Uomini 4.0 per l’Industria 4.0

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Un recente articolo de La Stampa ha riproposto il problema, sempre più sentito, della mancanza di adeguate competenze sul lato dell’offerta del mercato del lavoro.

In altri termini, le aziende assumerebbero più manodopera, ma fanno fatica a trovare, fra chi risponde alle ricerche di personale, le competenze richieste.

Di particolare rilevanza risulta essere la carenza di ingegneri e di periti. Il problema non è quindi di carenza di formazione scolastica: gli ingegneri e i periti andrebbero anche bene alle aziende, ma la carenza è proprio di carattere numerico. Basti riflettere su un dato riportato dall’articolo: “A fronte di 40 mila posti di perito richiesti ci sono appena 15mila studenti iscritti ai corsi”.

 

La cultura tecnica e scientifica

A questo punto varrebbe la pena chiedersi il perché così pochi ragazzi decidono di indirizzare i loro studi in un ambito tecnico e scientifico: studi troppo duri e impegnativi? Scarso fascino della materia? Presenza di esami “spauracchio”, quali Analisi Matematica o Meccanica Razionale?

O magari una scarsa consapevolezza della validità e dello spessore anche formativo e culturale, delle materie tecnico-scientifiche?

Forse per troppi anni, nel nostro paese, si è teso a enfatizzare il ruolo della cultura umanistica in chiave quasi antagonistica rispetto alla cultura scientifica, dimenticando che un brano di latino presenta lo stesso rigore logico della dimostrazione di un teorema di matematica o di geometria.

Forse dimenticando, altresì, che i più grandi geni della scienza erano anche ottimi divulgatori, dotati di ottime capacità linguistiche e di sviluppo dei contenuti. Basti pensare a Feynman, per esempio.

 

Il ruolo delle università

Eppure, se un ragazzo decide di avventurarsi in una facoltà tecnica, oggi può trovare un’università che può offrirgli degli strumenti per avere una formazione al passo coi tempi. Per lavoro mi è capitato spesso di intervistare docenti universitari che hanno ben presente l’evoluzione delle tecnologie industriali degli ultimi anni, dai software CAD/CAM/CAE agli studi FEM fino alle piattaforme CRM.

Sembra appurato che l’evoluzione tecnologica sta portando a elaborare non solo modelli matematici di un fenomeno fisico o economico, ma anche e soprattutto modelli digitali, con tutti gli strumenti necessari a fare ciò. Sembra altresì chiara l’esigenza di educare gli studenti anche allo sviluppo di modelli organizzativi e gestionali, o di innovazione continua (TRIZ)

Siamo quindi lontani dalle figure del “bieco barone” arroccato sulle sue vecchie discipline di studio, reso popolare da certa retorica un po’ sessantottina.

 

Professionisti fatti e finiti o formazione continua?

Detto questo, dove sta dunque il problema? Tutto passa semplicemente da una sensibilizzazione delle giovani leve? Forse la questione è un poco più complessa. Perché tocca dover osservare che spesso mi è capitato di vedere aziende che cercavano ingegneri senza poi saper bene cosa farsene. Strano? Mica tanto, soprattutto se si parla di Pmi. Quello che ho osservato spesso è un fenomeno per il quale la piccola azienda assume l’ingegnere neo-laureato convinta che sappia cambiare un relè, o sappia saldare. Niente di tutto questo cari imprenditori. Come più o meno recitava la Guida dello Studente quando ero al Politecnico, l’ingegnere è uno che, in primis, ha imparato a imparare.

Quindi sta anche alle aziende mettersi in gioco. Certo, la “pappa pronta” piace a tutti, ma, quando si parla di formazione, è inutile piangere perché il personale non è formato. Bisogna formarlo. E un ingegnere è un ottimo terreno dove “seminare formazione”.

