Il Carbonio

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Immaginate la possibilità di avere a disposizione un elemento che esiste in forme diverse. Forme dotate di caratteristiche estremamente differenti le une con le altre. E che una di esse rappresenti la sostanza più dura e incomprimibile al mondo, mentre l’altra sia all’opposto uno dei materiali più morbidi conosciuti. Immaginate che, per le sue caratteristiche chimiche, abbia la possibilità di formare un numero strabiliante di composti diversissimi tra loro, nell’ordine dei milioni. E che possa essere utilizzato per le applicazioni più disparate: come combustibile, come lubrificante, per realizzare elettrodi, per formare leghe metalliche, come componente di vernici e di inchiostri. Nell’industria nautica, nell’automotive, per realizzare attrezzature sportive, per realizzare freni efficientissimi. E molto altro. Pensate inoltre che sia l’elemento più importante all’interno di molecole più complesse utilizzate in ogni settore immaginabile. E che in ultimo sia un elemento essenziale per la vita così come la conosciamo. State immaginando il Carbonio.

Le origini del Carbonio

All’origine di questa incredibile versatilità, vi sono alcune caratteristiche davvero uniche del carbonio. Innanzitutto, ha la possibilità di legarsi sia con se stesso che con molti altri elementi della tavola periodica, idrogeno e ossigeno in testa. A sua volta, ciò dipende dal fatto che molto spesso (benché non sempre) il carbonio è tetravalente. È cioè in grado di legarsi a quattro altri atomi, grazie a un fenomeno che i chimici definiscono ibridazione degli orbitali. Malgrado il termine possa spaventare chi conserva solo lontane memorie scolastiche della Tavola Periodica degli Elementi, la spiegazione non è difficile.

Dal momento che il numero atomico del Carbonio è 6, sono appunto sei gli elettroni che vanno distribuiti intorno al nucleo per ottenere quella che viene definita “configurazione elettronica dell’elemento”. Ebbene, le prime due coppie di elettroni si trovano su orbitali sferici, gli ultimi due elettroni rimasti invece su due diversi orbitali p, orbitali con una caratteristica forma a doppia asola (una sorta di otto rovesciato, molto simile al simbolo di infinito). Sono questi i cosiddetti elettroni di valenza, ovvero quelli che entrano in gioco nei legami chimici.

Quindi, in questa configurazione, il Carbonio può legarsi al più con due altri atomi. Ma l’ibridazione cui ci si riferiva prima fa sì che il più esterno degli orbitali sferici si “mescoli” (si ibridi, in termini corretti) con gli orbitali p (che sono 3, anche se nel Carbonio uno di essi normalmente è vuoto), dando vita a un totale di quattro orbitali di pari energia detti “sp3”. Tradotto in parole povere: grazie a questa “fusione” tra orbitali diversi, il carbonio acquista la caratteristica di poter mettere in gioco quattro elettroni distribuiti su quattro distinti orbitali e conseguentemente di poter formare un massimo di quattro legami con altrettanti atomi.

Anche se questa spiegazione in prima battuta può sembrare complessa, ciò non di meno è essenziale per definire tutta una serie di caratteristiche talmente esclusive da rendere il carbonio davvero unico nel pur variegato panorama degli elementi chimici presenti in natura. Proprio per queste ragioni, è l’elemento alla base di tutta la vita sul Pianeta così come noi la conosciamo. Dato che per definizione la chimica organica studia, appunto, proprio i composti del carbonio.

Qualsiasi molecola biologica contiene uno o più atomi di carbonio, spesso organizzati in catene molto lunghe o in sub-unità che si ripetono molte volte. Proteine, zuccheri, grassi, le famiglie di molecole fondamentali nell’alimentazione e nella fisiologia dell’uomo e di tutti i viventi, hanno tutte al loro interno un’impalcatura di base di cui il carbonio è parte essenziale. I protidi, ad esempio, sono composti da catene di amminoacidi uniti tra loro come le perle di una collana. Ebbene, la struttura di un amminoacido vede un atomo di carbonio al centro, cui sono collegati quattro diversi gruppi funzionali (ovvero, quattro parti della molecola riconoscibili e specifiche). E così via.

