Protezione della proprietà intellettuale in ambito di manifattura additiva

Giorgio De Pasquale, Elena Perotti

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La diffusione della manifattura additiva nei processi industriali richiede un’innovazione del design e del progetto e genera proprietà intellettuale a beneficio di chi la produce e che, giustamente, inizia a volerla tutelare

L’introduzione della manifattura additiva nei processi industriali è ormai diffusa e sta diventando una metodologia consolidata in specifici settori, come quello aerospaziale e biomedicale. Altri settori industriali stanno progressivamente introducendo i processi additivi per la produzione di singoli componenti o di sotto-sistemi più o meno complessi. Questa penetrazione nel mercato produttivo dei processi additivi, che si differenziano da quelli sottrattivi tradizionali in cui avviene una asportazione progressiva di materiale, è legata soprattutto alla loro versatilità. Infatti, le tecnologie attualmente disponibili consentono di processare categorie di materiali molto diverse: polimeri, metalli e ceramici. All’interno di ciascuna categoria sono poi disponibili tipologie di materiali varie che possono soddisfare molteplici specifiche progettuali. Non solo, ma esistono differenti tipologie di processo idonee per trattare un singolo materiale, aspetto che consente anche di ottenere proprietà e prestazioni finali diverse per specifiche fasce di costo.

Gli operatori più reattivi possono avvalersi in modo vantaggioso di strumenti di protezione della proprietà intellettuale per entrare in nuovi mercati grazie ai processi additivi e proteggendosi da futuri competitor

In ambito industriale, l’adozione dei processi additivi viene valutata a partire da diversi punti di vista, non solo da quello prettamente tecnico ed ingegneristico. La sostenibilità economica è senz’altro un aspetto rilevante in ottica di produzione di mercato e spesso è tutt’altro che semplice da determinare, in confronto magari ai processi tradizionali già in uso in azienda. Prendiamo come riferimento la produzione di un componente metallico da impiegare nella costruzione di un impianto o di una macchina, che attualmente è realizzato tramite lavorazione tradizionale (fusione in stampo, fresatura, tornitura, etc.). Ora, la sua replica mediante tecnologie additive (ad esempio mediante un processo a letto di polvere, L-PBF: laser powder-bed fusion) è più costosa per la maggior parte dei componenti, anche se non per tutti. Questo si accentua in modo particolare se si procede a convertire la produzione senza una fase di re-ingegnerizzazione precedente, tentando di utilizzare lo stesso file CAD 3D del processo tradizionale. Questa prima constatazione blocca molti operatori, che decidono di rimanere al processo iniziale, e la causa di questa errata valutazione è un approccio incompleto alla transizione verso l’additive manufacturing. Possiamo dire che non si tratta di un semplice cambio di tecnologia, con cui replicare lo stesso componente e confrontare il costo, ma piuttosto di una diversa filosofia produttiva. Questa richiede una ri-progettazione del componente specifica in ottica additiva, la quale sia in grado di ottimizzare il processo (e i suoi costi) in modo specifico per il componente. Questo avviene attraverso la riduzione al minimo del tempo di processo (ore macchina), grazie all’alleggerimento e alla rimozione dei volumi inutili di materiale, che prima era più conveniente mantenere perché la loro rimozione era fonte di costi. Non solo alleggerimento, occorre anche predisporre i supporti temporanei del pezzo in macchina, di nuovo in modo da minimizzare i tempi di stampa, ma anche da rendere efficiente la dissipazione termica e contenere i ritiri del pezzo. Poi seguono altri accorgimenti legati all’orientazione del pezzo, al riempimento del volume della macchina, alla disposizione delle repliche sul piatto di stampa, etc. Chiaramente, questa ri-progettazione richiede competenze di ingegneria strutturale e di analisi termo-meccanica del componente, magari con il supporto di software specifici. La riduzione di massa non deve andare a scapito della resistenza e della rigidezza delle parti funzionali, che certo non devono deformarsi eccessivamente in servizio, così come non è possibile rimuovere volumi di materiale ovunque senza considerare l’estrazione della polvere residua o gli angoli minimi di auto-supporto delle pareti.

