Gamification, come imparare a lavorare con gioia

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Se trasferite al mondo delle professioni – manifattura inclusa -, le logiche del gioco (gamification) possono essere di grande aiuto per formare per esempio squadre omogenee e collaborative di dipendenti motivati. Lo dimostrano fra l’altro le esperienze qui commentate dal consulente e divulgatore Alessio Sperlinga.

Le nozioni di base del controllo gestionale d’impresa – attività quanto mai critica nel contesto dell’industria contemporanea – possono essere trasmesse e recepite efficacemente ricorrendo ai ben noti mattoncini Lego: incastrati l’uno all’altro, di nuovo ricomposti e risistemati. È questa la base di un corso recentemente proposto nel quadro del master di formazione Lecco100 e seguito fra gli altri dal consulente informatico, divulgatore e formatore Alessio Sperlinga. Della validità del trasferimento delle logiche del gioco al business e al mondo del lavoro, quindi dell’essenza stessa della cosiddetta gamification, Sperlinga è convinto sostenitore. «La gamification – ha detto a Stampi riprendendo le riflessioni affidate anche a un post su Linkedinrisponde alla necessità di imparare qualcosa in uno stato mentale positivo. Ha radici negli studi dello psicologo e pedagogista svizzero Jean Piaget e nel suo ciclo del piacere, nella coazione a ripetere che è fra i presupposti dell’apprendimento infantile. E poi ancora in Seymour Papert, informatico convertito alle scienze cognitive, con la teoria del costruzionismo secondo la quale attraverso il gioco i bambini imparano a costruire un mondo. E il rimando ai Lego è qui evidente».

Quel che agevola lo sviluppo di un bambino fa crescere anche gli adulti, sebbene chiaramente le loro esigenze siano diverse. Specie in ambito lavorativo. «Da adulti – ha proseguito – il gioco mantiene una valenza positiva per l’autostima, sia che lo si pratichi da soli sia con altri. Vuol dire che imparando qualcosa si memorizzano anche emozioni e sentimenti provati in un dato momento: se ci si annoia, una certa materia richiamerà la noia; e così via. In particolare, poi, i videogame rendono accessibile dovunque lo stato mentale positivo del gioco e le emozioni a esso connesse». Per quel che attiene ai videogiochi, il maestro Sperlinga ha a sua volta una maestra e cioè la studiosa Jane McGonigal, autrice non a caso del volume “La realtà in gioco“. «McGonigal – ha spiegato Sperlingasostiene provocatoriamente che la realtà è da buttare perché e noiosa, solitaria e povera di soddisfazioni, mentre i videogame sono interessanti, divertenti e ci permettono di imparare sempre dai nostri errori con una buona probabilità di vincere in futuro. Realizzano cioè le tesi della psicologia umanistica con la quale Abraham Maslow ha studiato i comportamenti delle persone sane, con una vita soddisfacente identificando gli elementi chiave dell’esperienza positiva».

Il bello dei videogiochi

Pongono «ostacoli chiari e ambiziosi da superare, con regole precise e interessanti»; agevolano un «miglioramento consapevole e possono ripartire da zero in qualsiasi istante», il che è già di per sé fonte di sensazioni positive. Un eventuale fallimento non causa ansie né – salvo per le conclamate ludopatie – particolare turbamento; negli scenari multiplayer «si creano legami sociali solidi, basati su valori positivi, sul sacrificio personale e l’apprezzamento che ne deriva dalla partita successiva». Nel gioco, per dirla come David Bowie prima ancora che con la letteratura e la saggistica «possiamo essere eroi».

McGonigal suggerisce di modificare la realtà, ad esempio sul lavoro, inserendo questi elementi per la maggiore felicità delle persone. Dando vita cioè a quelle condizioni favorevoli all’apprendimento cui s’è fatto cenno più su. E se i videogame sono sovente utilizzati a scopi di team building, selezione e marketing, il gioco in sé si adatta alla perfezione anche alla manifattura. «Nelle occupazioni che contemplano una componente pratica importante – è l’opinione dell’intervistato – è anzi più facile attivare uno schema di gioco. Gli artigiani e gli operai sono inconsapevolmente seguaci del costruzionismo. Agiscono spesso e necessariamente su schemi ripetitivi e la ripetizione crea riti, sicurezze: nel gioco c’è in più l’aspettativa di emozioni positive».

