Il rumore del lavoro

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lavoratore metalmeccanicoLavorare, lavorare, lavorare, preferisco il rumore del mare“: questo il motto del Monumento di Parole, che dal 1998 è meta obbligata per chi fa tappa a San Benedetto del Tronto. La grande struttura è situata all’inizio del lungomare nord in prossimità dell’isola pedonale. Una targa precisa il significato di questo monumento: “Il lavoro nobilita l’uomo, ma quando il lavorare schiaccia l’uomo – e non sempre a causa del bisogno ma spesso per avidità, invidia, desiderio e quant’altro –, allora si rischia di trascurare i doni più belli“. Dunque, non è un invito a far nulla, bensì un allegro monito a vivere un’esistenza più attenta ai valori della vita. Suona un po’ male questo avvertimento, in un momento in cui l’emergenza lavoro comporta un allarme sociale non indifferente.

Lavoro, dal latino labor (fatica), onde laborare (faticare), una parola sentita, sofferta, che oggi fa tanto rumore, più che mai, più del mare in burrasca. Eppure tale rumore, se ascoltato con l’orecchio giusto, raffigura il volgere del desiderio verso qualcosa che non è solo fatica, ma pure arte e ingegno; così si può arrivare un po’ più lontano dalle naturali necessità, si può avere semplicemente ciò che manca oppure arricchirsi di strumenti, saperi e capacità. Pensate al rumore di un centro di lavoro CNC per esempio, o di un tornio: tanto l’operatore evoluto quanto il tornitore coi baffi provano soddisfazione e felicità quando, facendo truciolo, realizzano l’oggetto progettato dall’ufficio tecnico. È vero, viviamo in un paese con il 38% di giovani disoccupati, ove chi può fugge all’estero a fare il lavapiatti, eppure molte aziende, se pur a fatica, vanno avanti, crescono e sono competitive; queste imprese, pur nel contesto della fabbrica digitale, sono fatte di uomini, i quali ne determinano i successi e gli insuccessi. Le stesse imprese cercano, per esempio, operatori alle macchine utensili, persone destinate a farsi crescere i baffi e non le trovano, in un periodo in cui avere un posto di lavoro sembra una grazia ricevuta. L’investimento nelle risorse umane è un bene prezioso, ma gli aspiranti lavoratori devono possedere tre virtù: orecchio per il “ritmo del lavoro”, orgoglio nel cercare un’occupazione, formazione adeguata e/o disponibilità ad essere formati.

La musica del lavoro deve essere suonata con armonia, affinché possa essere gradita a tutti, agli imprenditori come ai loro dipendenti, al capitale come alle organizzazioni dei lavoratori; questa musica può contenere tante cose contemporaneamente: afflizione e salvezza, condanna umana e riscatto sociale, impoverimento e arricchimento sia materiale sia culturale. Oggi tutto sembra concorrere ad abbassare l’uomo al disonore della disoccupazione. Ma l’uomo ha tante risorse, è la spina dorsale dell’industria e per questo va equipaggiato con strumenti adeguati, ad esempio con macchine utensili e complementari, al momento giusto nel posto giusto. Facciamola finita con le lacrime, rimbocchiamoci le macchine, lubrifichiamoci con olio di gomito e torniamo ad essere il valore fondamentale del primo articolo della costituzione italiana: una repubblica democratica fondata sul lavoro. Un posto d’onore spetta alla rivoluzione industriale, che accorda il rumore del lavoro, valorizza le risorse umane e nobilita la creatività. L’economia fa pendere la bilancia ora da una parte ora dall’altra, con un perenne conflitto tra interessi e professionalità, ma in qualsiasi circostanza il lavoro può trarre giovamento e sviluppo. Il segreto sta nel cercare l’attività più vicina alle nostre abilità e nello sviluppare le capacità connesse al lavoro stesso.

di Enzo Guaglione

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