Industria 4.0: l’uomo al centro della quarta rivoluzione industriale

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Da un punto di vista strettamente tecnologico non è azzardato dire che la quarta rivoluzione industriale sia già cominciata da tempo o che quanto meno i mezzi per conformarsi ai dettami dell’Industria 4.0 siano già disponibili e diffusi. È realtà l’interconnessione di macchine e sistemi gestionali ed è realtà lo Internet of Things, l’Internet delle cose, che permette a macchine e oggetti di parlarsi e dialogare con piattaforme di elaborazione centrali e operatori. L’automazione spinta imposta dal nuovo paradigma ideato dalle istituzioni tedesche con il supporto delle associazioni di categoria e dei centri di ricerca risponde a un’esigenza sentita da tutto l’Occidente produttivo. E cioè alla crescente difficoltà di reperire manodopera specializzata per il manifatturiero a fronte delle tendenze demografiche in atto. Questo non toglie però che inedite professionalità vadano comunque opportunamente formate allo scopo di governare al meglio la transizione e il cambiamento. Un training specifico dovrà quindi riguardare una forza lavoro destinata a mutar pelle o a rarefarsi; e gli stessi imprenditori o manager dovranno essere in grado di reinventarsi affinando le loro capacità. Pena: la perdita di competitività su scala globale. In occasione del recente Connected Manufacturing Forum di Milano del tema ha parlato Marco Taisch, docente di Sistemi di produzione automatizzati e tecnologie industriali presso il dipartimento di Ingegneria gestionale del locale Politecnico. Punto di partenza del suo intervento, la presa di coscienza che una trasformazione radicale è già in corso e a orientarla sono «fattori demografici, climatici, di diminuzione delle risorse naturali disponibili». In un mondo in cui le città diventano rapidamente megalopoli e «l’Europa continua a invecchiare» sfornando meno laureati di quanti non se ne contino in Africa, è naturale che pure il manufacturing e i suoi processi acquistino un aspetto differente.

Il dato è al centro
L’informatizzazione è la condizione essenziale per ridurre sprechi, errori, tempi e dunque i costi della produzione ma quel che sta maggiormente a cuore a Taisch è la ritrovata centralità, nelle economie mature, delle attività manifatturiere. Queste ultime non avranno però il volto con il quale erano solite presentarsi sino al recente passato e dovranno confrontarsi con le sfide della connettività declinandole in maniera adeguata. «L’idea», è quanto osservato da Taisch, «è di prendere tutte le tecnologie più evolute per creare delle fabbriche intelligenti. Internet of things vuol dire creare oggetti connessi (è quel che accade già con un buon numero di elettrodomestici) capaci di comunicare tra loro. I prodotti che le aziende realizzeranno nasceranno già interconnessi: e quello dello IoT è un concetto già vecchio». La novità autentica è data al contrario dal passaggio «dall’automazione industriale a quella cognitiva, basata sulla conoscenza, sul dato» e la prospettiva è quella di vedere in reparto operai 4.0 dotati di tablet «che forniscono informazioni critiche: e la produttività aumenta». L’evoluzione necessiterà come anticipato la creazione di competenze adatte e da questo punto di vista Marco Taisch ha dimostrato di attendersi molto dalle iniziative in via di definizione presso il governo centrale. «Il livello di consapevolezza sull’Industria 4.0 non è ancora abbastanza elevato», ha detto, «ma nel Piano Calenda (dal nome del ministro per lo Sviluppo economico in carica, ndr) proposto dall’esecutivo non ci sono solamente le agevolazioni sull’acquisto di tecnologie (13 miliardi di incentivi fiscali in quattro anni) ma pure la formazione, col fine di gestire generazioni diverse, che dovranno lavorare insieme».

