Stop al diesel: le ripercussioni sulle PMI

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Si fa presto a dire basta diesel. Certo l’attenzione all’ambiente è sacrosanta, ma cosa rispondere a tutte quelle imprese manifatturiere, officine, fonderie, carpenterie e aziende metalmeccaniche, soprattutto Pmi, che potrebbero essere messe in ginocchio da questa repentina presa di distanza dal gasolio? La domanda è più che legittima, perché ad andarci di mezzo è un’importante fetta della nostra produzione industriale, per non parlare delle ripercussioni sull’occupazione e sull’economia in generale. Per farla ancora più semplice: quanto costerà l’addio al diesel alle nostre imprese?

Stop alle motorizzazioni diesel, disagi non solo per automobilisti

Nelle intenzioni del legislatore si va verso un possibile blocco completo delle vetture a gasolio entro il 2020.

È ormai da tre anni che il mondo del diesel e tutto ciò che ci gira intorno non hanno pace. E ora anche l’Europa ha dichiarato guerra al gasolio, puntando di fatto allo stop definitivo da qui a un paio d’anni al massimo: in buona sostanza si mira al blocco completo entro il 2020, come è stato ribadito dal voto del Parlamento europeo del 3 ottobre scorso, che accelera un trend già ampiamente consolidato, se è vero che anche prima dello scandalo Usa le preferenze per il diesel andavano calando: dal 55% del 2012 all’attuale 38%, con una crescita delle motorizzazioni alternative al ritmo del 50% annuo (oggi in Europa toccano quota 5,5%, e non si può quindi più parlare di “nicchia”).

Una “rivoluzione” che sconvolgerà l’indotto

Insomma, siamo di fronte a una “tempesta perfetta”, certo prevedibile ma più rapida di quanto molti si aspettassero: e la cosa non interessa solo i produttori ma, a effetto domino, coinvolge tutto il loro indotto. Parliamo dei fornitori attivi nel settore della componentistica automotive, molti dei quali fino ad oggi hanno sviluppato il proprio core business, e la maggioranza dei propri fatturati, realizzando componenti e soluzioni pensati per autovetture diesel. E che oggi, di punto in bianco, rischiano di vedersi letteralmente mancare la terra sotto i piedi.

Le cifre della preoccupazione

Telai più leggeri, un numero decisamente minore di componenti, senza contare un atteggiamento di incertezza, da parte del mercato, che potrebbe determinare un calo delle vendite nell’immediato, almeno in attesa che i trend si facciano più definiti.

E le aziende sono ancora per la maggior parte impreparate, tanto che, si stima, meno di un quinto delle aziende di componentistica ha partecipato a iniziative, sperimentazioni o progetti riguardanti powertrain elettrici o ibridi, e circa 7 su 10 ammettono di non aver seguito nessuno sviluppo di nuove tecnologie.

Cosa cambia?

Telai più leggeri e riduzione del numero dei componenti sono i più significativi cambiamenti per le PMI dell’automotive nel passaggio da diesel a elettrico o ibrido.

L’alleggerimento dei telai dovuto alle esigenze di miglioramento dell’autonomia dei nuovi propulsori, che si realizzano con appena una quarantina di pezzi, contro i circa 3mila di un tradizionale motore diesel, creerà non pochi grattacapi alle aziende metallurgiche, che dovranno rivedere gli interi processi produttivi alla luce, ad esempio, dell’assottigliamento dei volumi e degli spessori e della diversa distribuzione dei pesi.

Limitandoci al segmento della componentistica per motori endotermici e, soprattutto, della carpenteria metallica (carrozzerie, scocche, telai), quante saranno in Italia le realtà che non saranno in grado di fare fronte senza gravi scossoni a cambiamenti tanto drastici e repentini?

Anche se è impossibile fornire dati precisi, c’è da scommettere che, soltanto nella platea dell’indotto Fca, non saranno affatto poche, se si considera che oggi, a seguito della strategia di esternalizzazione partita negli anni Ottanta e rafforzata nei decenni successivi, fino all’80% dei componenti e sistemi di un veicolo Fiat è progettato e prodotto da fornitori esterni. Va da sé che, con il passaggio all’elettrico, gran parte di questo indotto dovrà mutare pelle, e saranno numeri non da poco.

Ma ogni crisi è un’opportunità

Le nuvole, dunque, sembrano addensarsi fosche sulla filiera della componentistica, e iniziano a turbare seriamente i sonni di molti imprenditori legati a doppio filo alle forniture per veicoli ad alimentazione endotermica. Non dimentichiamo, però, che ogni cambiamento rappresenta anche un’opportunità: innanzitutto per alcuni produttori, come quelli di scocche in alluminio, che potranno beneficiare di questa transizione. In generale, comunque, lo sviluppo e la crescita delle motorizzazioni alternative potrebbero rappresentare una possibilità di crescita per le imprese che sapranno coglierla con tempestività, intelligenza e lungimiranza. A ricordarlo è proprio l’ultima edizione dell’Osservatorio sulla componentistica automotive italiana, una pubblicazione realizzata con un duplice obiettivo: approfondire punti di forza e debolezza delle imprese italiane e collocarli nel quadro complessivo di opportunità e minacce che emergono dagli sviluppi dell’industria a livello internazionale. «L’industria automotive globale – è la premessa – è al centro di profondi cambiamenti che potrebbero portare all’affermarsi di scenari futuri dominati da veicoli a motorizzazioni alternative, auto a guida autonoma, o città riorganizzate sulla base di nuovi paradigmi di mobilità. Le imprese italiane della componentistica potrebbero rappresentare il futuro dell’industria della mobilità in Italia, ma le sfide da vincere sono numerose».

L’articolo completo è disponibile sul numero di Lamiera – dicembre 2018

 

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