Pochi spot, ma molta concretezza

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Della necessità di innovazione per la crescita economica di un paese si parla da sempre a proposito e a sproposito. Quando ne parla la politica, viene quasi da ridere pensando a quanto immutabile sia questo mondo, rigido e chiuso, che pure disporrebbe di ingenti risorse per introdurre innovazione. Basta che si guardi in giro. Ne parla molto, però, per gli altri. Fortunatamente ne parlano e ne fanno le imprese, a ragion veduta. L’innovazione è pratica quotidiana, pur con le limitate risorse disponibili, oggi ancora più limate dalla competizione internazionale. Mentre termini classici nel manifatturiero, come innovazioni di prodotto e processo, oggi subiscono l’assalto di termini più modaioli, creativa, radicale, dirompente fino ad arrivare all’aggettivo “rivoluzionaria”, ci accorgiamo che politica e imprese non possono più procedere senza una comune, condivisa, diffusa, cultura dell’innovazione. Non c’è più tempo. Ma davvero.

I paesi che oggi trainano, noti e recenti, stanno riconvertendo indirizzi, modi, organizzazioni, ricerche, risorse, verso modelli innovativi globali. L’obiettivo è noto: incrementare l’efficienza generale. Per questo traguardo non sono sufficienti piani nazionali episodici, di impatto molto formale e, probabilmente, poco sostanziale, a potere imprimere la svolta che faccia uscire il nostro paese dal pantano dei “zero virgola”. Nemmeno altre mosse spot, a destra e a manca. Sempre poca cosa. È necessaria un’azione massiccia. Dobbiamo fare in modo, tutti insieme, che non si debba discutere su quali innovazioni o innovatori diano il maggior contributo alla prosperità economica, perché tutti devono giocare, ed essere messi in grado di giocare, ruoli necessari e complementari. Le vere innovazioni che sostengono la prosperità di un paese sono sviluppate e utilizzate in un gioco enorme che coinvolge molti attori su più livelli nel corso degli anni. La nostra creatività, inquadrata e imbrigliata quanto basta per lasciare spazio alle idee senza generare anarchia, può diventare la peculiarità del paese. In tutti i campi e in tutte le responsabilità, sia pubbliche che private. Il mix ottimizzato per vincere definitivamente in una visione prospettica, senza lavorare sempre con l’affanno e con lo sguardo che nemmeno le migliori lenti riescono a farci vedere lontano.

La digitalizzazione è una ghiotta opportunità. Un denominatore comune che può rendere efficiente l’intero sistema Italia, dal punto di vista economico, sociale, imprenditoriale. Ma anche la sola digitalizzazione non è sufficiente se non è impiantata su un adeguato terreno legislativo, fiscale, giudiziario, sociale, solido ed equo. Il solo sistema imprese, mediamente troppo piccole e culturalmente arretrate, difficilmente riuscirà a cogliere, se non ben supportato, la zattera della salvezza nei mari che il disgelo climatico rende perennemente minacciosi. Personalmente non sono nemmeno portato alla soluzione cinica: si salvino le migliori. Rischiamo di averne poche. Troppo poche! Innovare a compartimenti stagni non è più sufficiente. Lo strabismo sul sentiero dell’innovazione sarebbe uno degli errori prospettici più gravi nel mondo sempre più integrato dall’economia digitale. Non facciamo che le chiacchere soverchino la potenza dei numeri e ricordiamo che per avere il polso della reale situazione e farsi una idea sia sufficiente riferirsi ai numeri “fondamentali” dell’Italia.

Pitagora scrisse: “Il numero è l’essenza dell’universo”. A ognuno il piacere e l’onere di reperirli e di leggerli. Poi, non potremo fare a meno di gridare a gran voce: “L’Italia capitale globale dell’innovazione”. Un auspicio e una speranza!

di Michele Rossi

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