Affascina anche pensare che tutto il carbonio presente negli organismi viventi (circa il 20% del nostro peso corporeo è ascrivibile al carbonio) derivi, direttamente o indirettamente, dalla CO2 presente nell’atmosfera terrestre. Le piante, grazie alla fotosintesi clorofilliana, sequestrano il carbonio presente nell’atmosfera sotto forma di anidride carbonica e, grazie all’energia del sole, sintetizzano glucosio e altre molecole organiche.

Gli animali, incapaci di “costruire” molecole con il solo aiuto del sole, cibandosi di piante o di altri animali ottengono le materie prime utilizzate poi a scopi metabolici. In questo modo, concludendosi poi il ciclo vitale di ogni vivente, il carbonio torna nell’ambiente, passando così di continuo dal mondo minerale al mondo dei viventi e viceversa. In un ciclo, quello appunto del carbonio, alla base della vita sulla Terra.

Il carbonio come elemento puro

Conosciuto sin dall’antichità, ma identificato come elemento solo dal grande scienziato francese Antoine-Laurent de Lavoisier, in natura il carbonio come elemento puro si trova in forme diverse che prendono il nome di forme allotrope. Tra queste, le più note sono la grafite e il diamante, cui si aggiungono il grafene e i fullereni (insieme ad altri allotropi meno noti come la londsdaleite e il nanorod, o superdiamante). Grafite e diamante, pur essendo due forme dello stesso elemento, si trovano quasi agli estremi della scala di Mohs. Scala che classifica i minerali secondo una durezza che va da 1 (il talco) a 10 (il diamante, appunto). Di poco più dura del talco (1,5 su questa scala), la grafite è di gran lunga la forma più comune in cui si presenta il carbonio, e deve la sua morbidezza al fatto che gli atomi si trovano legati in un reticolo esagonale a strati e che le interazioni tra i diversi strati sono piuttosto deboli.

A causa del fatto che nella grafite solo coinvolti nei legami con gli altri atomi di carbonio solo tre dei quattro elettroni del livello energetico più esterno e che il quarto elettrone invece è delocalizzato (ovvero interviene nel legame mantenendo libertà di movimento, in parole semplici), la grafite è in grado di condurre elettricità. Per questo motivo trova diverse applicazioni industriali, ad esempio come materiale per realizzare elettrodi, nel campo dei semiconduttori e per applicazioni industriali particolari (grafite isostatica, un materiale più denso ottenuto attraverso specifici procedimenti industriali). Inoltre, in polvere è utilizzata come lubrificante a secco.

Esiste un altro materiale, simile alla grafite, che si ottiene attraverso il deposito ad alta temperatura di vapori di un idrocarburo utilizzando come supporto la grafite. In questa maniera si ottiene una struttura del carbonio simile alla grafite, ma con alcune irregolarità e con la caratteristica che si creano dei legami chimici tra i diversi strati (a differenza della grafite, in cui non vi sono legami chimici fra strati ma solamente interazioni intermolecolari). Si ottiene così quello che viene definito carbonio pirolitico, un materiale con proprietà intermedie tra la grafite e il diamante utilizzato in particolare in campo biomedico per costruire valvole cardiache. Infatti il carbonio pirolitico che è chimicamente inerte, motivo per cui non causa la coagulazione del sangue se a contatto, ha proprietà meccaniche ottimali per uso biomedico. Inoltre vanta un’elasticità analoga a quella delle ossa umane, per cui è adatto anche alla realizzazione di protesi. In ragione del fatto che si tratta di un materiale che non brucia nemmeno ad elevate temperature, la grafite trova peraltro applicazione nei reattori nucleari e per realizzare crogioli di fusione dei metalli.

