Caratterizzazione dei residui solidi nelle vasche di pulizia

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La pulizia e la manutenzione dello stampo rappresentano una grande preoccupazione per l’industria degli pneumatici. Sono da rimuovere incrostazioni e residui di gomma, evitando al contempo l’usura dello stampo. A questo scopo sono disponibili numerose tecnologie di pulizia, ognuna delle quali con vantaggi e svantaggi specifici.

Di Giorgio Zattini, Ana Pavlovic, Cristiano Fragassa, Loris Giorgini

Figura 1: Impianto di trattamento per stampi da pneumatici dove è visibile la successione delle vasche di lavaggio [Cortesia Keymical]
Tra queste tecnologie di pulizia degli pneumatici, il trattamento con ultrasuoni (Ultrasonic Mould Cleaning Systems o UMCS) rappresenta una scelta davvero interessante nel caso di geometrie complesse e fragili. La tecnologia UMCS è un processo in più fasi che vede l’uso simultaneo di onde ultrasoniche, temperature moderate e soluzioni acide, combinate insieme per rimuovere gli scarti di gomma e altri detriti intrappolati nelle fessure. Questi stampi sono immersi in una sequenza di bagni di lavaggio, alcuni acidi altri basici, in cui i residui sono attaccati e le superfici dello stampo sono pulite attraverso questa sovrapposizione di effetti meccanici, chimici e termici (Figura 1).

Benché tali condizioni possano consentire di pulire efficacemente gli stampi, varie parti degli impianti (come lamiere, saldature e flangia, guarnizioni) sono esposte agli stessi fenomeni e rischiano quindi un deterioramento precoce. Il corretto riconoscimento dei meccanismi di deterioramento (ad es. fatica, sfregamento, usura, corrosione, ecc.) rappresenta un elemento rilevante quando si ha l’obiettivo di ottimizzare impianti e processi.

Di recente, la segnalazione di alcuni piccoli guasti in esercizio, come la perdita di gocce di soluzione di detergente dalle vasche di lavaggio in un impianto UMSC, hanno posto l’attenzione sul deterioramento degli elementi di tenuta. In particolare, i nastri di teflon usati come guarnizioni nelle vasche acide hanno evidenziato un livello di corrosione superficiale, poco compatibile con le condizioni d’uso. In effetti, il Teflon, marchio commerciale per il politetrafluoroetilene (PTFE), dovrebbe garantire una grande stabilità termica e chimica, tale da rendere questo materiale una scelta ideale in tantissime applicazioni industriali. Anche a guardare lo stato dell’arte e la scheda tecnica, il PTFE sembra degradarsi solo in circostanze molto rare. È il caso, ad esempio, dei legami carbonio-fluoro nel PTFE che potrebbero essere attivati da alcuni metalli alcalini (come l’ossido di zinco, presente nell’ordine del 1-2% di peso nella gomma quale attivatore della vulcanizzazione) oppure da altri agenti fluoranti non conosciuti.

Figura 2: Dettaglio di una spring-vent estratta da uno stampo per pneumatici sottoposto a numerosi cicli di trattamento.

Per valutare in quali situazioni ci trovassimo davvero ad operare, è stata messa in piedi nel passato una intensa attività di ricerca. Nello specifico, mediante test meccanici e micrografie è stata effettuata una prima analisi sullo stato delle guarnizioni in PTFE in impianti UMCS. I risultati hanno mostrato una differenza non trascurabile prima e dopo l’uso. Allora, il confronto è stato ripetuto in ambiente controllato con guarnizioni in PTFE mantenute per intervalli di tempo specifico in soluzione a pH1 (composta da acidi solfammico, cloridrico e fluoridrico) e temperature di 70-80 °C. Questa situazione ricostruita in laboratorio è stata pensata per riprodurre quanto più correttamente possibile le condizioni di utilizzo del Teflon negli impianti UMCS. Lo studio è stato condotto tramite Spettroscopia Infrarossa a Trasformata di Fourier (FT-IR) e successiva Analisi Termogravimetrica (TGA) e Calorimetria differenziale a Scansione (DSC) andando ad individuare così alcuni interessanti meccanismi di degrado.

