Stampi in acciaio in additive manufacturing

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In questo articolo verrà analizzata la tecnologia LPBF (Laser Powder Bed Fusion) e, in particolare, la trattazione sarà incentrata sulla realizzazione degli stampi con tale metodo, con lo scopo di evidenziarne i vantaggi in termini di scambio del calore e di innalzamento dell’efficienza globale del processo di stampaggio.

Terminologia, un po’ di chiarezza

La SLS e la SLM sono due tecniche praticamente uguali, in quanto fondono entrambe la polvere tramite laser (la sinterizzazione non avviene effettivamente, perché necessiterebbe di un contributo sia di pressione che di temperatura). Il termine “sintering” è rimasto solo come retaggio storico, visto che inizialmente avveniva la sinterizzazione vera e propria con contributo di pressione. In generale, i tempi di fusione e solidificazione sono di pochi millisecondi, quindi si ottengono grani fini. C’è da dire che tale tecnica è utilizzata da diversi produttori, con acronimi diversi: EOS, ad esempio, la chiama DMLS (Direct Metal Laser Sintering); 3D Systems DMP (Direct Metal Printing); la SLM Solutions, appunto, SLM e così via. La normativa, per tale motivo, ha stabilito di identificare tale tecnologia con LPBF (Laser Powder Bed Fusion) per non scontentare nessuno. Ad ogni modo, SLM, DMLS, DMP e LPBF possono ritenersi dei sinonimi.

Il processo LPBF

Come si vede dallo schema riportato in Figura 1, la macchina è composta da un elemento centrale detto “elevatore” che si muove lungo l’asse Z ed ha la funzione di abbassare la piattaforma di un valore ΔS, ogni volta che viene fuso uno strato di polvere. Vi sono poi due “contenitori” di polvere e due di “overflow”, dentro i quali viene contenuta la polvere in eccesso. Vi è poi un rullo o una racla (varia a seconda del produttore della macchina), che si muove da sinistra verso destra lungo l’asse x, prendendo la polvere dal contenitore e stendendola il più uniformemente possibile sulla piastra, portando l’eccesso nell’overflow, appunto. Dopo di che il laser (in posizione fissa), attraverso un sistema di specchi (che permette di avere un fascio il più possibile perpendicolare alla polvere, cosa non facile tanto più ci si allontana dal centro della piastra), fonde la polvere, realizzando il primo layer.

All’interno del volume di lavoro, è necessario avere un’atmosfera inerte affinché non si ossidi la sezione di polvere. Pertanto, si insuffla dell’argon o dell’elio, a seconda del materiale che si sta lavorando.

 

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