Perché scende la produzione

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Come da tradizione Cna (la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media impresa) ha pubblicato all’inizio dello scorso autunno i dati aggiornati sull’andamento dell’output manifatturiero nel nostro Paese lungo tutto il periodo compreso fra i mesi di gennaio e luglio di questo stesso anno. Le cifre sono il risultato delle elaborazioni compiute dal Centro studi della Confederazione stessa partendo dalle rilevazioni di Istat, l’Istituto nazionale di statistica. Quel che balza immediatamente agli occhi è che a luglio «la manifattura italiana ha segnato una brusca battuta di arresto» che si è tradotta in una diminuzione dell’1,7% dell’attività produttiva «rispetto al mese precedente». Il decremento è stato accompagnato da una flessione dell’1,2% su base annua. Gli analisti hanno quindi osservato che «il dato negativo non rappresenta un fulmine a ciel sereno dacché, nel corso del 2018, la produzione manifatturiera era diminuita su base congiunturale anche nei mesi di gennaio (-0,7%), febbraio (-1,7%) e aprile (-0,8%)». Certamente, «la produzione manifatturiera realizzata nei sette mesi che vanno da gennaio a luglio è restata comunque in terreno positivo» (ha infatti archiviato un +2,5%). Ciononostante, è risultata evidente anche la «decelerazione rispetto al 2017 quando, nello stesso periodo, era stato invece registrato un incremento tendenziale» pari a tre punti percentuali. Nella sua analisi Cna ha preso quindi in considerazione via via i vari comparti del manufacturing tricolore. Nove su tredici fra questi, è stato sottolineato, hanno seguitato a incamerare dei progressi rispetto a quanto visto nel 2017. Tuttavia, solamente in quattro circostanze la performance della produzione ha denotato una effettiva accelerazione; e in particolare questa ha riguardato segmenti come quello della farmaceutica. Allo stesso tempo, limitate sono apparse anche le «inversioni di tendenza», patite da aree come il tessile e l’abbigliamento e le apparecchiature elettriche. Più in generale, «fatta eccezione per il tessile-abbigliamento, i settori del made in Italy nei quali è maggiore la presenza dell’artigianato e delle imprese di piccola dimensione hanno accusato frenate significative», è la riflessione espressa da Cna a questo proposito. Lo scivolone è stato pari a-2,3 punti per quel che riguarda gli alimentari (che sono passati dal +3,8% al +0,9%) ed è stato calcolabile, al contrario, in 1,8 punti nell’ambito della meccanica (dal  +6,5% al +4,7%)».

Interpretare i dati

Cna ha proseguito cercando di inquadrare questi risultati in un contesto più ampio e ha tracciato una correlazione fra il comportamento dell’industria italiana e lo scenario produttivo internazionale. «Il rallentamento della produzione manifatturiera», è la considerazione espressa dal documento uscito a settembre, «riflette soprattutto l’indebolimento degli scambi internazionali. Tanto nel primo quanto nel secondo trimestre, infatti, le esportazioni nette hanno fornito un contributo negativo alla formazione del Prodotto interno lordo o Pil». Questo «contributo negativo» è stato stimato, per i due trimestri, rispettivamente nel -0,2% e nel -0,5%. Non solo. Il Centro studi della Confederazione si è successivamente soffermato sul peggioramento, innescato a partire dal mese di ottobre dello scorso anno, del clima di fiducia delle imprese. In linea con quanto visto anche in passato, il peggioramento si è fatto più marcato nella seconda metà dell’annata ed è conseguentemente risultato «particolarmente pronunciato» ad agosto del 2018. Due, stando a quanto riportato dallo studio, i fattori che più hanno influenzato questa perdita di ottimismo e fiducia. Si tratta dei giudizi negativi e degli indicatori in diminuzione in relazione agli ordinativi e alla produzione medesima. E poi, non da ultimo, l’aumento delle scorte di magazzino, indice di una minore vivacità dei mercati.

 

 

 

 

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