Questo studio sperimentale rappresenta un complemento a tali ricerche precedenti ed utilizza tecniche di analisi del tutto analoghe per identificare la natura dei detriti presenti nelle vasche di lavaggio per cercare di capirne la provenienza. Questi frammenti sono presenti in forma di materiale solido nero, con diverso grado di agglomerazione: da polvere a particelle più grandi (fino a 5 mm). Inoltre, alcune delle aperture di ventilazione degli stampi (conosciute anche come spring-vents) mostrano aree coperte da quello che sembra essere un sottile strato di colore differente.

Figura 3A – Figura 3: Immagini al microscopio per i campioni A e B: SEM, confocale, Spotlight 200 FT-IR. Mentre la morfologia A mostra superfici ruvide, irregolari e più scure, B ha superfici più uniformi, luminose e simili al vetro.

Entrambi questi segni inattesi lasciano pensare a fenomeni di degrado che meritano attenzione.

 

Figura 3C

 

Figura 3B

 

 

 

Materiali e metodi

Come primo passo, i residui prelevati dai bagni sono stati ispezionati visivamente per mezzo di un microscopio Zeiss Axio Vert Imager A1M e di un microscopio multifocale 3D Hirox HX 7700. Sono stati utilizzati diversi ingrandimenti, da 2.5x a 100x, in modo da meglio evidenziare le superfici.

Le diverse morfologie individuate sono state poi sottoposte ad una analisi mFT-IR grazie all’utilizzo di un microscopio Perkin Elmer Spotlight 200, accoppiato ad un banco ottico Perkin Elmer Frontier. In particolare, gli spettri sono stati acquisiti mediante riflettanza totale attenuata (ATR), in modalità mATR, grazie ad un cristallo di germanio, nelle frequenze 4000-650 cm-1, con una risoluzione spettrale di 2 cm-1 e 64 scansioni per spettro al fine di abbassare il rapporto segnale-rumore (SNR). Le particelle più grossolane sono state invece sottoposte ad analisi ATR, sempre tramite Perkin Elmer Frontier, ma equipaggiato con il modulo UATR, nello stesso intervallo di frequenze, con risoluzione spettrale fino a 4 cm-1 e 4 scansioni per spettro.

Figura 4: Spettri ATR / ATR dei due campioni di residuo solido (A, in alto; B, in basso).

Una spettroscopia a raggi X (EDX), accoppiata alla microscopia a scansione elettronica (SEM) è stata eseguita su tutti i residui e su alcune spring-vents. Le analisi sono state portate avanti mediante un microscopio elettronico a scansione Zeiss Evo 50 EP in modalità ambientale con ≈ 100 Pa di pressione in camera.

I cambiamenti nelle proprietà fisiche e chimiche dei materiali residui sono stati misurati tramite TGA in funzione dell’aumento della temperatura. In particolare, la TGA ha permesso di caratterizzare i materiali attraverso l’analisi di schemi caratteristici di destrutturazione, la valutazione dei meccanismi di degrado e della cinetica di reazione. Sempre tramite TGA è stato anche possibile verificare la presenza (o l’assenza) di contenuti organici e inorganici.

Per la TGA si è utilizzato uno strumento TA Q600, impostato su una velocità di riscaldamento di 10 °C/min, dalla temperatura ambiente fino a 750 °C. Le analisi sono state eseguite su 6-8 mg di materiale, poste in atmosfera inerte (N2, 100 ml/min) fino a raggiungere i 750 °C; quindi l’atmosfera è stata cambiata in aria con l’effetto di ossidare eventuali residui organici. I gas emessi sono stati trasferiti in modo continuo su un banco ottico Agilent Cary 660 FT-IR attraverso una linea di trasferimento mantenuta a 280 °C per evitare la condensazione delle sostanze presenti. Gli spettri FT-IR di questi gas sono stati acquisiti ogni 4 secondi, nell’intervallo 3800-650 cm-1 con una risoluzione spettrale di 4 cm-1.

