genera una espirazione forzata dovuta alla contrazione della muscolatura accessoria all’espirazione costituita principalmente dai muscoli intercostali interni e addominali).

Risulta interessante il fatto che, sul piano della reciproca disposizione meccanica, il modello analogo della Figura 1 si può considerare come connesso in parallelo con la pompa alternativa respiratoria in quanto le rispettive fasi di aspirazione-inspirazione e di mandata-espirazione sono in fase tra loro: in entrambi i dispositivi l’immissione d’aria è causata da una riduzione di pressione interna mentre l’emissione d’aria è causata da un aumento della stessa pressione.

Nella Figura 2 sono schematizzate, con un approccio grafico manuale, le variazioni in funzione del tempo del volume corrente dell’aria contenuta nei polmoni, in ml (a), delle corrispondenti variazioni di pressione intra- polmonare (b) espresse in mmHg o Torr e delle conseguenti variazioni del flusso d’aria transpolmonare (c) in ml/sec (4). La finalità del ripetersi di cicli respiratori è quella di mantenere costanti le pressioni parziali dell’ossigeno (PO2) e dell’anidride carbonica (PCO2), fisicamente disciolti nel sangue arterioso, rispettivamente ai valori di 100 Torr (13,33 KPa) = normossia, e 40 Torr (5,33 KPa) = normocapnia, grazie ai gradienti di tali pressioni parziali che si istaurano a livello dell’interfaccia tra epitelio degli alveoli ed epitelio dei capillari polmonari. Infatti, a livello del mare le PO2 alveolare e del sangue venoso che giunge ai capillari polmo- nari sono rispettivamente di 100 Torr e 40 Torr mentre le corrispondenti PCO2 sono rispettivamente di 40 Torr e 46 Torr (6,13KPa). Questi gradienti alveolo-capillari di pressione parziale consentono la condizione di normossia e normocapnia del sangue arterioso e sono strettamente mantenuti da istantanee variazioni di volume, pressione e flusso respiratorio che vengono attuate a tal fine da un complesso sistema di controllo neurochimico (5).

La pneumatica applicata alla ventilazione polmonare meccanica

Come si è visto nel precedente capitolo, normalmente l’inspirazione genera una pressione intrapolmonare negativa, che determina un gradiente pressorio dall’atmosfera verso gli alveoli polmonari, con un conseguente afflusso d’aria verso questi ultimi. Per questa ragione, i primi ventilatori meccanici erano dei dispositivi che tendevano a rinforzare-sostituire l’azione della muscolatura inspiratoria ai fini di creare nei polmoni la necessaria caduta di pressione che favorisse l’inspirazione(6). Per tutto il XIX secolo e la prima metà del XX secolo il ventilatore a pressione negativa era il dispositivo dominante che veniva utilizzato per fornire assistenza ventilatoria. La prima descrizione di un ventilatore a pressione negativa è stata quella di un ventilatore a corpo intero. Questo ventilatore a serbatoio è stato descritto per la prima volta dal medico scozzese John Dalziel (7) nel 1838 (Figura 3). Egli ebbe l’idea innovativa consistente nel fatto che una pressione sub atmosferica, applicata ritmicamente al corpo del paziente e in fase con la respirazione, avrebbe potuto alleviare il deficit respiratorio. Come mostra la Figura 3, il paziente stava seduto all’interno di un box ermeticamente chiuso, dal quale però emergeva la testa, e la pressione negativa veniva generata manualmente tramite una pompa aspirante-premente a stantuffo e la pressione interna alla camera di decompressione veniva misurata tramite un manometro il cui quadrante era posto all’esterno, dallo stesso lato della pompa. In seguito, sono stati attuati vari ventilatori a serbatoio in Europa, Stati Uniti e Australia, che però erano tutti chiaramente simili nel design e nel concetto a quello di Dalziel. I vantaggi del serbatoio contenitore a pressione negativa rispetto ai dispositivi a pressione positiva erano che il viso del paziente era libero e la pressione negativa non causava l’insufflazione gastrica. Tuttavia, la sua efficacia era limitata nei pazienti poliomielitici con paralisi bulbare la quale induce ostruzione del- le vie aeree per cui è necessaria la frequente aspirazione delle secrezioni bronchiali.

Nel 1904 Ferdinand Sauerbrach (8), medico chirurgo dell’Università di Lipsia, sviluppò un’intera camera di lavoro in ipobarismo a forma di cubo trasparente con lo spigolo di 2,5 metri (Figura 4). In questa struttura, il corpo del paziente, tranne la testa, veniva posto all’interno della camera la quale era abbastanza grande da consentire che un chirurgo fosse in grado di eseguire interventi al suo interno. La parte inferiore del corpo del paziente era racchiusa in un sacco flessibile in modo che si potesse applicare una pressione positiva a questa parte del corpo, prevenendo in tal modo l’accumulo di sangue nell’addome e negli arti inferiori che può dar luogo al così detto tank shock.

 

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