I diamanti

Oltre i 2000 °C invece, e con temperature attorno ai 5 Gpa (5 gigapascal), la grafite si trasforma in diamante. In natura i diamanti hanno origine dallo strato sottostante la crosta terrestre, il mantello, dove esistono le condizioni di elevatissima pressione e temperatura necessaire perché il carbonio cristallizzi in questa forma. Gli atomi, a differenza di quanto avviene nel caso della grafite, sono disposti ai vertici di un tetraedro. Questa forma cristallina conferisce al diamante una serie di proprietà davvero uniche che lo rendono adatto a moltissime applicazioni.

Innanzitutto, si tratta del più duro minerale di origine naturale conosciuto, in ragione dei legami particolarmente forti che ogni atomo di carbonio stabilisce con atomi vicini. Solo alcuni materiali sintetici sono in grado di scalfire il diamante, come nel caso della lonsdaleite superdurta (un minerale modificato permanentemente in laboratorio aumentandone in maniera importante la durezza) e l’ADNR (Aggregated Diamond Nanorods), una forma allotropica del carbonio realizzata in laboratorio.

Inoltre, presenta un’elevatissima conducibilità termica, una notevole resistenza agli agenti chimici che rende i diamanti sostanzialmente inattaccabili dalla maggior parte degli acidi e delle basi nonché un elevato indice di dispersione ottica ed un bassissimo coefficiente di dilatazione termica.

Nell’industria, i diamanti sono utilizzati soprattutto per la loro elevatissima durezza, rivelandosi particolarmente adatti per operazioni di taglio, molatura, perforazione. Altre applicazioni riguardano sia il settore dell’ottica e dell’elettronica, dove durezza e trasparenza diventano un connubio di grande importanza, sia l’ambito dei semiconduttori, in ragione dell’elevatissima conducibilità termica del diamante.

I fullereni

Vi è un’ulteriore forma allotropica del carbonio ancora poco conosciuta e che però sembra promettere interessanti sviluppi per il futuro: i fullereni. In queste sostanze, gli atomi di carbonio si dispongono uno rispetto all’altro in maniera simile alla grafite. Ma, mentre quest’ultima è costituita sempre da esagoni collegati tra loro su un piano, nei fullereni alcuni anelli assumono forma pentagonale o ettagonale (ovvero a sette lati). Ciò comporta l’impossibilità per i fullereni di assumere una struttura planare. Ecco dunque che si presentano con forme simili a una sfera cava, ad un ellissoide o ad un tubolare.

Il nome di queste singolari molecole è un tributo all’architetto Richard Buckminster Fuller, noto per le sue famose cupole geodetiche. Addirittura uno dei fullereni, il più piccolo nonché più diffuso, prende proprio il nome di buckminsterfullerene. La forma della molecola ricorda da vicino quella di un pallone da calcio, nella quale i pentagoni non sono mai contigui fra loro, caratteristica che renderebbe la molecola poco stabile, ma si alternano con gli esagoni.

Le prime scoperte riguardanti molecole contenente 60 o più atomi di carbonio risalgono al 1985 ad opera di Harold Kroto dall’University of Sussex, di Robert Curl e di Richard Smalley dalla Rice University di Houston, Texas. Grazie alle loro ricerche, i tre hanno ricevuto nel 1996 il Premio Nobel per la chimica. Solo in anni più recenti, ovvero all’inizio degli anni 2000, le proprietà chimiche e fisiche dei fullereni sono diventate oggetti di studi e approfondimenti. Le applicazioni più promettenti riguardano quelle stesse le nanotecnologie in grado di sfruttare l’elevatissima resistenza termica e la superconduttività dei fullereni.

