CAI, il nuovo accordo sugli investimenti tra Ue e Cina

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Dopo 7 anni e 35 round negoziali, a fine 2020 è stato siglato l’accordo che definisce la nuova cornice normativa degli investimenti bilaterali tra le due superpotenze.

Il 30 dicembre 2020 l’Unione europea e la Cina hanno concluso l’iter del Comprehensive
Agreement on Investment (CAI), un accordo bilaterale grazie al quale le imprese europee potranno accedere liberamente al mercato cinese, investendo in settori vietati precedentemente. Per perfezionare l’intesa sono stati necessari 7 anni, con una Pechino che restava inizialmente immobile sulle proprie posizioni ma che poi, meeting dopo meeting (con 35 round negoziali), ha lentamente concesso deroghe dando vita a quello che si configura come un importantissimo strumento di collaborazione commerciale. Entro fine 2021 l’accordo dovrà essere ratificato, con il placet del parlamento europeo, e dovrebbe entrare pienamente in vigore a partire dal 2023. In attesa della ratifica, probabilmente avranno luogo ulteriori cambiamenti, considerando che saranno al vaglio alcuni aspetti particolarmente delicati, afferenti alla sfera dei diritti umani (tallone d’Achille per il gigante asiatico). Ma procediamo per gradi e vediamo cosa si delinea all’orizzonte, guardando ad Est.

Il dialogo Ue-Cina

Il CAI sostituisce i singoli trattati di investimento già operativi tra la Cina e gli stati membri dell’Ue, e offre un unico “strumento” negoziato a 26 voci (più quella cinese) con una forza “impositiva” sicuramente più forte di quella singola nazionale. In questo modo, sarà possibile contare, anche a livello europeo, su un quadro giuridico uniforme. Pensato inizialmente soprattutto per gli investimenti bilaterali, nel corso degli anni è stato ridisegnato, focalizzandosi anche sullo sviluppo sostenibile, l’ambiente e i diritti dei lavoratori. Sostanzialmente, quindi, il CAI prova a dirimere quelle che sono considerate le tre grandi criticità nei rapporti bilaterali tra Ue e Cina. In primis, c’è la reciprocità di accesso: se la Cina non accoglie “incondizionatamente” le altre imprese estere, automaticamente anche i vari paesi reagiscono allo stesso modo. C’è poi la questione relativa alla parità di condizioni per tutti gli operatori, e quella che norma le regole su clima, salute e lavoro. Questi tre punti hanno da sempre rappresentato uno scoglio per il dialogo commerciale mentre, oggi, con il CAI, si prova ad andare oltre, scavalcando il cosiddetto reef geoeconomico. Dunque, gli investitori europei potranno (nel breve futuro) essere ammessi in settori quali telecomunicazioni, finanza e mercato di automobili elettriche e ibride, e risultano ancora più interessanti le nuove opportunità per il comparto manifatturiero. Miglioreranno le condizioni di entrata per gli investitori europei e cinesi e verranno appianate tutte quelle divergenze normative che hanno da sempre contribuito a creare le cosiddette barriere non tariffarie. Dovrebbe infatti migliorare la trasparenza normativa, aspetto critico degli scambi tra le parti, con un equo trattamento degli investitori, senza più condizioni discriminatorie: in questo modo crescerà l’interesse reciproco, perché alle rispettive imprese saranno offerte nuove opportunità, con migliori condizioni di accesso. L’intesa, poi, incoraggia gli “investimenti responsabili”, puntando sullo sviluppo sostenibile e promuovendo la tutela degli standard ambientali. Infine, considerando gli aspetti geopolitici dell’accordo, dovrebbe crearsi un clima di maggior collaborazione tra la Cina e la sfera occidentale, anche a livello politico e non solo commerciale, aspetto questo che preoccupa particolarmente Washington.

 

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