Figura 5: Spettri FT-IR-ATR delle due diverse morfologie (A e B) nel caso di guarnizione in PTFE.

Gli spettri di fluorescenza a raggi X sono stati rilevati mediante uno spettrometro PANalytical AxiosMAX Advanced XRF, equipaggiato con un tubo a raggi X in rodio, impostato a una potenza di 2.4 kW. Questa misura ha avuto l’obbiettivo di identificare la possibile presenza di cloro, fluoro o simili elementi. Le analisi sono state anche prese come una conferma degli spettri EDS. Infatti, mentre la seconda rappresenta un’analisi puntuale, la prima è offre una valutazione globale che permette di eliminare risultati irregolari legate ad anomalie locali.

Risultati

L’ispezione visiva ha mostrato due diverse morfologie caratteristiche, denominate qui come A e B, ed evidenti nella serie di immagini in Figura 3.  Le due morfologie di superficie si contraddistinguono per via delle differenze in termini di colore e aspetto: ruvida, irregolare, meno spessa e di colore scuro è la prima (A); più liscia, semplice, compatta e di colore chiaro è la seconda (B). Al fine di determinare anche eventuali differenze nella composizione, le due morfologie sono state studiate tramite FT-IR in modalità ATR / mATR. Nella Figura 4 sono disponibili i rispettivi spettri FT-IR.

Figura 6: Analisi TGA del Campione A (rosso) e B (nero).

Il confronto sembra indicare una natura chimica quasi identica delle due morfologie. In effetti, entrambi i campioni mostrano segnali importanti a 2849, 2917 e 2956 cm-1. Tali segnali sono da attribuire all’assorbimento evidenziato dal legame C-H, tipico delle catene alifatiche estese con legami insaturi, che possono essere riconducibili a frammenti di polimeri come il polisisoprene o il polibutadiene.

Allo stesso tempo, sono questi stessi risultati ad evidenziare una leggera differenza tra le due morfologie. Gli spettri dei campioni B, a differenza di quelli di tipo A, mostrano segnali a 1701 e 1710 cm-1, che potrebbero essere riconducibili alla presenza di gruppi carbonilici (C = O). Questo evidenzierebbe un degrado per ossidazione nettamente più elevato nei campioni B rispetto a quelli A.

Figura 7: Spettri FT-IR dei gas emessi durante analisi TGA per Campione A (in alto) e Campione B (in basso).

Continuando nell’indagine, la completa assenza di segnali a circa 1200 e 1148 cm-1, tipici delle vibrazioni per deformazione, tanto simmetriche che asimmetriche, dei legami CF2, sembra escludere la presenza di residui di PTFE nei bagni e, quindi, la provenienza dal teflon dei detriti. Si tende quindi ad escludere che la rottura delle guarnizioni in Teflon osservate negli impianti nel passato possa essere ricondotto all’acidità delle vasche. A tale conferma, la Figura 5 mostra la sovrapposizione degli spettri FT-IR per i campioni A, B e per le guarnizioni in PTFE.

I campioni A e B sono stati poi sottoposti a TGA al fine di caratterizzarne le proprietà termiche. I termogrammi sono riportati nella Figura 6 e i risultati riassunti nella Tabella 1. Le perdite di peso per temperature inferiori a circa 100-110 °C non sono state prese in considerazione perché ritenute riconducibili ad una semplice fuoriuscita di umidità dai campioni.

Dal punto di vista delle proprietà termiche, si può osservare che i campioni A e B si comportano in modo quasi identico. Le principali differenze possono essere trovate nell’entità della prima perdita di peso (indicata come 1 in Tabella 1), che per il campione A è leggermente maggiore e si verifica a qualche °C più in alto rispetto al campione B. Questo fatto potrebbe significare che in B la frazione organica (= polimerica) risulti maggiore rispetto ad A. La seconda perdita di peso (2 in Tabella 1) corrisponde all’ossidazione completa dei campioni, dopo il passaggio dell’atmosfera da azoto ad aria. Tali perdite mostrano proprio il comportamento opposto, con una perdita di peso leggermente maggiore e temperatura di picco superiore nel caso del campione A, suggerendo un maggiore rapporto carbonio/ossigeno rispetto a B. Questo è anche confermato dal residuo finale, maggiore nel campione A.