Hub e università
Nel 2015 l’Osservatorio che il Politecnico ha interamente dedicato allo smart manufacturing ha permesso di rilevare come il 38% delle aziende interpellate avesse del 4.0 una visione men che superficiale. E questa andava di conseguenza di pari passo con una conoscenza prossima allo zero delle tecnologie da adottare per dare ulteriore impulso alla competitività. «Sotto questo aspetto», ha commentato il professor Taisch, «è fondamentale il ruolo dei competence center e dei digital innovation hub. Previsti proprio dal Piano Calenda, essi rappresentano i punti di ingresso e la guida di quanti vogliono realizzare progetti di innovazione. Credo che si tratti di risorse utili soprattutto per le piccole e le medie imprese, che godono sì di una azione precisa e molto mirata nel contesto del Piano, ma rischiano comunque di rimanere indietro». Fra le iniziative in corso c’è quella di Afil, l’Associazione fabbrica intelligente Lombardia che rappresenta una delle emanazioni sul territorio del Cluster Tecnologico Nazionale sulle smart factory. Raggruppa imprese, università, centri di ricerca, imprenditori e studiosi, pronti a mettere a fattor comune le rispettive conoscenze ed esperienze. Afil è stata fra gli ispiratori di una serie di bandi regionali ad hoc e nel corso di quest’anno ha dato vita a una analisi dei possibili standard e delle buone pratiche della manifattura 4.0. Quanto alla rete dei cluster, essa può fare leva in ambito istituzionale sulle collaborazioni attivate con il ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca; le regioni e col ministero per lo Sviluppo economico. Ed è importante notare come fra le linee d’intervento allo studio presso i gruppi tematici di lavoro in forza ai cluster ci siano sì sistemi di produzione personalizzata, strategie e strumenti di sostenibilità industriale; ma pure i metodi di valorizzazione del capitale umano in fabbrica.

La (tras)formazione è per tutti
Dal canto suo, una multinazionale come Dassault Systèmès ha svelato in un recente convegno sulla manifattura smart l’intenzione di cooperare strettamente con le Pmi da un lato; dall’altro con gli atenei: «Siamo attenti alle università», ha detto in una successiva intervista l’amministratore delegato dell’azienda nel nostro Paese, Guido Porro, «e collaboriamo con loro allo sviluppo di prodotti e relazioni ad hoc. Abbiamo assunto personale proveniente dagli atenei, per spiegare il valore delle tecnologie innovative con un linguaggio diverso. In ambito accademico le nostre tecnologie sono ben presenti – da Milano a Brescia; da Pavia sino a Torino – perché università e imprese si stanno avvicinando e con un linguaggio comune si possono condurre partnership, progetti importanti, iniziative congiunte di training, ottenendo feedback sull’utilità delle tecnologie. È un circolo virtuoso ora in fase di crescita». La formazione alla quale pensa Marco Taisch è tuttavia di segno differente e abbraccia un orizzonte della didattica di gran lunga più ampio. «Una volta implementate le tecnologie, se mancano le persone», ha riflettuto il docente del Politecnico, «sfruttare l’innovazione diventa molto più difficile. Il suggerimento è iscrivere i giovani a percorsi di studio su questi temi per non fare una rivoluzione a metà. Non solo, la formazione deve riguardare tutti, anche chi è già nel mondo del lavoro, perché alcune professioni diventeranno inevitabilmente obsolete». Se questo è quel che dovrebbe accadere al di fuori delle imprese, anche al loro interno le figure-guida di riferimento potrebbero acquistare altre sembianze: «La digitalizzazione», è il parere di Marco Taisch, «non riguarda i processi laterali dell’impresa ma tutta la catena di produzione del valore. Quindi i Cio (cioè i responsabili Ict) devono collaborare con quanti hanno uno know-how di ingegneria industriale e gestionale per guidare l’innovazione. Inoltre, a differenza di quello che è successo qualche anno fa con l’implementazione dei grandi sistemi gestionali, l’approccio di tipo 4.0 non è monolitico: è possibile automatizzare alcune aree e lasciarne altre impostate in maniera più tradizionale, per occuparsene in un secondo momento. Le tecnologie sono a disposizione e vanno utilizzate secondo la disponibilità di budget e, in questo senso, anche il ruolo dei consulenti diventerà importante per i Cio stessi».