Il grafene

Ma forse c’è un’altra forma del carbonio ancora più incredibile quanto a proprietà e potenzialità di applicazione: il grafene. La sua scoperta risale al 2004 ed è avvenuta per motivi assolutamente casuali grazie al lavoro di due fisici russi, Andrej Konstantinovič Gejm e Konstantin Sergeevič Novosëlov. Entrambi al soldo dell’Università di Manchester, in Inghilterra Gejm e Novosëlov stavano lavorando con scaglie di grafite. Il loro obiettivo? Ottenere strati di grafite sempre più sottili. A questo scopo pensarono di usare un metodo apparentemente banale, passato alla storia come metodo “scotch-tape. Presero un semplice nastro adesivo e, applicandolo alla grafite, ne ottennero l’esfoliazione meccanica. Applicando questo procedimento a strati via via più sottili di grafite, giunsero al risultato incredibile di sviluppare uno strato dello spessore di un unico atomo di carbonio. In quel momento veniva scoperto il grafene, risultato questo che valse ai due ricercatori il Nobel per la Fisica nel 2010. La scoperta, lungi dall’essere una curiosità propria dell’élite scientifica, sta lentamente aprendo scenari assolutamente impensabili fino a poco tempo fa.

Già ampiamente utilizzato in diversi settori produttivi (ad esempio nei caschi, nelle scarpe, nelle racchette), la sua versatilità è ancora lungi dall’essere compresa fino in fondo. Grazie alla conduttività superiore al rame può diventare componente fondamentale per realizzare una lampadina microscopica, o addirittura per fabbricare una retina bionica. Grazie all’uso di fogli di grafene, sono state ottenute costruzioni tridimensionali di durezza 10 volte superiore all’acciaio, ma infinitamente più leggere. E c’è già chi pensa un giorno di poterlo impiegare come enormi e leggerissime vele solari. Larghe anche alcuni chilometri, ma del peso di pochi etti. Le applicazioni potenziali e le prospettive risultano così numerose  e allettanti da aver convinto l’Europa ad avviare la Graphene Flagship, un consorzio che coordina il lavoro di oltre 150 tra enti di ricerca, atenei e industrie in 23 paesi dell’Unione. A detta di molti, la prossima rivoluzione tecnologica che ci consentirà di raggiungere traguardi impensabili fino a pochi anni fa sarà dovuta proprio ad un materiale dello spessore di un singolo atomo di carbonio.

La fibra di Carbonio

La fibra di carbonio è un polimero costituito esclusivamente da atomi di carbonio, con una struttura analoga a quella della grafite. Anche qui infatti i singoli atomi sono disposti in esagoni legati uno all’altro a formare degli strati, con la differenza che nel caso della grafite la disposizione è parallela e regolare, di tipo cristallino, fatto che ne determina la tipica fragilità. Al contrario le fibre di carbonio, caratterizzate da un’elevata conducibilità termica e elettrica e da una sostanziale inerzia chimica, hanno notevoli doti di resistenza, flessibilità e modulo elastico.

Storicamente, la fibra di carbonio è stata realizzata per la prima volta sul finire degli anni ’50 nei laboratori del Parma Technical Center, in Ohio, da Roger Bacon, scienziato che ottenne un materiale in cui sottili filamenti di grafite erano disposti su fogli o rotoli. Ma solo sul finire degli anni ’60 la Carr Reinforcements, un’azienda britannica, produrrà il primo tessuto in fibra di carbonio analogo a quello che viene utilizzato ancora oggi.

Strutturalmente, la fibra di carbonio è costituita dall’intreccio di migliaia di filamenti di diametro molto sottile, compreso tra i 5 e i 15 μm. In generale, quando si parla di fibra di carbonio ci si riferisce in realtà a un materiale composito, in cui tale fibre sono immerse in una matrice, genericamente rappresentata da una resina o altro materiale plastico, quando non da un metallo. Per ottenere un materiale di questo tipo le singole fibre vengono intrecciate ottenendo in sostanza un tessuto in carbonio, che successivamente viene immerso nella matrice. Per queste ragioni alla notevole resistenza meccanica il materiale associa una bassa densità, risulta un buon isolante termico e, per le caratteristiche del carbonio, denota una sostanziale inerzia chimica (tranne nel caso dell’ossidazione). Tuttavia, per il modo in cui viene realizzato si tratta tipicamente di un materiale anisotropo, le cui caratteristiche meccaniche cioè cambiano in maniera sostanziale a seconda della direzione considerata.

