Il reshoring: un’opportunità per i terzisti

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Il reshoring non è ancora un fenomeno di massa ma la ricerca sul territorio di componenti e lavorazioni che l’Asia fornisce oggi con più difficoltà può trasformarsi in opportunità per i terzisti. Perché lo diventi è però necessario qualche compromesso e la collaborazione attiva delle istituzioni.

Alessandro Verri e Paolo Monari rappresentano la SCARL emiliana (sede a Vignola presso Modena) V-Mech che è nata nel 2019 dall’integrazione di quattro società dalle specializzazioni complementari. Il primo è il presidente e il secondo responsabile delle attività di R&D e dei rapporti istituzionali. Loro opinione è che allo stato attuale e per i riflessi sulla filiera «gli effetti del reshoring» siano «estremamente limitati», specie per la subfornitura. Tuttavia, già prima della crisi innescata dalla pandemia e

Al centro, nella foto, il presidente di V-Mech Alessandro Verrif

ra possibile scorgere nel panorama industriale della via Emilia alcuni segnali d’interesse. «Con il rallentamento della seconda metà del 2019», hanno detto «la gestione di alcune produzioni dai volumi non ingenti e di commesse che sarebbe stato antieconomico affidare a Paesi lontani, è stata in parte rimodellata. Fonderie, stampatori, terzisti specializzati, solo per fare qualche esempio, si sono visti a un tratto recapitare richieste magari estemporanee, ma diffuse. Il Covid-19 ha amplificato la tendenza, poiché la carenza di fusioni, prodotti meccanici e schede elettroniche, per fare qualche esempio, ha fatto ricomparire codici-prodotto che sul territorio non si vedevano più da tempo, perché trasferiti a terzisti cinesi o indiani». Anzi, secondo quanto appreso direttamente da Verri e Monari, forti di un’esperienza uridecennale del contoteterzismo della zona e non solo, imprese che ad aprile

Paolo Monari, responsabile delle attività di R&D e dei rapporti istituzionali di V-Mech

languivano, sono state aperte ad agosto per soddisfare la domanda di componenti, parti elettriche o meccaniche, turbine, motoriduttori, assi.«Per l’economia emiliano-romagnola e italiana in genere», hanno osservato, «può essere una chance da non perdere assolutamente. Certo, sarà indispensabile attenersi ad alcune condizioni. Se un fornitore OEM o Tier 1 cerca pochi pezzi e subito e a costi paragonabili a quelli dell’Asia, rispondergli di no potrebbe essere una scelta sbagliata, in una prospettiva di medio-lungo termine. Si tratta di scegliere fra l’uovo oggi e la gallina domani ma se si vuol dare un futuro al tessuto imprenditoriale e industriale, bisogna accettare la sfida nella piena consapevolezza che, data la scarsa visibilità che i mercati contemporanei offrono, la gallina, domani, potrebbe non esserci più». La rilocalizzazione non è solamente una scialuppa di salvataggio per il made in Italy ma per la manifattura europea nel suo complesso. Se ne stanno accorgendo in Germania, dalla quale «filtrano sempre più intensi i rumor sulla reimportazione nel Paese di attività – supply chain – specie verso il sistema subfornitura Emilia Romagna, come l’automotive, prima trasferite in Asia o Est Europa». “Inizialmente i costi saranno imponenti», per Verri e Monari, «ma è un investimento fruttuoso». Anche perché se diversificazione, bassi volumi e personalizzazione sono fra i trend che orientano la domanda della clientela contemporanea, per indirizzarli serve un indotto d’eccellenza, che l’Ue e la Penisola hanno, ma altrove non esiste e sarebbe troppo complicato creare. E se reshoring dev’essere, servono iniziative istituzionali forti, mirate, fatte d’incentivi e azioni sulla leva fiscale: uno sforzo organico e collettivo che giustifichi la decisione di scendere a qualche compromesso.