Ecco quindi spiegato l’ostacolo principale alla transizione alla produzione additiva, che le piccole realtà fanno fatica a superare se non accompagnate da servizi di consulenza o ingegneria. Spesso i produttori sono iper-specializzati sul loro prodotto, le cui prestazioni sono frutto di una ottimizzazione prolungata nel tempo, ed esiste una certa difficoltà a rivoluzionare il design in tempi stretti, solo per valutare un cambio di processo produttivo. Se questo è comprensibile, molti operatori si stanno accorgendo che il rischio è di restare indietro nell’innovazione del processo e, di conseguenza, del prodotto. Già, perché l’additive è per definizione una tecnologia “digitale” ideale a smaterializzare il concetto di design, il quale può essere scambiato integralmente con files: un file per la geometria discretizzata in strati (poi usati per la deposizione dei layer di materiali), un file per la composizione del job di stampa, un file per il set di parametri di macchina da impiegare, etc. La parte hardware del processo, composta dagli impianti, dalla gestione delle polveri, dai trattamenti post-processo, sono “standard” e possono essere replicati serialmente, con operazioni customizzate di messa a punto relativamente contenute.

Questo modello di produzione è intrinsecamente affine alla decentralizzazione della produzione, ma anche alla implementazione di sistemi di monitoraggio remoto (non servono maestranze iper-specializzate in ogni stabilimento produttivo, ma un efficiente sistema di condition monitoring a distanza è sufficiente), e alla futura connessione con sistemi di intelligenza artificiale, ad esempio per la ricerca dell’ottima configurazione geometrica, dell’ottimo setup di parametri di macchina, etc. Insomma, il messaggio che possiamo dare è quello di aprirsi a queste tecnologie anche a costo di sacrifici che oggi possono sembrare superflui, ma che possono aiutare a tenere il passo con potenziali innovazioni del prossimo futuro.

L’additive si deve considerare una disciplina complessa ai fini della protezione della proprietà intellettuale, ma può avvalersi di quasi tutti gli strumenti di tutela disponibili

Protezione della proprietà intellettuale in ambito di manifattura additiva

Nota questa dinamica, per coloro che sono già pienamente addentro alla produzione additiva, i problemi stanno diventando più mirati alla difesa e alla tutela di ciò che hanno sviluppato con sacrificio di tempo e denaro: una certa ri-progettazione di un componente che era di uso libero con la produzione tradizionale ma che ora, dopo essere stato re-ingegnerizzato, diventa un know-how nuovo e quindi da tutelare; oppure una metodologia particolare per assemblare pezzi diversi sfruttando la loro produzione simultanea in modo additivo; un particolare set-up dei parametri del processo. Ovvero, il cambio di tecnologia produttiva, la quale richiede un’ innovazione del design e del progetto, genera proprietà intellettuale a beneficio di chi la produce e che, giustamente, inizia a volerla tutelare. Si entra in un ambito nuovo del settore della proprietà intellettuale, appunto legato alla manifattura additiva, il quale coinvolge metodi, soluzioni, geometrie, concettualizzazioni molto peculiari che, nelle ambizioni di chi li sta tutelando, dovranno essere soggetti a privativa per il loro sfruttamento. Anche qui emerge un segnale di attenzione particolare, a cui è bene che gli operatori prestino attenzione: se una certa azienda (specie se medio-piccola) detiene oggi una leadership nella produzione del componente X con processi tradizionali, non è detto che un competitor più attento all’innovazione non sviluppi una soluzione costruttiva dello stesso componente X, con processo additivo, e ne depositi un brevetto con potere di tutela molto forte. La azienda leader di oggi, potrà continuare ad esserlo finché il processo tradizionale sarà competitivo, ma se dovesse cessare di esserlo, si vedrà del tutto preclusa l’altra strada perché altri l’avranno già presidiata. Attenzione quindi a non risparmiare poche risorse oggi anche per una sola “esplorazione” tecnologica, seppur svolta con tutti i crismi della ri-progettazione, che potenzialmente potrebbe causare perdite ben maggiori domani.

Esempio virtuoso di brevetti per l’additive al Politecnico di Torino

Fra le attività di ricerca del gruppo di chi scrive, alcune delle quali finanziate dalla Commissione Europea, una riguarda la creazione di nuove giunzioni metallo-composito. Come è noto, questi due materiali sono spesso accoppiati in molte applicazioni, dall’aeronautica all’automotive, dai generatori eolici alla biomeccanica, etc. Fino ad ora i metodi principali per il loro collegamento sono stati due: mediante rivettatura o mediante incollaggio. Ciò che abbiamo fatto allo Smart Structures and Systems Laboratory è stato di ideare una soluzione innovativa di giunzione, basata proprio sulle potenzialità della manifattura additiva per metalli. Con la nostra invenzione, l’elemento di connessione (il vecchio rivetto) è già integrato nel metallo da giuntare, il quale è quindi in grado di “connettersi” autonomamente con le fibre di carbonio del composito. Questa innovazione è stata oggetto di diversi brevetti, oggi di proprietà del Politecnico di Torino, i quali come si comprende facilmente, non tutelano genericamente la giunzione in sé, ma una specifica modalità di realizzare questa giunzione, legata al processo di fabbricazione additiva, a specifiche geometrie costruttive, a specifiche sequenze di post-processo che includono la laminazione del composito. Oggi questi brevetti sono sfruttati da un consorzio di 7 aziende europee che, insieme, sotto il coordinamento del prof. Giorgio De Pasquale, stanno realizzando un prototipo di impennaggio verticale per velivolo passeggeri di grande dimensione in produzione presso Leonardo.

