Il lavoro non è un diritto, ma un dovere

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lavoratoriUn tale cammina su una strada assolata finché, giunto nei pressi di un cantiere, incontra tre muratori che lavorano sotto il sole cocente; si avvicina al primo di loro e gli chiede: “Cosa stai facendo?” E quello: “Non lo vedi, sudo!”. E il suo sguardo è torvo e affaticato. Al successivo muratore rivolge la stessa domanda e quello risponde: “Procuro da mangiare per la mia famiglia”. E il volto è spento e rassegnato. Il viandante prosegue e rivolge anche al terzo muratore la medesima domanda. Risposta: “Ma come, non lo vedi? Stiamo costruendo una cattedrale”. E i suoi occhi brillano di soddisfazione e sul volto non c’è traccia di fatica. Cosa vuol dire questa storia? Ciascuno ci può trovare il senso che preferisce; tra bisogno, fame, motivazioni, paga, etica del lavoro, articolo 18, si può pescare come si vuole.

I popoli primitivi sono stati considerati biologicamente inferiori e “senza storia”; si credeva che fossero condannati alla staticità e stagnazione culturale. Un posto d’onore spetta alla prima rivoluzione industriale, che valorizza la manualità e la creatività dell’uomo. Le rivoluzioni industriali successive, con l’avvento dell’automazione, penalizzano le risorse umane. Addio, tornitore coi baffi! Oggi, però, tutto concorre a innalzare agli onori dell’altare l’uomo di molte risorse. Lascio perdere l’onore, per non andare troppo lontano… e anche per non dover disquisire di che tipo di onore sto parlando; mi vengono in mente quei “galantuomini”, signori austeri, baffuti, con occhi d’aquila ma pieni di severa bontà, dritti sulla schiena come fusi per esprimere rettitudine e carattere. Insomma, immagini di uomini d’onore, che del lavoro non ne hanno fatto un diritto, bensì un dovere. La cultura del lavoro, quel sistema di valori originato nella società medioevale, subisce con la rivoluzione industriale un ripensamento, a partire dai problemi morali e politici posti dall’economia commerciale prima e dall’economia industriale dopo; a ciò si aggiungono le istituzioni finanziarie, le nuove forme d’investimento e gli effetti del consumismo e dello sviluppo delle nazioni e della globalizzazione. In questa evoluzione riprendono piede le risorse umane, e il lavoro non è più tanto un diritto quanto un dovere. Così si può fare truciolo e sudare, fare truciolo per vivere o fare truciolo per creare oggetti “artistici” e conseguente soddisfazione. Ma attenzione: la cattedrale si può costruire anche con cazzuola e malta, ma oggi l’uomo, essendo la spina dorsale dell’industria, va equipaggiato con strumenti adeguati. Un tempo c’erano officine capaci di produrre oggetti migliori dei mezzi usati per produrli, con macchine utensili difficilmente riconoscibili come tali; oggetti usati per assemblare altri oggetti che funzionavano e che la gente comprava. Ogni anello della catena produceva un miglioramento, ma ora queste aziende hanno chiuso. Oggi, il sudore e la famiglia da mantenere non sono sufficienti; per aggiungere valore, ognuno – fornitori e clienti – ha ancora il dovere di migliorare il prodotto rispetto allo strumento usato, però ha il diritto di avere strumenti innovativi, macchina utensile, apparato, software, hardware che siano. Tutti i collaboratori devono essere all’altezza dell’oggetto che producono!

Onore delle armi a chi é fallito ai primi accenni di crisi; onore vero a chi ha saputo dare ai lavoratori il senso di appartenenza al proprio lavoro.

di Enzo Guaglione

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