Cavitazione nelle pompe volumetriche a cilindrata variabile

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Nel dimensionamento delle condotte di aspirazione delle pompe oleodinamiche ci si affida spesso solo a un generico sovradimensionamento del loro calibro o a una limitazione della velocità del fluido in esse al di sotto del valore convenzionale di 1 m/sec. Parlare di velocità nella condotta di aspirazione prescindendo dalla sua lunghezza è già un errore di per sè, ma non basta: molti altri fattori concorrono al possibile innesco del fenomeno della cavitazione, fra cui rapide variazioni di portata delle pompe.

Quando la pressione locale in un fluido sia inferiore alla sua tensione di vapore, iniziano a formarsi in esso delle microbolle che possono aggregarsi in bolle dimensionalmente più grandi. Questo fenomeno detto di nucleazione è favorito dalla presenza di impurità nel fluido o dalla rugosità delle superfici su cui esso scorra. La formazione di macrobolle è tanto più probabile ed evidente qualora il fluido presenti elevate percentuali di acqua in sospensione la quale, evaporando a causa della bassa pressione e della temperatura del fluido, mescola i suoi vapori a quelli dell’olio. Quando la pressione del fluido torna a salire velocemente, tali bolle implodono producendo l’equivalente di micro esplosioni che possono intaccare perfino le superfici più dure, inducendo il fenomeno del pitting. Per quanto la tensione di vapore dell’olio idraulico non superi gli 0,1 hPa, per varie concause è possibile che tale valore sia raggiunto nel condotto di immissione delle pompe, innescando il fenomeno della cavitazione con conseguente rapido degrado di queste macchine, nel passaggio del fluido dalla depressione della bocca di immissione alla pressione di quella di mandata.

Cause di cavitazione nelle pompe oleodinamiche volumetriche

Nel linguaggio comune si dice che le pompe aspirano il fluido, perché esso è visibilmente risucchiato dentro la condotta di immissione. La realtà fisica è altra: quando le pompe volumetriche sono azionate, al loro interno si generano degli spazi, dei vani che prima non c’erano e perciò teoricamente pieni di vuoto. La pressione atmosferica (mediamente 1,013 bar) che insiste sul pelo libero nel serbatoio rappresenta la prevalenza che spinge il fluido nella condotta di immissione della pompa. Ad esso può aggiungersi una prevalenza piezometrica, qualora la superficie libera del fluido si trovi più in alto della bocca di immissione della pompa. Posto che il fluido sia olio idraulico di massa volumica ρ ≈ 880 kg/m3, è necessario un dislivello di 11,4 m per aggiungere un altro bar a quello della pressione atmosferica. Si comprende dunque come la forza che spinge il fluido dentro la pompa sia una forza debole e a volte insufficiente. Può avvenire, ad esempio, che la pompa chieda 100 lpm e le perdite di carico nella sua condotta di immissione siano tali che le giungano al massimo 95 lpm. È evidente come in questa condizione al suo interno si formino delle bolle di “vuoto”, in realtà di vapori a bassissima pressione, come detto sopra.

Analizziamo ora i punti della condotta dove l’energia disponibile viene persa per il passaggio del fluido:
– ingresso della tubazione, dove il fluido subisce una accelerazione da velocità nulla a quella media nella condotta;
– lungo la tubazione, dove il moto è usualmente laminare o di transizione;
– nelle eventuali valvole a sfera di intercettazione;
– nella risalita lungo la tubazione se la pompa si trova più in alto del serbatoio;
– nei condotti interni della pompa.

Questa classificazione è corretta per pompe volumetriche che ruotino a numero di giri costante. Nelle pompe a cilindrata variabile il problema diviene più serio.

 

 

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