Senza contare il fatto che, con Industria 4.0, e con l’evoluzione sempre più rapida delle tecnologie digitali, sarà sempre più difficile parlare di personale “formato”, poiché la formazione non potrà che essere “permanente”.

Oggi le strutture e le aziende che offrono formazione non mancano. Forse manca ancora la consapevolezza che, con Industria 4.0, la formazione dovrà diventare un processo aziendale.

 

I moloch

Quindi, come sempre nella vita, anche nel caso della carenza di personale qualificato, le ragioni stanno nel mezzo. E forse, con l’avvento di Industria 4.0, anche certi “luoghi comuni”, o moloch delle ricerche di personale andrebbero una buona volta smantellati. Vediamone alcuni.

 

Hard skills vs Soft skills

Nel mondo anglosassone, vengono definite “hard skills” le competenze specifiche di una certa professione. Per esempio un ingegnere aeronautico avrà fra i suoi “hard skills” la conoscenza dei software per la simulazione di un profilo immerso in un flusso e dell’equazione di Navier–Stokes.

Un analista finanziario dovrà sapere cosa sono le candele giapponesi e dovrà saper leggere un bilancio.

Tuttavia, e qui entriamo nel settore dei “soft skills”, dovranno entrambi essere motivati, sapere l’inglese, saper lavorare in gruppo…

Ecco, a volte si ha l’impressione che i “soft skills” siano un po’ sottovalutati e gli “hard skills” presi troppo seriamente.

Esempio (ovviamente inventato, ma ispirato alla realtà): un ingegnere risponde a un’azienda che cerca tecnici specializzati nella produzione di cambi di velocità automotive. L’ingegnere lavora già nel campo dei motoriduttori e al colloquio parla diffusamente di ciò che fa, di come lo fa e della sua conoscenza di ingranaggi e riduzioni. Per sentirsi dire alla fine “sì sì va bene, ma lei un cambio di velocità non l’ha mai progettato”. Scatenando a quel punto la più che legittima irritazione del candidato.

Ecco, se un candidato proviene da esperienze “contigue” a quelle ricercate dal profilo, questa contiguità dovrebbe essere fonte di interesse, non causa di esclusione.

 

L’esperienza

Strettamente analogo alla questione “hard skills“, c’è il moloch resistentissimo dell’esperienza. Tralascio i patetici annunci, spesso oggetto di proteste su LinkedIn: “Cercasi neo-laureato con esperienza”.

Ma, anche qui, sembra che competenze trasversali o “soft skills” a nulla valgono davanti alla sacra esperienza. Si vogliono assumere solo persone con esperienza. Magari sociopatici, incapaci di lavorare con i nuovi colleghi o di motivare un team, ma con esperienza.

 

Il talento

Altro falso mito del mondo del lavoro. Il talento. Uno deve “saper fare” perché “nato imparato”, deve capire al volo. O ha il talento, o è tutto inutile.

Purtroppo nel nostro paese, educato da decenni ormai a colpi di “corride” e altri vari “talent show”, si è andata affermando questa falsa credenza sul talento come dono innato, come grazia ricevuta.

Eppure basterebbe ricordarsi cosa disse uno che di “talento” industriale ne aveva da vendere: “Il genio è per l’1% ispirazione e per il 99% traspirazione“.

Ecco, per quello che è la mia esperienza, le aziende non hanno bisogno di solisti o virtuosi, ma di gente che sappia suonare in orchestra. Non servono ballerini cubisti che si esibiscano, ma gente che sappia tirare la carretta ogni santo giorno.

E anche il talento, come tante altre virtù umane, non è innato, ma va educato.

Serve tanto lavoro. Un lavoro che andrebbe maggiormente rispettato e incoraggiato.

di Marco Lombardi

Per saperne di più su Industria 4.0, è disponibile in formato digitale e cartaceo il libro di Michele Rossi e Marco Lombardi “La Fabbrica Digitale – Guida all’Industria 4.0“.

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