Misura della deformazione mediante Digital Image Correlation (DIC)

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La misura delle deformazioni è un’attività sperimentale che, nella maggior parte dei casi, viene effettuata tramite estensimetri, che, pur fornendo una misura molto precisa, consentono di ottenere valori di deformazione puntuali, localizzati nella zona dove è stato installato il sensore. Per avere una misura estensiva delle deformazioni in un componente occorre quindi utilizzare altre tecniche come, ad esempio, la Digital Image Correlation (DIC), che aiuta a ottenere una mappa del componente in esame. La DIC è una tecnica di misura non a contatto, basata sull’elaborazione di immagini acquisite tramite telecamere, il che la rende poco invasiva e adatta a molte applicazioni pratiche.

La Digital Image Correlation (DIC) è un metodo ottico senza contatto utilizzato per la misura della deformazione. Rispetto alle tecniche di misura convenzionali, come ad esempio gli estensimetri, consente di ottenere misure di deformazione a tutto campo e, inoltre, permette di evitare eventuali interferenze dovute al contatto tra il corpo e lo strumento. Si presenta come una tecnica facilmente scalabile, adatta per lo studio di componenti con dimensioni da qualche micrometro a centinaia di metri, ed estremamente versatile (può essere adottata per applicazioni quasi statiche o ad alta velocità). La versatilità di questa tecnica è evidente anche se si considerano le grandezze che possono essere misurate: benché venga utilizzata principalmente per la misura della deformazione, la DIC permette infatti di ricavare numerose altre grandezze, tra cui spostamenti, velocità di deformazione, curvature, accelerazioni e tensioni.

In questo articolo viene descritta la tecnica DIC e applicata a un semplice caso pratico: la misura della deformazione di un provino in trazione.

Principio di funzionamento della DIC

Il principio alla base della DIC consiste nel confrontare una serie di immagini acquisite durante la deformazione con un’immagine di riferimento raccolta quando sul corpo non agisce nessuna forza: in particolare, si traccia il movimento di ciascun punto dell’immagine di riferimento, andando a cercare nelle immagini successive il punto che massimizza una certa funzione di somiglianza (Figura 1).

Per tracciare il movimento di ciascun punto della superficie durante la deformazione, è necessario applicare un motivo a macchie (pattern), in modo tale da ottenere una serie di marcatori, che permettano di identificare in modo univoco tutti i punti. Idealmente si vorrebbe avere macchie circoscrivibili all’interno di un singolo pixel, così da avere informazioni univoche per ogni pixel. In generale, però, si deve osservare che non è possibile trovare corrispondenza tra singoli pixel in immagini successive, ovvero non esiste una soluzione univoca al problema: infatti, il livello di grigio di un singolo pixel può essere ritrovato in migliaia di altri pixel in un’immagine successiva. Pertanto, le deformazioni vengono determinate considerando il movimento di piccoli gruppi di pixel, definiti subset. In linea di principio, ciascun subset dovrebbe contenere almeno tre macchie, di dimensione compresa tra tre e cinque pixel: le macchie, infatti, devono essere sufficientemente grandi da permettere di tracciarne il movimento (e limitare così il rumore di fondo), ma allo stesso tempo non devono essere troppo grandi, in modo da avere una buona risoluzione spaziale. Entrando maggiormente nel dettaglio, il software utilizzato per l’analisi dei dati processa una regione di interesse, definita dall’utente, la quale viene suddivisa in tanti subset. Il movimento di un subset viene tracciato considerando lo spostamento di un suo punto (solitamente quello centrale). I punti utilizzati per la correlazione sono definiti a intervalli regolari (step), in modo che subset vicini possano o meno sovrapporsi. Sfruttando i punti così definiti, i subset nell’immagine di riferimento vengono correlati numericamente con quelli di ogni immagine successiva. Da questa correlazione si ricavano infine le quantità di interesse. I subset devono essere sufficientemente grandi da poter essere distinti da tutti gli altri contenuti nella zona di interesse. Solitamente si assume come dimensione minima del subset 21×21 pixel, in modo da tenere in considerazione eventuali disomogeneità del pattern: infatti, non tutte le macchie avranno esattamente la stessa dimensione e la loro densità potrebbe non es- sere uniforme. La dimensione degli step è solitamente compresa tra un terzo e la metà della dimensione dei subset, in modo che subset adiacenti si sovrappongano parzialmente.

È possibile realizzare prove di 2D-DIC oppure di 3D-DIC, a seconda della geometria e del tipo di deformazione sperimentata. La 2D-DIC utilizza le immagini ottenute da una singola camera, con alcune limitazioni legate alla geometria e al tipo di spostamento. Nello specifico, il provino deve essere piatto e può muoversi solo in un piano parallelo al sensore ottico della camera. Il movimento fuori dal piano, infatti, non può essere correttamente rilevato mediante una sola camera (viene interpretato come una deformazione) e questo produce un errore nei dati raccolti. La 3D-DIC utilizza due camere sincronizzate che inquadrano il corpo da due angolazioni differenti e può essere utilizzata per oggetti di qualunque forma e per ogni tipo di deformazione.

 

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