Con l’intenzione di cercare ulteriori dettagli, i gas derivanti da TGA sono stati campionati in continuo e analizzati tramite FT-IR. Gli spettri rilevati sono mostrati in Figura 7. Si può facilmente osservare come i due spettri si sovrappongano quasi perfettamente suggerendo che una stessa consistenza per la componente organica in entrambi i campioni. Il confronto effettuato utilizzando le librerie spettrali suggerisce, inoltre, che i gas potrebbero essere composti da ottene o decene (catena alifatica), come evidente in Figura 8. Questo risultato sembra indicare la presenza di frammenti alifatici relativamente corti con legami insaturi, a causa della frammentazione termica di catene di poliene più lunghe, anche in conformità con quanto emerso dall’analisi ATR / m ATR.

Figura 8: Confronto FT-IR dei gas emessi dal Campione B con 2-Ottene / 1-Decene.

E’ stata poi effettuata una analisi SEM-EDX per indagare anche la composizione inorganica dei detriti. Per ciascuno dei due campioni A e B, sono stati scelti alcuni punti di campionamento. I risultati sono esposti in Figura 9 e Tabella 2.

In entrambi i campioni risultano presenti carbonio e ossigeno quali elementi principali. Quest’ultimo è presente con una % di peso più elevata nel campione B, conformemente a quanto emerso nell’analisi FT-IR, andando a confermare il campione B come il più ossidato dei due.

Altri dati consentono di rilevare la presenza di quantità non trascurabili di zolfo e zinco. Entrambi gli elementi sono presenti tipicamente nella gomma per pneumatici in quanto, rispettivamente, agente di vulcanizzazione e di accelerazione. Tuttavia, nel campione B le quantità emerse sono troppo elevate (6 volte nel caso dello zolfo, doppio per lo zinco) rispetto al campione A, risultando anomale. D’altra parte, nel campione A sono presenti piccole quantità di metalli alcalini e alcalino terrosi (sodio, potassio, calcio), metalloidi (silicio) e metalli di transizione (ferro e rame) che meritano attenzione. Sebbene alcuni di questi elementi si trovino spesso negli pneumatici, le percentuali rilevate sono significativamente alte.

Figura 9: Micrografie SEM e spettri EDX correlati per il Campione A e Campione B.

Sono stati anche acquisiti spettri EDX di altri punti peculiari per i campioni. Tali punti appaiono come particelle micrometriche che aderiscono alla superficie, come mostrato nella Figura 10, in cui sono riportati gli spettri EDX più interessanti e i corrispondenti microgrammi per l’area acquisita. La composizione chimica di questi granuli micrometrici è riportata nella Tabella 3. Dal loro esame risulta che gli elementi più abbondanti sono i metalli di transizione; resta una parte di carbonio e ossigeno, ma chiaramente diminuita in quantità; altri importanti elementi identificati sono rame e stagno, con la simultanea presenza di zinco in una specifica misura (B1).

Tra gli altri aspetti degni di nota, solo il provino A2 contiene ferro mentre lo zolfo è ancora presente, ma in misura notevolmente ridotta rispetto agli altri campioni presi da A e B (vedi tabella 2). Tuttavia, la presenza di zolfo mantiene la stessa tendenza vista in precedenza, con campioni A1 e A2 che mostrano quantità inferiori rispetto ai campioni B1 e B2.

I campioni sono stati inoltre sottoposti all’analisi XRF con l’obiettivo di confermare la composizione determinata dalla EDX. La prima rappresenta una analisi globale con risultati che possono essere considerati rappresentativi del materiale nel suo complesso e non solo della superficie come avviene per la seconda. Alcuni dei risultati sono indicati in Tabella 4.