L’uso di monitor e programmi che rendano visibile in tempo reale l’effetto che chi lavora ha sul processo di produzione genera un feedback positivo sulla persona che sperimenta e cambia il suo modo di lavorare per vedere cosa succede e per raggiungere un obiettivo.

Tradurre la filosofia ludica nella lingua delle professioni contemporanee resta una sfida, ma i punti di contatto fra i due mondi non mancano. Far sì che il sito web di una società guadagni posizioni sui motori di ricerca equivale per certi versi «a un passaggio di livello in un gioco di ruolo». In più, «si può ipotizzare lo sviluppo di ambienti virtuali dove la riduzione degli scarti di lavorazione è premiata, cosicché si possa pianificare una vera strategia per ottimizzare la resa delle macchine». È un risultato «immediato, tangibile, trasferibile dalla virtual reality sino alla realtà delle attrezzerie». Più che al ludus in sé è ai sentimenti che esso suscita che bisogna quindi guardare, alla sua capacità di prepararci «ad accettare i rischi» comunemente insiti in qualsiasi professione o nella familiarizzazione con le funzionalità delle macchine utensili: «Un errore non è soltanto ammesso – ha concluso Sperlinga, ma è prezioso per memorizzare che cosa non fare e agire di conseguenza».

Gioco, dunque produco

La presenza del concetto di gioco nel contesto di un evento dedicato alla manifattura qual è l’edizione 2020 della fiera MECSPE (al tema è peraltro riservata una tavola rotonda ad hoc moderata dalla giornalista freelance Gaia Fiertler, esperta di management, trasformazione digitale e di robotica, risorse umane) si deve al fatto che le logiche del gaming stanno entrando sempre più prepotentemente a far parte delle logiche d’impresa tout court. Il come lo dimostrano alcune esperienze nelle quali l’adozione di scenari ludici si piega in azienda alle esigenze della formazione della forza lavoro, del marketing, della collaborazione in squadra e della pianificazione. La cosiddetta gamification prevede che i partecipanti si muovano su scenari virtuali ma studiati in modo da ricreare fedelmente situazioni e interazioni tipiche della vita reale. Il presupposto essenziale è che del gioco essi accettino in toto le regole senza ricorrere a trucchi ed escamotage. Se l’idea funziona è perché nel contesto di una partita i giocatori raggiungono una condizione di vera trance agonistica. È lo stato di flow, lo stato di grazia che facilita l’apprendimento e che nel gioco si raggiunge in soli 30 secondi contro i 30 minuti che altre attività impiegano a creare.

Tommaso Buganza, docente di dipartimento di Ingegneria gestionale del Politecnico di Milano.

Tommaso Buganza, docente di dipartimento di Ingegneria gestionale del Politecnico di Milano, ha ricordato come la gamification trovi spazio oggi in una varietà di settori che vanno dalla ICT ai servizi, passando per esperimenti quali l’insegnamento dei meccanismi della microeconomia nei paesi in via di sviluppo. Il paradigma è applicabile anche all’industria manifatturiera. «Ci sono vari livelli di gamification – ha detto Buganza e interessanti che vanno oltre l’hi-tech per approcciare la manifattura. Le tecnologie avanzate, spesso collegate a meccanismi derivati dai giochi, possono essere usate per velocizzare i processi di apprendimento; e l’introduzione di logiche di gioco può contribuire ad aumentare sia l’efficienza dei processi sia il livello di ingaggio delle risorse umane».