The additive manufacturing by 3D printer machine. The high technology manufacturing process by rapid prototype method.

In sintesi

In sintesi, è evidente che la transizione tecnologica in corso sta investendo molto pesantemente il settore produttivo e manifatturiero sotto molti punti di vista. Uno di questi riguarda il coinvolgimento di fabbricazione additiva di componenti strategici sia per la quantità sia per la funzione. Molte innovazioni sono spesso spinte dalla richiesta del mercato e spesso le posizioni di leadership consentono di temporeggiare sulla introduzione di nuove tecnologie e processi. Tuttavia, queste attese potrebbero generare ritardi nell’aggiornamento delle competenze, molto più lunghi e complessi da ottenere rispetto ad un aggiornamento delle macchine. Inoltre, come abbiamo visto in questo articolo, operatori più reattivi possono avvalersi in modo vantaggioso di strumenti di protezione della proprietà intellettuale per entrare in nuovi mercati grazie ai processi additivi e proteggendosi da futuri competitor. Emerge quindi la necessità di investire oggi risorse e competenze sulla transizione all’additive, per restare aperti alle future innovazioni che con questa tecnologia avranno un dialogo privilegiato.

La parola all’esperto

Concludiamo con un’intervista a un esperto del settore della tutela della proprietà intellettuale. Infatti, la protezione della proprietà intellettuale è un lavoro altamente specialistico che richiede il supporto di esperti del settore, generalmente professionisti con competenze sia in ambito ingegneristico sia legale. Uno di questi esperti è l’ing. Edoardo Mola, Amministratore Delegato di Praxi Intellectual Property, il quale ha tenuto un intervento su questi temi al Workshop organizzato dal prof. De Pasquale insieme a TÜV-SUD lo scorso 15 maggio presso il Museo dell’Automobile di Torino dal titolo “Processi speciali, additive manufacturing, loro qualifica e tutela in ambito aerospaziale”.

Edoardo Mola, Amministratore Delegato di Praxi Intellectual Property

Ing. Mola, la protezione della proprietà intellettuale in ambito additive, come anche per altri ambiti, si avvale di strumenti preferenziali oppure è più indicata una strategia “multi-livello”? Ci dia qualche informazione per orientarsi in questo complesso contesto.

L’additive si deve considerare una disciplina complessa ai fini della protezione della proprietà intellettuale e, in generale, può avvalersi di quasi tutti gli strumenti di tutela disponibili, dalla tutela del software inclusi i modelli tridimensionali tramite diritto d’autore, al marchio d’impresa/prodotto passando spesso ma non obbligatoriamente per brevetti di processo/prodotto.

Il concetto di tutela della proprietà applicato all’ambito della manifattura additiva, rispetto agli altri ambiti, possiede aspetti peculiari su cui è bene porre l’accento, dal punto di vista di una potenziale azienda interessata a muoversi in questa direzione?

La complessità e la flessibilità della disciplina richiedono a un’azienda di analizzare la linea di business interessata all’impiego e individuare, insieme a un professionista specializzato, quale bene intangibile supporta principalmente tale business: dal ‘buy’ in cui occorre verificare che l’acquisto dal fornitore sia libero da diritti anteriori di concorrenti del fornitore a ‘make’ in cui il processo o il prodotto sono il risultato dell’R&D interno. È più probabile rispetto ad altri settori il ricorso a progettisti esterni: in tale caso è prudente concordare nel contratto di fornitura che i risultati del lavoro sono di proprietà del cliente.

Quali sono le strategie per rendere un brevetto il più possibile efficace e forte nella tutela di una determinata soluzione produttiva, magari realizzata in modo additivo?

Dopo aver raggiunto un nuovo risultato, chiedersi se, dall’esterno dell’azienda e con il solo prodotto a cui applicare reverse engineering, tale nuovo risultato sarebbe percepibile da un concorrente: in caso di risposta positiva occorre valutare i costi e le opportunità di procedere con una tutela, spesso brevettuale; in caso negativo, solo in rari casi il brevetto è consigliabile, e occorre valutare modalità di tutela alternativa che, spesso, sono identificabili anche grazie alla fase iniziale del progetto.

Giorgio De Pasquale – Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale, Politecnico di Torino, Smart Structures and Systems Lab

Elena Perotti – Senior data analyst

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