Industria 4.0: no agli eccessi, sì al lavoro strategico!

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Intervista al professor Giambattista Gruosso, docente del dipartimento di Elettronica, informazione e bioingegneria del Politecnico di Milano.

Come coniugare gli incentivi 4.0 con le reali esigenze di un’azienda. Qual è il segreto?

Quel che è emerso è la necessità di un forte lavoro strategico da parte degli imprenditori, che devono sapere in quale direzione stiano andando in modo da evitare spese inutili o fatte per il solo scopo di accedere agli incentivi. Il rischio di eccedere negli investimenti è concreto, mentre a volte basterebbe rivedere i processi e gli strumenti interni di gestione delle informazioni. In una parola, la riorganizzazione, porterebbe, da sola, degli enormi vantaggi. Importante, inoltre, è che tutte le funzioni aziendali e non solo alcune figure specifiche siano coinvolte nel cambiamento e nella formazione, che vanno invece condivise a 360 gradi. Una volta compiuti questi passi si può dare vita ai primi progetti pilota: vanno identificati gli aspetti sui quali lavorare e le risorse implementative più idonee, anche in termini di competenza. È bene che le imprese siano consapevoli del fatto che si tratta di un percorso lungo il quale i dipendenti vanno guidati: il tutto e subito può rivelarsi una politica perdente.

Come è possibile estendere questa filosofia operativa alla totalità di una supply chain?

Il bisogno di ragionare e lavorare in un’ottica completa di filiera rappresenta un’altra tematica essenziale. Non soltanto i fornitori ma anche i clienti devono essere aperti a una logica 4.0, perché se così non fosse il pericolo è di guadagnare sì in efficienza da un lato, ma di scoprirsi al contrario inefficienti dall’altro. Il presupposto è comprendere quali siano le reali esigenze dei clienti in maniera tale da fornire loro prodotti il più possibile personalizzati. Anche in questo caso sarebbe fuorviante procedere per tentativi senza una roadmap precisa alle spalle. Significherebbe sprecare tempo e risorse senza che il valore dei prodotti venga riconosciuto.

Quali sono i tempi di implementazione di un’efficace strategia ispirata a Industria 4.0?

È difficile calcolarli in anticipo, sulla carta ma quel che è certo è che anche sotto questo riguardo la fretta sarebbe cattiva consigliera. L’installazione di un macchinario e la raccolta di un adeguato quantitativo di informazioni sono operazioni che potrebbero durare sino a due anni; altrettanto l’elaborazione dei dati ottenuti. Vuol dire che le prime evidenze concrete per orientare la  manutenzione predittiva-preventiva potrebbero essere disponibili e affidabili solo a distanza di quasi cinque anni, perché servono algoritmi adatti, non facili da sviluppare.

Tutto questo non sembra completamente in linea con la vulgata sulla quarta rivoluzione.

A volte è in effetti passato il messaggio che tutto sia realizzabile in maniera molo rapida e d’altra parte è vero che alcuni costruttori integrano già nelle macchine e nei sistemi le loro soluzioni di analisi e gestione dei dati, basate sul rispettivo expertise, sui controlli proprietari. Il punto è che le informazioni vanno poi messe in relazione col resto dell’ecosistema di fabbrica: le macchine, certamente, ma anche gli applicativi e gli stessi utensili. Per questo una riflessione preliminare approfondita è doverosa. Perché potrebbe permettere di decidere di investire solo in software analitici; o soltanto in macchine. Insomma di colmare i gap là dove ve n’è reale necessità, magari investendo nelle partnership con start-up innovative in grado di assicurare degli strumenti mirati allo studio dei dati e all’ottimizzazione dei processi.

Non era questa, in fondo, una fra le prerogative principali del Piano Calenda?

Era uno dei suoi pregi maggiori: creare un ecosistema d’innovazione del quale il Patent Box era componente integrante, vista anche la sua capacità di coinvolgere a pieno titolo la ricerca. Alcuni eventi recenti hanno fatto emergere il caso di una regione come il Piemonte nel quale la misura più popolare fra quelle previste nel programma per Industria 4.0 è stato proprio il credito d’imposta per la ricerca. Significa che le imprese piemontesi hanno capito il senso reale del piano, e del modo di fare innovazione che esso propone, grazie anche all’operato delle sigle di categoria, delle università, che hanno creato uno know-how diffuso.

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