Molto vicini alle esigenze dei tradizionali partecipanti a MECSPE sono «i casi», citati da Buganza, «di manutenzione supportata da sistemi di realtà aumentata. Qui gli operatori sono dotati di visori in grado di aggiungere contenuti virtuali e digitali alla visione in modo tale da essere guidati nel corso degli interventi d’assistenza senza dover imparare a memoria le procedure o interrompere il flusso di lavoro per consultare manuali operativi. Soprattutto nel processo di training gli operatori sono guidati con metodi ludici, sì, ma disegnati per agevolare e certificare l’aumento delle competenze».

Esperimenti illumina(n)ti

Un esempio da manuale è quello di Praxedo, specialista delle soluzioni basate su cloud a uso del personale di campo. Mentre il colosso globale dell’e-commerce Amazon, «in cinque magazzini fra Stati Uniti e la Gran Bretagna ha applicato le regole della gamification ai processi operativi con l’obiettivo di incrementare le performance e il livello di ingaggio degli addetti, introducendo fra loro delle logiche di competizione, ma in mondi ispirati ai giochi e fondati sulle loro dinamiche». Ha ideato un trading game per descrivere le potenzialità della sua piattaforma Open Desk anche l’operatore del mercato liberalizzato del gas e dell’energia con sede a Bologna Illumia. L’intenzione era quella di spiegare a privati e aziende come pianificare gli acquisti di energia e gas minimizzando i rischi legati alle oscillazioni delle tariffe. La società ha suddiviso i partecipanti in diverse squadre. Obiettivo di ognuna era stipulare i contratti di fornitura più vantaggiosi sulla scorta dei listini proposti e delle previsioni per i mesi successivi e il prossimo anno; più altre informazioni a corredo sull’andamento dei mercati. «L’idea – ha riferito il director di Illumia, Massimiliano Brialdici è esplosa fra le mani. L’ambiente ludico-virtuale ha avuto riscontri impensati e per questo vorremmo riproporla con finalità di training a uso del personale interno e degli agenti corporate». La gamification fondata sull’idea del learning by doing, l’apprendimento sul campo, «può rivelarsi di aiuto per veicolare ai potenziali interlocutori» informazioni critiche sull’offerta di un’azienda. Non a caso, il passo che Illumia aveva ipotizzato era quello di proporre il trading game ai venditori e ai consulenti che dialogano da più vicino e più fittamente con il business, fra piccoli e grandi player.

Gamification: le risorse umane sono della partita

La multinazionale dei servizi HR The Adecco Group ha invece collaborato con la service design company Logotel allo sviluppo di Snooze, digital experience, un gioco sui generis nato con l’intento di dare ai millennial uno strumento per conoscere sé stessi e orientarsi nel mercato delle professioni seguendo le loro inclinazioni e passioni. Non è limitato a uno specifico settore, ma può essere invece un’opportunità per chiunque voglia affrontare con più consapevolezza il mondo del lavoro. Si tratta di un viaggio in uno scenario onirico lungo il quale il candidato, trasformato in una sorta di avatar, è accompagnato dalle figure immaginarie dei sonnoli. Metafora, storia e mistero sono, secondo la head of talent strategy & employer branding di The Adecco Group Italia, Elena Tedoldi, i punti forti della piattaforma e il loro scopo è quello di attrarre l’utente sorprendendolo di continuo. «L’esperienza della piattaforma – ha sottolineato – mette il gamer di fronte a 10 sfide, proiettandolo all’interno di un’esperienza cinematografica ai confini del cortometraggio. Una volta terminato il viaggio viene quindi stilato un profilo che evidenzia le sue attitudini e le motivazioni prevalenti». Per una società come The Adecco Group, in Italia con oltre 3.000 collaboratori, l’esperienza di gamification si pone diversi obiettivi. «Dà a noi la possibilità di conoscere meglio il candidato prospect – ha commentato Tedoldie a questi di conoscer meglio sé stesso. Il profilo che riceve via email al termine del gioco gli restituisce una descrizione su attitudini e motivazioni prevalenti utile anche per poter affrontare un colloquio di lavoro in modo più consapevole. Mettersi alla prova con Snooze può rappresentare un’opportunità per scoprire qualcosa in più sul proprio carattere, il modo di agire e di interpretare le situazioni e infine, perché no, i sogni che si coltivano per il futuro».