«IL SEGNALE è DEBILE, MA SIAMO PRONTI A COGLIERLO E A VALORIZZARLO»
Intervista a Matteo e Marco Del Col e a Remigio Del Col, fondatore con la moglie Daniela Marsilio di Officine GSP, specialista della lavorazione di tubolari e lamiera di Praturlone Fiume Veneto (Pn).
Quanto credete nella tendenza al reshoring che sembra aver preso piede dopo la pandemia?
In questo periodo si è sentito esprimere molto spesso il concetto del reshoring, della rilocalizzazione, e al momento da parte dei nostri clienti o probabili clienti futuri avvertiamo l’interesse di rivalutare il rientro di alcune produzioni. Per quanto ci riguarda si tratta però di un segnale piuttosto debole. Pensiamo che se ne sia parlato molto per via dei timori serpeggianti nelle prime fasi della diffusione del Covid-19, che inizialmente sembrava avere

Da sinistra, Matteo, Remigio e Marco Del Col, titolari di Officine GSP

interessato soltanto il territorio asiatico. Ben presto il fenomeno si è rivelato invece di portata mondiale. L’impressione è allora che il presunto rientro delle commesse non sia destinato ad acquisire dimensioni importanti. Ciò non toglie comunque che se dovesse effettivamente concretizzarsi, dobbiamo e vogliamo esser pronti a dargli valore.

Quali opportunità potrebbe comunque generare sul territorio italiano e a quali condizioni?
Se la richiesta e la tendenza al reshoring si dovessero presentare con dimensioni importanti, crediamo appunto che sia nostro preciso dovere quello di non farci trovare impreparati; rivedendo, nel nostro tessuto manifatturiero, il rapporto coi cosiddetti grandi numeri. In questi anni le aziende hanno spinto molto sulla parte tecnologica e forse una delle minacce che potrebbe presentarsi in questo nuovo scenario è la mancanza di personale specializzato che abbia le capacità e la voglia di rimettersi in gioco, appunto, con i grandi numeri. È importante, adesso, fare innovazione sul flusso dell’informazione all’interno delle fabbriche e ripensare la collaborazione fra i team interni alle imprese. Se dobbiamo compiere un’analisi macro sul territorio italiano, riteniamo che le associazioni di categoria, dalla prima all’ultima e insieme al governo dovrebbero sedersi intorno al classico tavolo in maniera seria, senza distinzioni di appartenenza e colore, e ridiscutere la burocrazia che avvolge il nostro tessuto manifatturiero e i costi che ci hanno tenuto per un lungo periodo fuori da alcuni scenari di mercato, facendo tornare agli imprenditori la voglia di investire nel Paese con il sorriso. Infine, dobbiamo avere una situazione politica tale da darci affidabilità, che premi chi lavora e chi investe. Sicuramente, alla guida della nazione serve una squadra di persone esperta nella gestione delle entrate e uscite; nel produrre utili. Dobbiamo accettare il cambiamento e rimetterci in discussione in ogni campo: il mondo muta alla luce di una sola caratteristica: la velocità.
I timori di un’altra ondata di contagi da Covid-19 può trainare la corsa alle rilocalizzazioni?
Sulla tendenza al reshoring, il timore di una nuova ondata della pandemia che ci ha colpito pesa sicuramente molto. Certamente i social-media ci hanno messo del loro nel trasmettere al consumatore finale paura e incertezza, però è nostro dovere credere nelle conoscenze che la nostra medicina ha sviluppato in questo periodo. Ora questo virus non è più un nemico totalmente sconosciuto, dobbiamo avere rispetto delle regole consigliate e utilizzare il buon senso. Allo stesso tempo, non possiamo prescindere dalla consapevolezza che, purtroppo, chi si ferma è perduto.
Cosa ha significato per Voi, il Vostro settore e il territorio, la passata scelta di delocalizzare?
Il significato della delocalizzazione degli anni passati è quello di uno sconvolgimento, in tutti i sensi. Ci è pesato molto il dover fare i conti con il costo basso della manodopera dei Paesi dell’Est e se inizialmente essa era di bassa qualità, nel tempo ha fatto passi avanti notevoli. Il confronto con questi competitor ha portato le aziende come la nostra a specializzarsi su lavori di qualità e a investire in tecnologia, per poterci assicurare un adeguato fatturato.

 

 

 

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