Figura 10A: Micrografie SEM e spettri EDX correlati di punti di particolari interesse sulle superfici del Campione A e Campione B. Dall’alto al basso: A1, A2, B1, B2.

In particolare, i valori sono espressi in percentuale in peso, così come misurati e dopo normalizzazione. In peso pre-normalizzato, con 5.80% rispetto a 4.70% il Campione A evidenzia un contenuto inorganico più elevato ed una maggiore varietà nella composizione. Questo risultato è in conformità anche con quanto emerso dalle misure TGA ed EDX.

Figura 10B

 

 

 

 

 

 

 

Gli elementi più abbondanti sono zinco e zolfo, quest’ultimo leggermente più abbondante in B, a conferma della tendenza evidenziata dai risultati EDX. Tuttavia, sia lo zinco che lo zolfo sembrano essere presenti in quantità molto più simili di quanto risultava dalle analisi EDX, suggerendo una stessa provenienza per i residui solidi. Le differenze tra l’analisi di massa (XRF) e di superficie (EDX) potrebbero indicare una certa variabilità nella composizione superficiale, maggiore del previsto. Non è da escludere, di conseguenza, la possibilità di un contributo di acido solfammico, anche se spettri FT-IR non hanno rivelato legami contenente zolfo. Il fluoro è completamente assente e le % minime di cloro sono coerenti con i risultati EDX.

Per terminare è stata eseguita una analisi SEM-EDX su alcune spring-vents sottoposte a diversi cicli di pulizia negli impianti a ultrasuoni. La Figura 11 mostra una micrografia dell’intera apertura della molla sottoposta ad analisi. Si può osservare come la superficie risulti chiaramente danneggiata, con una parte consistente della stessa coperta da uno strato di colore scuro e con la presenza diffusa di macchie rossastre, normalmente associate agli ossidi di ferro. La Figura 12 evidenzia le micrografie SEM delle aree più interessanti. Si osserva come alcune parti dello sfiato della molla siano coperte da un sottile strato nero (I-II), mentre altre siano meno danneggiate (III) oppure quasi intatte (IV).  Le analisi corrispondenti alle micrografie di Figura 11 sono riportate nella Tabella 5. A questo proposito sembra ragionevole supporre che il sottile strato nero esposto in II possa essere ricondotto alla composizione dei detriti trovati sul fondo delle vasche, quindi a qualcosa di strettamente legato alla composizione della gomma (Tabella 2). In tal senso è possibile osservare, oltre al carbonio e all’ossigeno, la presenza di moderate quantità di zolfo e zinco. La sezione in I conferma ancora la presenza di carbonio, ma l’elemento più abbondante risulta essere il ferro. Lo stesso vale per III e IV che evidenziano inoltre quantità rilevanti di alluminio e manganese, nonché un basso contenuto di silicio e cromo. Questi elementi non si trovano in genere nelle mescole di gomma usato per realizzare pneumatici e sono plausibilmente derivanti dai trattamenti specifici effettuati sulle spring-vents.

Figura 11: Micrografia Hirox 7700 di spring-vent.

 

Conclusioni

Questo studio ha presentato nel dettaglio una caratterizzazione dei residui solidi presenti nelle vasche di impianti per il lavaggio con ultrasuoni. Lo scopo principale era quello di determinare l’origine del deterioramento osservato su impianti di lavaggio e su componenti ripetutamente trattati. Si è cercato di verificare il possibile contributo delle soluzioni acide utilizzate, come anche la presenza di altri fenomeni insoliti. Osservazioni al microscopio, analisi spettroscopiche, termica e di massa sono state utilizzate per approfondire la consistenza delle diverse morfologie identificate.

I risultati, nel loro complesso, sembrano indicare, quali detriti, solo i residui ossidati di gomma. Mancano tracce evidenti di fluoro o carbonio-fluoro che potrebbe tirare in causa la corrosione delle guarnizioni in PTFE. Riguardo alle due morfologie di residui riscontrati nelle vasche, la composizione appare leggermente diversa, con una ossidazione un po’ maggiore in uno dei casi e quantità minori di metalli alcalini e alcalini terrosi (magnesio, potassio, calcio) e metalli di transizione (ferro e rame) nell’altro. Entrambi i campioni, tuttavia, mostrano analoghe concentrazioni di agenti di vulcanizzazione come zolfo e zinco.