La validità del meccanismo ludico applicato alle imprese è stata indagata anche da altre fonti. «Nel game – si legge nel blog di Playoff, piattaforma pensata per incontrare le esigenze degli HR manager – ogni azione è misurata e misurabile: il comportamento degli utenti è quantificabile con punteggi, livelli e classifiche. Così, non è solo possibile avere un quadro dell’andamento delle risorse interne (o esterne), ma soprattutto una profilazione specifica per ogni persona coinvolta». Playoff ha riassunto gli esiti di alcuni esperimenti presso società dei servizi come T-Systems Ungheria – del gruppo informatico e delle telecomunicazioni T-Service -, per la quale l’abilità che gli utenti dimostrano nel districarsi fra le varie macroaree di un gioco diviene una discriminante fondamentale per il loro successivo accesso ai colloqui con i responsabili dello scouting. La sperimentazione ha interessato 4.200 utenti, in maggioranza millennial (63%) e ha dato modo di velocizzare le procedure di selezione riducendone al tempo stesso i costi. Altrove, negli USA e nel comparto della ristorazione, la gamification si è concretizzata con l’implementazione di un portale che ha consentito di tagliare del 20% il tasso di abbandono degli addetti, valorizzandone le skill.

Esiti misurabili

Ancora, Playoff ha ripreso i dati di HR “Trends and Salary Report 2017” di Ranstad basato su interviste a 355 responsabili HR e manager italiani. Il 65% ha affermato «che l’HR gamification possa supportare con successo le attività tradizionali». Il 20% che possa sostituirle, «agevolando le procedure dei recruiter». Il 44% lo ha definito «utile per stimolare la creatività, il coinvolgimento e la motivazione», il 43% «importante in quanto utilizza linguaggi tipici delle nuove generazioni». L’esperto Fabio Viola coordinatore didattico del master in Engagement & Gamification dello IED di Milano, membro del comitato scientifico del master in Gamification dell’Università Tor Vergata a Roma e curatore di gameifications.com, s’è occupato di recente sul suo blog di due casi originali. L’uno è quello di MyGame, una applicazione scaricabile su smartphone che Assicurazioni Generali propone non già ai suoi collaboratori, ma alla clientela finale, con dichiarate finalità didattiche. MyGame è un quiz suddiviso in 26 prove e introdotto da quattro personaggi o eroi: ai partecipanti presenta quesiti a risposta multipla su tematiche che spaziano dalle politiche ambientali al codice della strada e alla sicurezza; la salute oppure ancora i corretti stili di vita. L’elaborazione delle risposte e l’assegnazione dei punteggi è accompagnata da commenti e consigli che mirano appunto a creare e stimolare la cultura degli assicurati in relazione agli argomenti menzionati poco più su. Diverso è l’intento di UbiVerse, avventura virtuale su scenari fantascientifici che Ubi Banca ha messo a punto con lo scopo di aiutare gli utilizzatori a dare il meglio di sé in un eventuale colloquio di lavoro. Per questo, mira a mettere alla prova le capacità dei singoli di risoluzione dei problemi, di scelta dei partner e – quindi – di lavoro in squadra, anche qui senza lesinare sui consigli di utilità. Viola ha riportato nei suoi post le dichiarazioni che il gruppo ha affidato a un comunicato e secondo le quali il gaming è usato da circa un anno per favorire l’inserimento dei neoassunti, in linea con le strategie a supporto del recruiting e del coinvolgimento tipiche oggi «delle aziende più dinamiche».

La presenza del concetto di gioco nel contesto di un evento dedicato alla manifattura qual è l’edizione 2020 della fiera MECSPE si deve al fatto che le logiche del gaming stanno entrando sempre più prepotentemente a far parte delle moderne logiche d’impresa.

di Doyle Watson

www.semprepresenti.it

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