Di braccialetti e altri orpelli

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Ha creato molto scalpore la notizia che Amazon, la multinazionale del commercio elettronico, ha brevettato un dispositivo elettronico che, nel futuro, potrebbe rientrare nelle dotazioni dei dipendenti del colosso guidato da Jeff Bezos.

Il dispositivo sarebbe una sorta di braccialetto che, stando alle prime descrizioni, dovrebbe aiutare i lavoratori a trovare, nelle scaffalature degli enormi centri logistici dell’azienda, i prodotti da impacchettare e mandare in spedizione.

Una sorta di rabdomante elettronico, che interfaccerebbe la posizione del lavoratore e i movimenti delle sue mani con la mappatura della disposizione sugli scaffali delle decine di migliaia di prodotti a magazzino. Il braccialetto comunicherebbe con il lavoratore mediante vibrazioni, che indicherebbero a chi lo indossa se sta cercando nel posto giusto, oppure no, impedendogli di perdere tempo e di aiutarlo nella sua ricerca.

La cosa ha scatenato non poche polemiche. Vediamo perché.

 

Accostamenti poco eleganti

Se andiamo a leggere le notizie originali in inglese, vediamo che il dispositivo di cui si parla è un “wristband”, cioè un “polsino”, una “striscia intorno al polso” non un bracelet, termine quest’ultimo che in italiano significa proprio braccialetto. Può sembrare una disquisizione semantica un po’ fine a sé stessa, ma questa traduzione in “braccialetto elettronico” ha causato la giustificabile repulsione di molti commentatori e lettori, poiché il “braccialetto elettronico” è oggetto riservato a coloro che sono sottoposti a misure di restrizione della libertà personale, per aver compiuto reati anche gravi.

Di qui l’osservazione, basata sull’idea che un braccialetto elettronico sia sempre e comunque una misura restrittiva, che i lavoratori sarebbero trattati come delinquenti, o perché si impone loro un braccialetto elettronico, o perché si limita la loro libertà personale, come a un delinquente. Anche se loro non commettono alcun reato, anzi, lavorano.

 

Le conseguenze dei Big Data

L’altra obiezione si basa su un assioma tipico del paradigma di Industria 4.0: ogni oggetto messo in rete, affianca, allo svolgimento della funzione che gli è propria, una parallela produzione di dati, che confluirebbero, insieme a quelli prodotti da tutti gli altri sistemi e device inseriti nell’ecosistema digitale, a creare masse di dati, i cosiddetti Big Data, destinati poi a essere analizzati e interpretati.

Quindi, se è vero che il braccialetto elettronico dovrebbe essere una sorta di navigatore che aiuta il lavoratore a non perdersi negli sterminati scaffali di Amazon, nel contempo, esso produrrà inevitabilmente informazioni circa la posizione di chi lo indossa, i suoi spostamenti e le sue tempistiche di movimento e di produzione. Dati, questi, che potrebbero essere usati per monitorare – e giudicare – le sue prestazioni lavorative.

 

Nulla di nuovo sotto il sole

Certo, l’idea che una persona possa essere sorvegliata passo passo durante tutti i suoi spostamenti, giustamente ci ripugna.

Sarebbe l’incubo della Libertà personale moderna, come già fu delineata da Benjamin Constant nel lontano 1819. Se è vero che non possiamo fare più come gli antichi greci, che esercitavano la loro libertà andando in piazza a votare per alzata di mano, rinunciando però alle libertà personali, soffocate dalle minuziose regole etiche e di costume dell’epoca, l’uomo moderno ha rinunciato a parte della sua libertà politica, con la democrazia rappresentativa, per accedere a ben più ampie libertà personali.

Ebbene, con l’introduzione di strumenti di sorveglianza così puntuali e capillari, il rischio paventato da molti è che anche la nostra libertà personale sia messa in serio pericolo.

Eppure, per chi si occupa di Industria 4.0, aggeggi come il braccialetto elettronico di Amazon sono cosa già nota. Nulla di nuovo sotto il sole. Tale strumento rientra nel novero delle cosiddette “wearable technologies”, le “tecnologie indossabili” già descritte nell’indagine conoscitiva della Commissione parlamentare Attività produttive, commercio e turismo del 30 giugno 2016.

Quindi, al di là del nome odioso dato al dispositivo di cui stiamo parlando, il rischio di un controllo troppo invasivo sussiste non solo per esso, ma per ogni strumento di Industria 4.0. Ma rischio per chi? Per il controllato o per il controllore?

 

La salvaguardia del diritto

In realtà, se è vero che ogni dispositivo produce dati in quantità e se da tali dati è sicuramente possibile, mediante la loro analisi, definire anche dei profili comportamentali dei soggetti che li utilizzano, sta agli utilizzatori seguire delle regole etiche, legali e disciplinari tali da contenere e azzerare tali rischi.

In altre parole, sta ai singoli, ai manager e agli amministratori dei sistemi fare in modo che i dati personali siano tutelati e non possano essere utilizzati contro i titolari dei dati stessi. A salvaguardia della libertà individuale e della dignità delle persone.

Se è vero che i dati possono essere misurati e analizzati, è anche vero che i dati possono essere bloccati o oscurati, per lo stesso motivo per cui, se facciamo un acquisto in un negozio, il negoziante verrà pagato, ma non avrà i dati della nostra carta di credito. Questo perché il sistema di gestione dei pagamenti non renderà visibili o accessibili quei dati al negoziante, ma solo alla nostra banca, che accrediterà all’esercente l’importo del nostro acquisto.

È una questione di gerarchia e di classificazione dei dati, che dovranno essere amministrati in ossequio alla legislazione vigente che, per quanto riguarda l’Italia, vieta espressamente ogni forma di controllo a distanza del lavoratore.

In altre parole, il datore di lavoro non ha, grazie a Industria 4.0 nuovi e più potenti strumenti di controllo e di sorveglianza, per il semplice fatto che tali forme di controllo e sorveglianza non erano ammissibili prima della digitalizzazione e non lo saranno nemmeno dopo.

Industria 4.0, se correttamente capita e applicata, non è una nuova, più efficiente e invasiva “baby sitter” elettronica, ma una concreta possibilità, data prima di tutto al management, per adottare nuovi criteri di valutazione del personale. Meno cartellini da timbrare e più obiettivi – definiti in modo chiaro e condiviso – da raggiungere.

di Marco Lombardi

Per saperne di più su Industria 4.0, è disponibile in formato digitale e cartaceo il libro di Michele Rossi e Marco Lombardi “La Fabbrica Digitale – Guida all’Industria 4.0“.

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