I rivestimenti delle superfici soggette a usura

Condividi

Introdotti nell’industria meccanica ormai da cinquant’anni, i rivestimenti con film duro delle superfici di utensili e di altre parti soggette a usura sono ancora una tecnologia in continua evoluzione.

La tecnologia del rivestimento antiusura ha preso il via depositando il TiN (Nitruro di Titanio) sull’acciaio per utensili e si è subito dimostrata come una grande rivoluzione nelle lavorazioni meccaniche per asportazione di truciolo. Ha ridotto le usure degli utensili in modo drastico e ha permesso l’incremento delle velocità di taglio a livelli prima impensabili. Tutti i tipi di utensile sono stati oggetto di queste straordinarie performance e, in alcuni casi, hanno obbligato i costruttori di macchine utensili a riprogettare i loro modelli per rendere possibile il completo sfruttamento degli utensili trattati con questa nuova tecnica. Aumentare il rendimento di un utensile, come per esempio un creatore per la dentatura degli ingranaggi, di 3–6 volte e anche più, ha significato, in un primo momento una drastica riduzione della produzione di questi utensili che ha messo in crisi non poche aziende del settore. Poi sono entrate sul mercato le nuove moderne macchine utensili, che hanno consentito di aumentare progressivamente le condizioni di lavoro (velocità di taglio e avanzamenti), riportando i consumi di utensili a livelli accettabili spostando il vantaggio sulla riduzione dei tempi di produzione.

Eccellente biocompatibilità

Ma la larga diffusione di questi rivestimenti in TiN non è dovuta solo alla sua resistenza all’usura, ma anche al fatto che il film depositato non interagisce, dal punto di vista chimico, con molti elementi e quindi può essere utilizzato per proteggere dal degrado vari tipi di superfici.

Per esempio, è importante l’eccellente biocompatibilità intrinseca del nitruro di titanio (TiN Coating), che è ben documentata in varie applicazioni mediche. Questa caratteristica, unita alla grande resistenza all’usura, ha diffuso l’impiego di vari tipi di protesi nei differenti campi medici.

Nella Figura 1 si può osservare una tipica disposizione del deposito di TiN su acciaio inossidabile. La deposizione è avvenuta usando un plasma generato da un arco catodico.
Oggi i rivestimenti con solo TiN sono scarsamente usati, specie quelli monolayer, cioè con singolo strato.

Gli ultimi decenni hanno visto uno sviluppo quasi esponenziale delle tecniche di ricoprimento con l’impiego di materiali diversi dal titanio, che hanno avuto lo scopo di ottimizzare le caratteristiche del ricoprimento in funzione dei diversi impieghi.

Figura 1 – Profilo in 3D del film di TiN su acciaio inossidabile (cortesia foto: Somnath Bharech – Politecnico di Darmstadt Germania).

I diversi tipi di rivestimento

I diversi tipi di rivestimento si differenziano essenzialmente per il materiale depositato, per lo spessore e per il metodo di deposizione.

I più comuni rivestimenti oggi in uso nell’industria meccanica sono, oltre al TiN (Nitruro di Titanio), quelli in TiCN (Carbonitruro di Titanio), di TiAlN (Nitruro di Titanio Alluminio) e di AlCrN con base alluminio e cromo.

Bisogna subito specificare che oggi raramente si ricopre la superficie di un utensile con uno strato di uno stesso tipo, perché i vantaggi che si otterrebbero sarebbero solo quelli relativi al materiale di quello specifico ricoprimento.

In altre parole, con la tecnologia oggi esistente, è oggi possibile applicare il cosiddetto rivestimento multistrato (multilayer), che consente di accumulare i vantaggi di vari differenti tipi di ricoprimento.

Per esempio, se si ricopre un utensile solo con il TiN, che, come si vede dalla tabella riepilogativa delle caratteristiche, ha una temperatura di ossidazione di 600 °C e un modulo di elasticità di 300 Gpa, cioè vicino a quello dell’acciaio rapido costituente il substrato, si ha il vantaggio che la pellicola di TiN si flette come l’acciaio, cioè si comporta come una vernice che non si scrosta ma segue le deformazioni del supporto senza danneggiarsi. D’altra parte, però, quando la temperatura nel punto di contatto tra truciolo e utensile raggiunge i 600 °C inizia l’ossidazione dello strato che così perde completamente le caratteristiche fisiche, sbriciolandosi e scoprendo il supporto. Quindi c’è un limite ben preciso per le velocità di taglio che è possibile raggiungere con questo tipo di rivestimento. Se invece si ricopre con TiAlN, la temperatura in cui inizia l’ossidazione dello strato si alza a 900 °C e quindi la perdita delle caratteristiche fisiche avviene a una velocità di taglio notevolmente superiore. Però il modulo di elasticità è in questo caso di 450 Gpa, cioè lo strato è più rigido, meno flessibile, rispetto all’acciaio costituente il supporto. Ciò significa che se si ha una flessione dell’acciaio, lo strato della ricopertura non lo segue e c’è il pericolo di innesco di cricche (di fessurazioni) sullo strato stesso. Poiché la struttura del riporto è di tipo colonnare (Figura 1), se si innesca una cricca in superficie, essa prosegue fino al supporto con possibilità di distacco del ricoprimento stesso. Si risolve questo problema alternando gli strati di ricopertura (layer) di diverso tipo come indicato in Figura 2.

Figura 2 – Ricoprimenti monostrato e multistrato con identico spessore totale di 3,5 μm.

