Alla scoperta del truciolo

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punta tornituraUna lavorazione per asportazione di truciolo è anche la formazione del truciolo, la lubrorefrigerazione, l’usura e la durata dell’utensile…. E’ anche il legame di questi parametri con la potenza (e il consumo energetico) assorbita dalla macchina.

Quando si parla di lavorazione per asportazione di un pezzo, la prima cosa che viene in mente è in genere la precisione, la qualità del manufatto, forse la ripetibilità della lavorazione, difficilmente il primo pensiero va a ciò che rende possibile arrivare ad un prodotto finito che risponda appieno alle specifiche. Allora un operatore neoassunto deve ricordarsi l’importanza di raggiungere l’esperienza necessaria per analizzare le lavorazioni secondo altri schemi: la formazione del truciolo, la necessità o meno di lubrorefrigerazione, il tipo di lubrorefrigerazione, gli assorbimenti di potenza della macchina utensile, come si usura l’utensile e quanto è la sua vita utile.

 

Come sempre: è un gioco di squadra!

L’obiettivo è un prodotto che soddisfi le aspettative sotto tutti i punti di vista: conforme alle specifiche di progetto e con costi di processo il linea con le previsioni. Su questo siamo tutti d’accordo, ma… la tipologia dei trucioli prodotti ha una forte influenza su tutta la lavorazione per asportazione e, in particolare, sulla finitura superficiale e sulla integrità della superficie. A tal proposito va sempre tenuto presente che il truciolo, comunque esso sia, ha due superfici che nascono e si sviluppano in modo diverso. Infatti, una è la “porzione” di materiale asportato dal pezzo, con un aspetto a gradini a causa dello scorrimento, e l’altra è quella che entra il contatto col petto dell’utensile, quindi lucida a causa dello sfregamento. Le morfologie di truciolo sono diverse e dipendono da diversi fattori, tutti correlati fra loro. Il truciolo continuo si forma in genere per velocità di taglio e angolo di spoglia superiore dell’utensile elevati; il truciolo segmentato è caratteristico di materiali, quali le leghe di Titanio, con bassa conducibilità termica e resistenza che diminuisce all’aumentare della temperatura; il truciolo discontinuo è facilmente dovuto alla fragilità del materiale o alla presenza di inclusioni/impurità o a parametri tecnologici non adeguati, come velocità di taglio troppo alte o troppo basse o profondità di passata elevate. Il caso del truciolo discontinuo può anche essere legato alla macchina utensile poco rigida, o comunque con scarso smorzamento delle vibrazioni, e/o ad una lubrorefrigerazione non adeguata. Da tenere sotto controllo è sempre l’arricciamento del truciolo, fenomeno non ancora completamente chiarito, che, in maniera più o meno marcata, è presente in tutte le lavorazioni per asportazione, sia di materiali metallici che non, e può compromettere i risultati finali.

Un truciolo lungo e continuo non è gradito perché tenderà certamente ad arricciarsi, ad aggrovigliarsi, interferendo, anche in maniera importante, con la lavorazione. Inoltre, se non gestito opportunamente, può creare seri danni alle macchine utensili, specie nei casi di non presidiate ad alta velocità, oltre ad essere fonte di rischio per la sicurezza dell’operatore. Una soluzione ai problemi del truciolo lungo e continuo può essere il rompitruciolo o un utensile con diversa geometria, in grado di gestire il deflusso del truciolo stesso.

Un cenno anche alla lubrorefrigerazione. Raffreddare, ridurre attrito e usura, ridurre forze ed energie in gioco, evacuare i trucioli dall’area di lavoro, proteggere la superficie lavorata: questo è ciò che deve fare il lubrorefrigerante. Occorre però ricordare che non c’è solo la classica applicazione a getto, ma esistono anche metodi alternativi, in funzione della lavorazione e del materiale. Si può pensare alla nebulizzazione o alla lubrorefrigerazione high pressure, ma anche a quella minimale (MQL) o a secco. E accanto alla lubrorefrigerazione c’è lo spinoso discorso della filtrazione, secondo metodo classici o più evoluti, e della gestione del fluido esausto. Se la filtrazione ha un impatto diretto sulla qualità della lavorazione e sui costi, basti pensare al decadimento precoce dell’utensile, la gestione degli esausti influisce in maniera importante sui costi globali di processo.

