Semplice ed efficace: Fused Deposition Modeling (FDM)

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In questo articolo verranno trattate le principali caratteristiche della tecnica di stampa 3D Fused Deposition Modeling (FDM), con particolare focus sul processo e i materiali disponibili.

Il processo FDM è una tecnica di fabbricazione additiva molto semplice e molto diffusa. Il principio di funzionamento (Figura 1) consiste nel riscaldamento di un filamento polimerico (contenuto all’interno di apposite bobine, di cui viene mostrato un esempio in Figura 2), che da una parte serve a spingerlo, mediante un sistema ad ingranaggi, all’interno della camera di fusione, dall’altra ad iniziare il processo di rammollimento.

Il materiale rammollisce all’interno di tale camera (chiamata “hot end”) e poi la pressione del filo sulla testa fa sì che lo stesso venga estruso da un ugello (Figura 3). Tale tecnica trova applicazione per lo più in ambito estetico (design) o nella realizzazione di prototipi concettuali e funzionali.

Le stampanti FDM si distinguono in due categorie:
• le cosiddette “stampanti low cost” (Figura 4), con prestazioni limitate e materiali non testati e/o certificati secondo alcuna normativa. Tali macchine costano poco e sono accessibili a chiunque per un uso domestico e si possono trovare, addirittura, in un qualsiasi centro commerciale;
• macchine di stampa 3D FDM per uso industriale e professionale (Figura 5), con caratteristiche e materiali certificati e con prestazioni adeguate ai listini. Tali macchine consentono, spesso, di realizzare parti definitive e funzionali.

Riprendendo il processo, occorre avere un’alimentazione capace di generare una pressione significativa per poter estrudere il polimero tramite l’ugello. A livello termico, occorre trovare dei materiali che abbiano una finestra di utilizzabilità tale da non portarli a degrado. Il polimero, di per sé, è un isolante e pertanto la camera deve essere anche sufficientemente piccola, in modo da permettere di avere una temperatura omogenea all’interno di un materiale che sta cambiando di stato e che assorbe calore. In uscita dal sistema di estrusione si ha un filo che sta tra il fluido ed il viscoso e che assume un minimo di geometria, visto che esce da un ugello. Il filamento di materiale viene depositato sul piano di lavoro e via via sui vari layer, essendo un processo di costruzione a strati. La capacità di coprire le irregolarità nella struttura sottostante dipende molto dalla fluidità del polimero nei primi due secondi dopo la deposizione. Il sistema vedrà un materiale isolante la cui parte esterna passa rapidamente al di sotto della temperatura di transizione vetrosa e quella interna un po’ meno: il grosso rischio è che il materiale polimerico esca dall’estrusore, crei una crosta solida sulla parte esterna, rimanendo ancora liquido all’interno. Questo crea problemi di densificazione e ritiro del materiale al diminuire della temperatura. I livelli di porosità ottenuti con l’FDM sono abbastanza alti e per limitarli occorre operare sulla temperatura di transizione vetrosa del polimero e sulla portata di materiale, che viene estrusa nell’unità di tempo.

Le stampanti 3D FDM direzionano il materiale lungo l’asse perpendicolare al piano di lavoro: quando questo avviene tutte le proprietà del materiale, tra cui quelle meccaniche, diventano anisotrope. Per minimizzare questo inconveniente, si più utilizzare la flessibilità dell’additive, direzionando a piacimento l’architettura di costruzione dell’oggetto. Le macchine di fabbricazione additiva di tipo professionale consentono di avere una compattazione efficace tra i vari strati, limitando moltissimo eventuali difetti, come porosità residue e distaccamento dei layer, garantendo caratteristiche abbastanza isotrope lungo tutti i piani dello spazio. I componenti realizzati con questa tecnica di stampa 3D richiedono l’utilizzo di supporti. Questi ultimi possono essere realizzati con lo stesso materiale del componente o in materiale solubile, che cambia la sua composizione chimica a seconda del materiale che sta supportando e se il processo avviene a camera più o meno calda. Ad esempio, se si deve realizzare un componente in PLA è possibile utilizzare il PVA come struttura di supporto, essendo quest’ultimo solubile in acqua o soda caustica.

