Tecnologie per fotopolimeri

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In questo articolo verranno analizzate le tecnologie Polyjet e Project, particolari tecniche di additive manufacturing che processano fotopolimeri in modo molto esclusivo.

La Polyjet è una tecnologia di proprietà di Stratasys. Il processo, in realtà, è stato sviluppato dalla società israeliana Object Geometries (poco prima degli anni 2000), che è stata in seguito acquisita dalla casa americana suddetta, a seguito di un accordo commerciale.

Le fasi del processo prevedono fondamentalmente la deposizione e contemporanea solidificazione di uno strato deposto. Il materiale usato è un fotopolimero (resina termoindurente su base epossidica) dove pezzo e supporto sono realizzati con fotopolimeri differenti, ed in particolare, quello del supporto è solubile in acqua per facilitare la sua rimozione senza l’ausilio meccanico che potrebbe rovinare il pezzo.

Fisica del processo

Come si vede dalla Figura 1, vi è una testina di stampa multi ugello (alternati tra materiale del pezzo e materiale del supporto) che deposita il fotopolimero, e due lampade UV, che hanno il compito di fotopolimerizzare (e quindi solidificare) il materiale depositato. La testina ha lunghezza pari a quella della piattaforma sottostante e si muove lungo l’asse x, mentre la piattaforma si sposta lungo z verso il basso. Ultimata la stampa è possibile rimuovere i supporti mediante getti d’acqua. I fotopolimeri per il modello da realizzare e per il supporto sono inseriti in apposite cartucce stagne, collegate mediante dei tubicini alla testina, quindi non vi è rischio che l’operatore tocchi la resina. Il multiugello della testina produce pezzi con precisione inferiore rispetto, ad esempio, alla stereolitografia (SLA), ciononostante è una tecnica additiva vincente. Il processo di costruzione, inoltre, è più rapido e non necessita di post-trattamento, rispetto alla stereolitografia, in quanto la solidificazione è completata durante la deposizione ed immediata solidificazione mediante le lampade UV. È evidente che il fotopolimero dei supporti deve essere poi smaltito come qualsiasi altro termoindurente e trattato, quindi, come rifiuto speciale, rispetto al PVA (termoplastico), utilizzato nella tecnologia FDM (Fused Deposition Modelling). Le due lampade UV (anteriore e posteriore) seguono solitamente la seguente strategia: quando la testa di lavorazione avanza l’anteriore è spenta e in questo momento le testine multi ugello depositano il materiale. Una volta ultimata la passata, si accende la lampada posteriore ed esegue la fotopolimerizzazione del materiale. Quando torna indietro, il sistema inverte l’accensione così da sfruttare le due direzioni per poter solidificare il materiale deposto, rendendo il processo più veloce ed efficiente.

 

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