Dunque truciolo, lubrorefrigerante, utensile, macchina sono fortemente legati e solo un perfetto gioco di squadra può permettere la riuscita.

 

La squadra: ecco come si può giocare

Caro neoassunto, fra tutti voglio citarti due esempi di gioco di squadra riuscito, per dimostrarti quanto sia importante conoscere la teoria in primis, per arrivare ad acquisire l’esperienza necessaria per gestire le lavorazioni maniera ottimale.

Il primo caso è quello delle leghe di alluminio che amano la lavorazione per asportazione, ma richiedono una serie di attenzioni. La lavorazione di queste leghe, che avviene per “taglio” e non, come nel caso dell’acciaio, per deformazione, è fortemente influenza dal grado di durezza, che comporta la formazione di truciolo tenace e fluente o fragile e rigido, cui consegue la scelta di una opportuna geometria di taglio dell’utensile, in modo da evitare la formazione di battiture e intasamenti che potrebbero compromettere la vita dell’utensile e la finitura del pezzo.  Le leghe di Al tendono ad essere macchiate dagli oli, in particolare dagli oli idraulici eventualmente presenti nel lubrorefrigerante, per cui è opportuna una grande pulizia, zona di lavoro e guide molto pulite ma anche fluido estremamente pulito ed efficiente, filtrato secondo metodi tradizionali o più sofisticati ed evoluti, in grado di arrivare ad un filtraggio anche molto spinto. Partendo dal presupposto che queste leghe sono particolarmente sensibili allo shock termico, se la lega non è particolarmente dura, si può ricorrere a lavorazioni a secco ma qui giocano un ruolo primario gli utensili, che devono avere una perfetta efficienza, e i parametri di taglio, che non devono essere esasperati. Poiché la lavorazione deve sempre essere performante, le macchine devono essere veloci e potenti, con velocità di taglio elevate, possibili in quanto il truciolo non riscalda l’utensile tanto da abbassarne la durezza anche se, la temperatura raggiunta è sufficiente a ridurre la resistenza a deformazione del materiale.

Il secondo caso è quello della ghisa che genera un truciolo corto e una polvere finissima di grafite. Poiché i pezzi sono spesso verniciati, durante la lavorazione, la vernice si stacca in piccole scaglie e/o sottoforma di pulviscolo. Qui il vero problema non è il truciolo in sé, ma la polvere e la vernice: il truciolo, raccolto in vasca, viene separato, raccolto e venduto come sfrido, ma resta la questione vernice e micro particelle. In generale: la lavorazione della ghisa richiede attenzione a causa della forte usura sull’utensile, la presenza di melma in vasca, oltre che il “maneggio” (inclusi i piazzamenti), talvolta difficoltoso. L’utensile ha in genere elevata durezza e resistenza all’usura, frequentemente con angoli di spoglia negativi (-4° ÷ -6°), che rendono l’utensile più robusto, presentando taglienti tenaci e garantendo condizioni applicative sicure.

 

Allora?

I due esempi vogliono raccontare di materiali lavorati abbastanza comunemente, ma che richiedono attenzioni particolari. Certo, non si possono cambiare le macchine utensili su cui ci si trova ad operare, ma conoscendo le problematiche, ed avendo raggiunto conoscenze tali da saperle gestire in maniera equilibrata, la lavorazione di ogni pezzo potrà darti soddisfazione, certo di avere ottimizzato performace e costi, nel rispetto delle specifiche di progetto.

di Daniela Tommasi

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