Polimeri utilizzati per il processo FDM

Vengono proposti di seguito alcuni tra i più importanti polimeri processati con questa tecnica di fabbricazione additiva. Si noti che l’alimentazione avviene a filo (1,5-8 mm) e le proprietà di cui si tiene conto sono: colore, stabilità chimica e termica. Le maggiori famiglie di materiali che più si adattano sono:
• ABS (Acrylonitrile Butadiene Styrene). Si tratta di un polimero in cui è presente un atomo di carbonio ad ogni vertice della struttura chimica. È un materiale molto “customizzabile”, essendo possibile modificare le percentuali relative dei tre monomeri principali, in modo da cambiare completamente le sue caratteristiche. Le temperature di lavoro sono comprese tra i 210 e 250 °C. Sono temperature che stanno al di sopra della transizione vetrosa per guadagnare fluidità. Esistono diverse tipologie di resine ABS con diverse proprietà. L’Additive Manufacturing consente di avere una grande flessibilità in tal senso.
• PLA (acido polilattico). Ha proprietà meccaniche inferiori rispetto alle resine ABS, ma ha il grande vantaggio di essere un materiale biodegradabile (è composto da elementi organici). È molto semplice da utilizzare e presenta costi di smaltimento pressoché nulli, risultando un materiale molto interessante soprattutto dal punto di vista commerciale. Ha un piccolo limite: è parzialmente solubile in acqua, quindi va trattato superficialmente per ridurre e/o eliminare tale inconveniente. Le temperature di lavoro sono comprese tra i 160 ed i 220 °C. Il PLA ha difficoltà a smaltire il calore, quindi i sistemi di estrusione dovranno essere dotati di ventole per rendere più semplice e veloce la densificazione del processo. Si segnala, inoltre, che il PLA rilascia degli odori assolutamente non nocivi in fase di produzione.
• PVA (Polyvinil Alcohol). Viene utilizzato, per lo più, per la realizzazione dei supporti, essendo solubile in acqua, a causa della presenza del gruppo OH. Questo rappresenta non solo un vantaggio in termini di tempi di produzione, ma anche da un punto di vista di estetico del componente finale. Solitamente, questo materiale viene posato in opera tramite una testina di lavorazione che presenta due ugelli: uno per il materiale del componente (ad esempio, PLA o ABS) ed uno per il supporto solubile.
• Il Nylon possiede proprietà meccaniche superiori rispetto agli altri polimeri, ma ha un range di utilizzabilità termica più ridotta (aumenta, quindi, il rischio di degrado).
• Il Flexi è un polistirene, biodegradabile e molto performante, visto che il legame poliesterico è abbastanza forte. È utilizzabile per produrre componenti più flessibili.
• TPU (poliuretani termoplastici). Vengono utilizzati in ambito automotive o motorsport, visto che hanno una resistenza abbastanza elevata. Tuttavia, presentano lo stesso problema del Nylon: finestre di utilizzabilità limitate.
• Il PC (policarbonato) che ha range termici molto limitati ed è trasparente. Si possono produrre componenti abbastanza complessi, in virtù delle sue proprietà meccaniche specifiche molto interessanti.
• Il PEEK è un termoplastico semi cristallino tecnologicamente avanzato in quanto combina ottime caratteristiche meccaniche, eccellente resistenza chimica ed un’ottima resistenza alle alte temperature.
• L’Ultem è un tecnopolimero con eccelse caratteristiche meccaniche e chimiche. Esso è utilizzato in tutti i settori: dall’automotive all’aereospace, passando per l’alimentare ed il biomedicale.

In generale, per poter utilizzare al meglio PEEK e Ultem è necessario avere qualche accorgimento in più rispetto alle altre famiglie di polimeri sopra citate, come ad esempio, l’utilizzo di una camera e di un piano riscaldato fino a 180-200 °C, oltre all’uso di un sistema di presa a vuoto per cercare di tenere ben ancorati i pezzi alla piattaforma di costruzione (per evitare problemi di ”warping”, ovvero ritiro dimensionale della parte). Questi tecnopolimeri, infatti, hanno prestazione molto importanti, ma di contro è molto difficile la loro gestione e manipolazione in macchina, sia durante la stampa che nella fase di post processing (rimozione dei supporti).

 

 

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