Ottimizzazione di macchine per l’elettroerosione a tuffo grazie ai motori lineari

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L’elettroerosione a tuffo (EDM) è un processo di lavorazione ben noto ed assodato. L’evoluzione della struttura di queste macchine non ha subito grandi modifiche nel corso del tempo. In questo studio viene analizzata la possibilità di innovare le macchine per EDM a tuffo utilizzando motori lineari al posto dei tradizionali motori rotativi per la movimentazione dell’asse verticale e la riprogettazione delle parti mobili mediante ottimizzazione topologica. L’utilizzo di questi azionamenti e la riprogettazione dei componenti consente di ottenere una notevole riduzione dei pesi con i conseguenti benefici in termini di dinamica del movimento e delle prestazioni della macchina. Come caso di studio è stata considerata una macchina VS 1200 della CDM Rovella.

Viene definita elettroerosione, un tipo di lavorazione “non convenzionale” cioè non rientrante nelle lavorazioni per asportazione di truciolo, dove l’asportazione del materiale dal pezzo, non avviene tramite un utensile che va fisicamente a tagliare il materiale. Si va invece a sfruttare l’effetto termico prodotto da una scarica che scocca tra elettrodo e pezzo (polarizzati rispettivamente con polarità opposte), che porta a fusione una piccola parte di materiale attorno all’area di impatto, provocando così il distaccamento di una piccola “bolla” di materiale, producendo di fatto l’erosione del materiale del pezzo e in percentuale minore anche dell’utensile. Per permettere un buon accumulo di energia che successivamente genere la scarica, è necessario che il processo, avvenga in immersione di un particolare liquido isolante (dielettrico).

Aspetto fondamentale nella regolazione della lavorazione, è il controllo del gap, cioè la distanza che vi è tra elettrodo e pezzo (Figura 1), dato che da questa distanza oltre che dalla frequenza delle pulsazioni di alimentazione dipenderà il tipo di lavorazione che si andrà a svolgere; in particolare, un gap grande, implicherà scariche con minor frequenza e maggiore energia, di conseguenza una lavorazione di sgrossatura, viceversa con un gap piccolo, si avranno scariche più frequenti e con contenuto di energia più basso, cioè una lavorazione di finitura. Successivamente all’avvicinamento dell’elettrodo al pezzo, in corrispondenza di asperità delle due superfici, avviene un fenomeno detto rottura del dielettrico, a causa dell’alto potenziale elettrico tra le due superfici. Al raggiungimento della rottura del dielettrico, poi, si ha il rilascio da parte della superficie carica negativamente, di elettroni, che tramite un processo detto ionizzazione per urto, vanno a ionizzare parte del dielettrico, permettendo quindi la formazione di una zona contenente plasma ad alta temperatura. Essendo il plasma formato da particelle fortemente ionizzate, ne risulta che la sua conduttività elettrica è molto più elevata del dielettrico di partenza, ciò consente la formazione di un canale di scarica, che consente un calo di tensione ed un passaggio di corrente, che provoca un forte innalzamento locale di temperatura che porta a fusione una piccola parte del materiale del pezzo. Il materiale portato a fusione, se non addirittura spesso ad evaporazione, viene portato via dal movimento nel fluido dielettrico innescato dal processo stesso, e viene poi allontanato tramite l’allontanamento dell’elettrodo che avviene proprio con il fine di effettuare il lavaggio, cioè di favorire il ricambio di dielettrico nella zona di lavorazione.

Macchine per elettroerosione a tuffo

Lo schema costruttivo delle macchine per elettroerosione a tutto è sostanzialmente costituito da una struttura cartesiana con conformazione a C (Figura 2). La struttura comunemente ritrovata per questa classe di macchinari è formata da un basamento, che funge da supporto per la tavola portapezzo e per la meccanica che permette la movimentazione della testa tramite apposite guide e pattini a ricircolo di sfere-rulli (Figura 3).

Solitamente, il basamento è realizzato in ghisa perlitica per fusione, oppure tramite lamiere in acciaio elettrosaldate, opportunamente rinforzate tramite nervature, per conferire una elevata rigidezza strutturale.

Per quanto riguarda la tavola portapezzo, può essere, realizzata in ghisa, di pezzo con il basamento, oppure nel caso in cui si necessita di elevata precisione, in materiale ceramico o granito, che soffrono molto meno di problemi dovuti alla dilatazione termica. Il basamento funge anche da supporto per i componenti detti carri, che sono dei componenti mobili, che andranno a consentire i movimenti lungo gli assi X e Y, tramite gli appositi sistemi di azionamento, quali possono essere, motori lineari, motori rotativi accoppiati a viti a ricircolo di sfere (come nel caso in esame), oppure cilindri oleodinamici.

Di fondamentale importanza nei macchinari a controllo numerico quali quello in esame, è la definizione di un sistema di riferimento per riuscire ad individuare la posizione relativa di utensile (elettrodo in questo caso) e pezzo da lavorare.

Nel caso della lavorazione di elettroerosione a tuffo, la stragrande maggioranza dei macchinari posseggono quattro gradi di libertà, cioè la struttura possiede altrettanti movimenti che è possibile controllare separatamente.

Primi dei due assi macchina, sono gli assi X e Y, che rappresentano la traslazione nel piano del pezzo nel caso in cui sia la tavola portapezzo ad essere movimentata, viceversa rappresentano la traslazione nel piano del montante che sostiene il cannotto porta-elettrodo, nel caso in cui la macchina sia provvista di tavola portapezzo fissa, caso che coincide con il caso in esame.

Il terzo asse macchina è l’asse Z, che rappresenta la traslazione verticale dell’elettrodo, ed in questo tipo di lavorazione, la direzione di alimentazione del materiale (direzione di avvicinamento dell’elettrodo al pezzo in lavorazione). Il moto lungo l’asse Z, come al pari degli altri assi descritti fino ad ora, potrà essere generato da vari tipi di azionamenti, come ad esempio motori rotativi combinati con una trasmissione a vite a ricircolo di sfere, o più raramente tramite sistemi oleodinamici, oppure utilizzando motori lineari. Il tutto gestito da un sistema di controllo in anello chiuso, tramite appositi trasduttori, che sugli assi lineari in esame, sono solitamente righe ottiche.

Ultimo asse macchina è rappresentato dall’asse C, che rappresenta la rotazione che l’elettrodo può compiere attorno all’asse Z. Come per gli altri assi, anche l’asse C, può venire azionato tramite azionamenti elettrici (rotativi) oppure sistemi pneumatici, ed è controllato ad anello chiuso tramite trasduttori rotativi come encoder rotativi o resolver induttivi.

In questo lavoro andremo ad ottimizzare l’asse Z in quanto costituisce l’elemento che viene maggiormente azionato durante le fasi di lavorazione.

 

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