Fare di più con meno grazie alla lubrorefrigerazione

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E’ insito nella natura umana: ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Quindi: padronanza e attenta gestione per massimizzare le risposte. Un’interpretazione di questo status quo è rappresentata da una linea di pensiero giapponese che sottolinea come col 20% di sforzo si possa ottenere l’80% del risultato atteso. Questa concezione può essere trasposta anche alla macchina utensile, naturalmente con alcune precisazioni.

 

L’analisi

Col 20% di sforzo. Bene, secondo stime correnti, nella gestione globale di una macchina utensile, il 20% può essere imputato alla gestione del lubrorefrigerante e all’evacuazione dei trucioli. Questo significa che, agendo adeguatamente su queste voci, si può ridurre l’inefficienza della macchina utensile anche dell’80%. In quest’ottica, quali sono i principali fattori che influenzano l’inefficienza? Certamente la pressione, dunque la pulizia, la lubrificazione del tagliente e infine l’inquinamento batterico.

Concentrato di particelle abrasive estratte dal refrigerante ed essiccate.

Una lotta energetica…

Oggi l’evoluzione della ricerca sulla tecnologia dell’utensile ha portato ad introdurre sul mercato soluzioni studiate in modo tale da far arrivare il fluido da taglio proprio nel punto di lavoro. Ma perché? La risposta sta nell’analisi della zona di taglio che, notoriamente, è molto calda e, pertanto, tende a respingere il fluido secondo una sfera di calore, che impedisce al fluido di arrivare in posizione. Oltre ad un posizionamento il più possibile vicino al punto di lavoro, anche la pressione del fluido deve essere tale da riuscire a “rompere” la sfera, offrendo così la possibilità di far lavorare bene il fluido, che potrà effettivamente lubrorefrigerare il tagliente. Si potrebbe perciò parlare di una sorta di “lotta energetica” fra l’energia meccanica impressa al fluido e l’energia termica generata dall’utensile al lavoro. La pressione risolve il problema del bilancio energetico, pur aprendo una seria riflessione riguardo cosa stia effettivamente arrivando sul tagliente: un “miscuglio” abrasivo.

Particolare di una zona della vasca dove risultano evidenti le particelle metalliche micrometriche in sospensione.

… ma non solo

Compito della pulizia è quello di eliminare il “miscuglio” abrasivo: l’efficienza si raggiunge arrivando ad avere in vasca un fluido che, prima di entrare nella pompa di rilancio, sia filtrato al di sotto di valori estremamente piccoli: 8÷15µm e con una concentrazione in grammi/litro compresa fra 0,1 e 0.05. Questo significa arrivare ad eliminare le particelle più dannose ed insidiose, quali i residui temperati delle lavorazioni precedenti o le particelle di carburi, solitamente presenti nella crosta dei pezzi da lavorare. In particolare è importante sottolineare come questi corpuscoli abbiano la stessa durezza dell’utensile che sta lavorando, con tutte le implicazioni che ciò comporta. A questo punto, se le condizioni di pressione e pulizia sono state rispettate, la lubrificazione del tagliente è affidata alla lubricità e stabilità del prodotto utilizzato. Ovvero: il prodotto utilizzato deve essere in grado di garantire la lubrificazione della zona di taglio e deve mantenersi stabile durante la lotta energetica che si verifica nel punto di taglio, scongiurando il rischio che sia solo l’acqua ad arrivare nell’area di asportazione; acqua che è priva di qualsiasi proprietà lubrificante. Il rispetto di queste apparentemente semplici condizioni, porta ad un allungamento della durata del tagliente anche di 10 volte, con un impatto significativo sull’efficienza e sui costi di processo. Va assolutamente specificato che, per arrivare ad ottenere questi risultati in modo costante e continuo, è sicuramente importante il processo di filtrazione utilizzato, ma lo è anche un’adeguata preparazione del fluido per il trattamento di filtrazione fine. Rifacendosi ad un ipotetico caso reale, con un classico convogliatore che disperde in vasca una enorme quantità, rispetto agli obbiettivi che si vogliono raggiungere, di pulviscolo e trucioli di piccole dimensioni, è impensabile che si possa ottenere il risultato prefissato: insomma, per preparare il fluido al trattamento di filtrazione fina, ma soprattutto per ridurre del famoso 80% la dispersione in vasca di particelle, è necessario introdurre un convogliatore che sia studiato e progettato per lavorare in tandem con l’impianto di filtrazione.

Lavorazione di foratura in alta pressione: “con o senza“ l’adduzione dell’abrasivo il risultato varia notevolmente.

Le richieste di un bene prezioso

Il prezioso lubrorefrigerante utilizzato deve essere mantenuto nelle condizioni ottimali, anche contro l’attacco batterico, tipico delle vasche, dovuto alla presenza di oli estranei e, in generale, alla scarsa pulizia dell’ambiente in cui il lubrorefrigerante stesso si muove. Esistono sul mercato soluzioni che integrino con soddisfazione tutte le richieste del lubrorefrigerante? Certamente sì, come è ormai ampiamente testato e sperimentato sia da centri di ricerca che da compagnie che da diversi anni, lavorano incrementando l’efficienza del parco macchine grazie ad una corretta gestione del fluido. Fra le realtà che da anni investono e sviluppano soluzioni in tal senso, c’è la friulana RBM, che è riuscita a rispondere alle richieste di efficienza col sistema IFDR e i convogliatori e rotofiltri della serie A-I. Queste unità possono essere retrofittate su qualsiasi macchina utensile, ma anche essere studiate ad hoc, per rispondere a esigenze estreme, in modo da agire, con la massima efficacia, su quel 20% della gestione macchina utensile che, però, può fare la differenza dell’80% in termini di efficienza.

di Daniela Tommasi

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