Superammortamento e dintorni
Al di là delle strategie è chiaro che il passaggio a un ambiente manifatturiero orientato alla digitalizzazione e al 4.0 richiede investimenti in tecnologie e le bozze della Legge di stabilità 2017 in discussione, al momento in cui scriviamo, presso il governo Renzi paiono agevolare sotto questo aspetto il business. Alle società di capitali è – al ricorrere di alcune condizioni – concessa la possibilità di sfruttare il superammortamento, che è una deduzione fiscale extracontabile maggiorata, consistente nel riconoscimento di un valore fiscale del bene ammortizzabile pari al 140% di quello contabile sugli investimenti in innovazione. In buona sostanza, quello che l’azienda paga e iscrive contabilmente a 100, per il fisco vale 140, riducendo così, tramite l’ammortamento, il reddito imponibile degli anni futuri. Quest’anno l’aliquota per gli investimenti in beni materiali di tipo 4.0 compiuti nel 2017 dovrebbe arrivare fino al 250% (questa maggiore aliquota è definita “iperammortamento”) e comprendere con aliquota del 140% anche i software, precedentemente esclusi, purché legati a un processo di trasformazione digitale delle produzioni. Inoltre, alle aziende in genere è consentito di beneficiare di un credito di imposta sulle spese incrementali in ricerca e sviluppo sostenute rispetto al triennio precedente. Sinora l’aliquota per le spese interne era fissata al 25% e al 50% per quelle esterne, con un tetto massimo di 5 milioni. La soglia dovrebbe essere elevata a 20 milioni con un’aliquota del 50% per le spese interne. Arriverà poi al 30% con un massimale di un milione l’aliquota per le detrazioni (per le persone fisiche) o deduzioni (per le società di capitali) fiscali sugli investimenti, contro l’odierno 19% per le persone fisiche e 20% per le società di capitali sino a 500 mila euro. L’idea è infine quella di rafforzare il fondo centrale di garanzia per i finanziamenti erogati alle piccole e medie imprese per l’ulteriore ammontare di un miliardo di euro. Pur senza essere menzionati direttamente il training e la didattica dovrebbero a loro volta essere della partita o per lo meno questa è l’impressione degli esperti: «L’accento sulla ricerca e lo sviluppo è già di per sé un segno di attenzione alla formazione», ha detto a Lamiera News il dottore commercialista Luca Scarani dello Studio legale e tributario Cba, «e se per il momento non ci sono espliciti riferimenti al mondo degli istituti tecnici, formare i professionisti del domani è uno degli obiettivi-cardine dell’azione dell’esecutivo. Per questo, siamo convinti che nonostante allo stato attuale nulla sia definito, certo qualcosa succederà». Nell’attesa che tutto acquisti una forma più compiuta i manager possono iniziare a muoversi in maniera autonoma, riorganizzando i processi e i modelli produttivi e creando una nuova generazione di addetti. Nella meccanica un esempio di innovazione che procede per piccoli passi ma con estrema efficacia è quello del produttore di macchinari e sistemi per la spillatura Vin Service, con sede a Zanica in provincia di Bergamo. Da 40 anni sul mercato, il produttore ha messo a punto il Progetto Bussola: ha coinvolto altri fornitori del territorio nell’implementazione di un sistema di produzione del tutto interconnesso. Ha fissato una serie di criteri (Key performance index o Kpi) per la gestione ottimizzata della produttività e ha consentito ai suoi dipendenti di tenere traccia costante sia di questi indici sia delle attività di reparto equipaggiandoli con un tablet e applicativi mirati. Alla metà di quest’anno utilizzava un device portatile il 63% della forza lavoro; ma entro breve si arriverà al 100%.

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