Le fibre si possono ottenere a partire dai residui della distillazione del petrolio o del catrame o per trasformazione di fibre organiche. Nel primo caso il materiale di partenza è la pece, ovvero il residuo derivante dai processi di distillazione del petrolio o del catrame. Si tratta di un insieme di moltissimi idrocarburi aromatici (nell’ordine delle migliaia) con temperature di rammollimento comprese tra i 50°C e i 300°C che vengono riscaldate a temperatura di 400 – 450°. Si forma in questo modo una fase intermedia tra quella liquida e quella cristallina. Questo materiale viene fatto scorrere per estrusione da un capillare ottenendo così che le molecole si orientino lungo l’asse della fibra. Successivamente tramite termofissaggio a 300°C e carbonizzazione tra i 1000°C e i 2000°C si ottiene la fibra di carbonio propriamente detta. Nel caso invece di trasformazione a partire da fibre organiche, la molecola da cui inizia il processo è il poliacrilonitrile, PAN, un polimero da cui si ottengono le fibre di carbonio grazie a riscaldamento, ossidazione e successiva carbonizzazione.

La classificazione della fibre di carbonio si basa sulle caratteristiche meccaniche e in particolare sul modulo elastico longitudinale o modulo di Young. Le fibre SM (sigla per Standard Modulus) hanno un modulo inferiore ai 250 GPA (GigaPascal), IM (Intermediate Modulus), modulo elastico inferiore ai 320 Gpa, HM (High Modulus) in cui il valore è inferiore ai 440 Gpa e UHM (Ultra high Modulus), quando il modulo elastico supera i 440 Gpa.

Le applicazioni delle fibre di carbonio

Gli utilizzi delle fibre di carbonio sono molteplici, e interessano tanti settori industriali. Non di rado vengono impiegate per rinforzare resine e altri materiali termoindurenti. È questo il caso ad esempio dei Fiber Reinforced Polymers (FRP), materiali compositi a matrice polimerica in grado di offrire performances elevatissime. Sono impiegati ad esempio nel settore aeronautico, in quello astronautico, ma anche nel restauro strutturale e per l’adeguamento statico di strutture in muratura o in cemento armato. Si tratta di materiali di uso relativamente recente, dato che fino a poco tempo fa i loro costi elevati ne avevano limitato l’utilizzo.

Più in generale, le fibre di carbonio vantano una gamma davvero ampia di applicazioni. Nel settore edile, vengono utilizzate per realizzare condotte sotterranee, elementi di rinforzo strutturale, recinzioni. In ambito medico sono impiegate invece per realizzare protesi, data l’inerzia chimica che le rende altamente biocompatibili. Moltissimi gli accessori realizzati con questo materiale, soprattutto nell’arredamento ma anche per la fabbricazione di strumenti tecnologici, musicali, e financo di gioielli, dato che alla resistenza il carbonio unisce una notevole leggerezza.

Celebre l’uso del carbonio in molte discipline sportive, dove è materiale particolarmente apprezzato per racchette da tennis, canne da pesca, biciclette, sci, canoe e molti altri strumenti. In ambito aeronautico intere parti di fusoliera, coda e ali di aeroplani sono oggi realizzate frequentemente in fibra di carbonio, così come le pale di elicotteri e altri elementi che coniugano ottima resistenza a una grande leggerezza. In nautica, viene fatto largo uso del carbonio per scafi, ponti, profili strutturali, ma anche per realizzare cordature e vele.

Ma forse il settore in cui è più conosciuto l’utilizzo delle fibre di carbonio è quello automotive, sia per veicoli di serie che, soprattutto, sportivi. Si realizzano in questo modo parti di carrozzeria, spoiler, telai, intere cabine di camion, oltre ai caschi e ad altre protezioni usate nelle competizioni motoristiche. Il tutto grazie al peso nettamente inferiore rispetto ad altri materiali, che consente un aumento anche considerevole delle performances. I cerchi in lega di carbonio ad esempio pesano ben 5 kilogrammi in meno degli omologhi in alluminio.

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