Molte aziende si sono specializzate nei rivestimenti PVD, introducendo sul mercato nuove soluzioni sia dal punto di vista dei metodi di deposizione sia per quanto riguarda le composizioni chimiche dei film depositati. Ogni produttore ha assegnato nomi commerciali ai diversi tipi di ricoprimento per cui è molto difficile ora farne un elenco dettagliato.

Per dare un esempio di come si sia sviluppata e differenziata la tecnologia in questo comparto basta dare uno sguardo alla Tabella 1 che si riferisce ai vari tipi di ricoprimento effettuati dalla miniToolsCoating di Padova, casa tra le più rinomate nel settore.

L’importanza dell’adesione: il rivestimento DLC

Una delle caratteristiche più importanti di un rivestimento è sicuramente l’adesione che dipende in maniera essenziale dallo stato della superficie da ricoprire e anche dallo spessore del film depositato.

Attualmente le realtà specializzate nel coating hanno messo a punto processi di preparazione delle superfici del substrato che rendono ottimale l’adesione.

Inoltre, per ogni specifica lavorazione sono previsti spessori del layer che aumentano il rendimento degli utensili.

Figura 3 – Ricoprimento DLC su un carburo sinterizzato (cortesia foto: Korloy).

Un tipo di ricoprimento che si discosta notevolmente da quelli appena descritti è il rivestimento DLC (Diamond Like Carbon). Si tratta di uno speciale rivestimento, molto variabile nelle sue caratteristiche che si presta a diverse applicazioni. Il film che ricopre un substrato può avere spessori di qualche nanometro fino ad arrivare a poco più del micrometro. Il ricoprimento DLC combina un’elevata durezza a un basso coefficiente di attrito e questo lo rende molto utile nell’aumentare l’efficienza di parti di macchine, in micro-ingranaggi ed in utensileria. Grazie poi alla notevole resistenza agli attacchi chimici e alla biocompatibilità è utilizzato in gioielleria e nell’ingegneria medicale. Le prime notizie di applicazioni risalgono al 1970, cioè quando Aisemberg e Chabot pubblicarono i resoconti del loro lavoro di ricerca sulla possibilità di depositare sottili film di carbonio su substrati di varia natura (silicio cristallino, vetro, acciaio inox). È in questo contesto che, viste alcune proprietà fortemente simili a quelle del diamante, venne assegnato questo nome. La proprietà fisica più importante del ricoprimento DLC è sicuramente la durezza del film.
Dato che il film ha uno spessore di qualche decina di nanometri o al massimo di uno o due micrometri, bisogna parlare di nanodurezza, perché i metodi Vickers e Rockwell non sono assolutamente idonei a questo scopo. La nanodurezza, si misura in GPa (Giga Pascal). Nella Tabella 2 sono riportate le nanodurezze di alcuni materiali e di alcuni rivestimenti a base di titanio. Anche il coefficiente d’attrito è molto basso, essendo compreso tra 0,1 è 0,2 cioè nettamente inferiore a tutti i rivestimenti usati nel settore utensileria. Come si è detto, ci sono molteplici possibilità di impiego del DLC grazie alla sua durezza, trasparenza e resistenza agli attacchi chimici. Viene usato nell’industria elettronica, nelle testine degli hard disk, in gioielleria e nell’industria dell’utensileria. Poiché il prodotto è biocompatibile può essere usato per protesi interne al corpo umano. Ci sono anche varianti che prevedono un deposito di uno strato composto Si-DLC tra il substrato e il DLC puro. Ciò permette di aumentare lo spessore del film fino a oltre il micrometro e di migliorare le prestazioni (Figura 3). Le tecniche di applicazione sono quelle classiche per gli altri rivestimenti a base di titanio, variando evidentemente i gas all’interno della camera in quanto non è più necessario l’azoto. In natura ci sono due diverse forme geometriche di cristallizzazione del diamante (cioè carbonio). La prima, la più comune, conosciuta in gioielleria ha gli atomi di carbonio disposti in una struttura tridimensionale cubica. Quella più rara invece ha la forma esagonale, del tipo delle celle di un alveare. La composizione chimica dello strato di DLC è carbonio cristallizzato nelle sue diverse strutture e quindi risulta amorfo.

Figura 4 – Cristalli di C presenti in uno strato di DLC.

Nella Figura 4, che riproduce un’immagine ripresa con il microscopio elettronico, è visibile un esempio dei singoli grani, delle dimensioni approssimative di un virus, che hanno struttura cubica o esagonale. I grani così casualmente disposti e alternati formano una struttura talmente compatta che la superficie appare speculare.

Nei ricoprimenti DLC superduri (80 GPa) si verifica un accrescimento delle tensioni interne allo strato per spessori fino a 200 nm (Figura 5).

Per ridurre queste tensioni si sostituisce il monostrato con una alternanza di strati di DLC duri (70 GPa) e soffici (35 GPa).

Nel settore dell’utensileria, gli utensili ricoperti con DLC si usano con successo nella lavorazione di materiali non ferrosi quali l’alluminio, grafite, plastica, legno.

Nelle lavorazioni ad asportazione di truciolo non si hanno fenomeni di adesione del truciolo sul petto tagliente.

Grazie al bassissimo coefficiente di attrito e al potere autolubrificante le superfici vengono finite in modo migliore anche perché si può aumentare la velocità di taglio senza compromettere il rendimento degli utensili (Figura 6).

di Gianfranco Bianco

Articoli correlati