Sui componenti trattati (spring-vents) è evidente la presenza di sottili strati di materiale carbonioso, con una composizione simile a quella dei detriti, quindi attribuibili alla mescola di gomma dello pneumatico, ma anche macchie di ossidazione tipica del ferro. Questi segni di usura non sono direttamente attribuibili alle miscele acide utilizzate nei cicli di lavaggi, ma derivano probabilmente dal normale impiego degli stampi. In effetti, cloro, fluoro e residui di acido solfamico non sono stati rilevati in modo inequivocabile in nessuno dei campioni con alcuna delle tecniche impiegate.

Al di là di tutto ciò e dei risultati specifici qui descritti, è fondamentale segnalare come studi sostanzialmente analoghi possano essere ripetuti sui residui provenienti da vasche di trattamento di qualsiasi tipo permettendo a questo metodo di essere utilizzato per comprendere ed ottimizzare una vasta gamma di processi e prodotti.

Figura 12A: Micrografie SEM e area di campionamento della superficie per spring-vent.
Figura 12B

 

 

 

 

Approfondimenti

Tecniche avanzate nella pulizia degli stampi. Stampi, NOV 2015, pp 36-42

 

 

Tabella 1: Analisi TGA

 

    Campione

A

Campione

B

1 Tpicco (°C) 437 443
t (min) 42.1 42.0
Peso (%) 45.3 53.4
2 Tpicco (°C) 762 761
t (min) 83.3 80.6
Perdita di peso (%) 49.6 42.5
  Residuo (% peso) 2.80 1.93

 

 

Tabella 2: Analisi EDX (% in peso).

 

  Campione A Campione B
C 78.5 69.3
O 17.6 23.6
N / A 0.3
Al 0.1 0.2
Si 0.7
S 0.9 5.4
K 0.1
C a 0.3
Fe 0.3
Cu 0.5
Zn 0.8 1.5
Totale 100.0 100.0

 

 

Tabella 3: Analisi EDX in punti peculiari (% in peso).

 

  A1 A2 B1 B2
C 47.2 49.0 43.0 43.6
O 6.3 13.5 10.4 8.2
Al 0.3 0.4
Si 0.7 0.7 1.0
S 0.5 0.3 0.8 1.4
Cl 0.2
Ni 0.4
Fe 36.0
Cu 39.9 0.5 36.3 40.6
Zn 4.9
Sn 5.4 2.7 5.8
Totale 100.0 100.0 100.0 100.0

 

 

Tabella 4 : Analisi XRF (% in peso)

 

  Campione A Campione B
  Misura Normalizzato Misura Normalizzato
Mg 0.05 0.9
Al 0.13 2.3 0.09 2.0
Si 0.21 3.7 0.21 3.9
P 0.03 0.5
S 0.84 14.4 0.89 18.9
Cl 0.24 4.2 0.18 4.4
K 0.09 1.5
Ca 0.22 3.8 0.1 4 4.0
Cr 0.09 1.6 0.08 1.8
Fe 0.17 3.0 0.06 1.3
Cu 0.08 1.5
Zn 3.56 61.4 2.85 60.6
N/A 0.08 1.4 0.19 3.1
Totale 5.80 100.0 4.70 100.0

 

 

Tabella 5: Analisi EDX in diverse aree campionate del spring-vent (% in peso).

 

I II III IV
C 31.8 68.9 9.1 13.0
O 11.6 25.4 16.8 24.8
Mg 1.5
Al 9.1 1.0
Si 0.4 0.4
S 1.3 2.0 1.0 0.8
K 0.3
Cr 0.3 0.3
Mn 0.5 1.4 1.5
Fe 54.0 2.5 60.6 58.0
Zn 0.8 1.3
N/A
Totale 100.0 100.0 100.0 100.0

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