Il dato costante è l’incertezza, che anche nei primi mesi del 2016, proprio come nell’ultimo trimestre dello scorso anno, domina la percezione del mercato italiano. A ribadirlo è l’Ambrosetti Club Economic Indicator, che parla di incertezza come “nuova normalità” a cui, a quanto pare, ci si va sempre più abituando. Infatti, nonostante lo scenario economico e geopolitico attuali non siano certo all’insegna della stabilità, a livello nazionale e internazionale, l’indice della Borsa di Milano ha guadagnato, nel primo trimestre, il 6,5%, quella di Parigi il 5,3% e quella di Francoforte del 7,2%, vicino ai record di sempre di due anni fa. Il dato che emerge oggi mostra una sostanziale tenuta dei livelli raggiunti con riferimento alla valutazione attuale della situazione del business, e una leggera diminuzione delle prospettive su occupazione e investimenti a 6 mesi. I valori rimangono vicini a quelli record, ma il rallentamento degli indicatori suggerisce che la ripresa procede lenta, come nel 2015 e nel 2016. In sintesi, i risultati dell’Ambrosetti Club Economic Indicator fotografano una dinamica stabile per quanto riguarda il sentiment sull’attività economica che si attesta poco sotto i livelli massimi dall’inizio delle rilevazioni. Per quanto riguarda l’occupazione e gli investimenti, invece, si registrano dei peggioramenti, seppur lievi.
La business community italiana sembra ormai aver imparato a convivere con livelli di incertezza economici e geopolitici elevati. I valori dei nostri indicatori evidenziano una continuazione della crescita economica in atto, ma a questa velocità che è troppo bassa per favorire una piena ripresa del mondo del lavoro e una ripresa a tutto tondo degli investimenti delle imprese. Purtroppo da oltre 1 anno e mezzo la crescita procede alla velocità di un motorino, mentre servono con urgenza azioni incisive e urgenti per far ripartire l’intero sistema in modo molto più deciso. Senza un forte impulso agli investimenti e alla creazione di nuovi lavori, sarà difficile far ripartire i consumi privati, che incidono su oltre il 60% dell’indicatore del Pil.