La filtrazione e i suoi termini

TOMMASI

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Filtrare è meglio che curare. E la cura può essere drastica: lo scarto di un pezzo. Ma quali sono i termini legati alla filtrazione?

Si dice che il padre della filtrazione sia Jabir ibn Hayyan, forse il più grande alchimista medioevale, e, da autorevoli storici della scienza, ritenuto il fondatore della chimica moderna, segnando il passaggio dall’alchimia alla chimica. Vero o falso che sia, sta di fatto che, nei secoli la filtrazione, con i più disparati scopi, ha riscosso interesse crescente. E questo vale anche per il mondo delle lavorazioni meccaniche dove, soprattutto in tempi recenti, è diventata evidente la connessione fra fluido da taglio “pulito” ed efficienza del processo produttivo, oltre che di qualità del manufatto.

La filtrazione è una precisa operazione che ha, come risultato, la separazione di determinati componenti, secondo precisi obbiettivi. Questo significa che, sebbene “filtrazione” abbia un significato univoco, i termini ad essa associati variano in funzione del dove e a cosa viene associata.

Allora, perché la filtrazione in una lavorazione meccanica? Per far lavorare la macchina utensile nelle condizioni ideali il più a lungo possibile, a garanzia di efficienza e qualità.

Gli inquinanti

Durante la lavorazione, in macchina entrano un gran numero di inquinanti, di natura completamente diversa, e, di conseguenza, il fluido da taglio sarà ricco di dispersioni, come:

• trucioli di varie dimensioni

• oli estranei derivati sia da lavorazioni precedenti che da oli dispersi dalla macchina utensile; vernici, grafite e altri materiali leggeri che entrano all’interno dell’area di lavoro.

• sabbie derivate dai carburi dei pezzi laminati o stampati

• pulviscolo metallico generato dal contatto fra utensile e materiale lavorato

• polveri ambientali, normalmente presenti negli ambienti di lavoro, che si depositano sulle macchine e vengono lavate dal fluido di processo

• colonie di batteri che si formano all’interno del lubrorefrigerante, trovando un habitat favorevole alla loro proliferazione proprio in fluidi sporchi e poco ossigenati

Lo stato di questi inquinanti sarà diverso sia per peso che per comportamento: possono affondare e consolidarsi sulle vasche, oppure galleggiare, oppure essere trasportati facilmente dalla turbolenza del fluido, come l’olio che normalmente ricopre l’intera superficie delle vasche delle macchine utensili. Al tatto, la melma che ricopre la superficie delle vasche si presenta abrasiva, il che fa supporre si tratti di particelle, con granulometrie diverse e di materiali diversi: al microscopio, si presentano con bordi estremamente frastagliati. Queste particelle, effettivamente abrasive, hanno una durezza che può variare da 30 a 70 HRC, e hanno dimensioni che normalmente sono comprese fra 7÷8µm e 20µm. In alcuni casi le dimensioni massime sono di pochi micron e, talvolta, anche meno.

La presenza di inquinanti rende il lubrorefrigerante una miscela potenzialmente abrasiva, con tutto quello che ciò può comportare.

Conviene filtrare

In linea di massima la macchina utensile viene installata con delle dotazioni classiche, che hanno lo scopo di proteggerla e “pulire” il fluido da taglio, come, per esempio:

• vasca standard con paratie di decantazione o retine grossolane (100÷200 µm), col compito principale di proteggere le pompe dai trucioli più grossolani, un convogliatore di truciolo (dragante o a cerniera) e una o due pompe di rilancio (normalmente in bassa pressione, con portate limitate)

• sistema di filtrazione aggiuntiva, con carta o cartucce filtranti, note come consumabili, in quanto devono esser sostituite quando sono inquinate, o esauste dopo più cicli di pulizia. Il grado di filtrazione dipende dalla grana della carta o delle cartucce filtranti e difficilmente si scende sotto 50÷60 µm, in modo da limitare gli interventi di sostituzione/pulizia. La filtrazione riguarda solo il fluido che va alle pompe e non la totalità di quello presente in vasca della macchina utensile

• sistemi più complessi, con tamburi di prefiltrazione e successivi passaggi su carta o cartucce. I tamburi di prefiltrazione filtrano fino a 60÷100 µm, semplificando il lavoro delle cartucce che filtrano fino a 8÷20µm. Se la prefiltrazione agisce sulla totalità del fluido, le cartucce lavorano solo sul fluido destinato all’alta pressione quindi con un’azione parziale ed un’efficacia complessiva piuttosto bassa. In genere è richiesta una integrazione con sistemi di disoleazione superficiali per ridurre la quantità di olio, che tende a stazionare in vasca, sul pelo libero del fluido

A queste dotazioni vanno in genere aggiunti sistemi di disoleazione statici e soluzioni per abbattere l’inevitabile carica batterica, perlopiù mediante additivazione chimica.

Se storicamente la filtrazione era solo di tipo meccanico, oggi si sta assistendo all’introduzione di sistemi via via più evoluti, in grado di assicurare filtrazioni più performanti, costanti nel tempo, non soggette alle fluttuazioni dovute al progressivo intasamento dei filtri. Questi sistemi “lavorano” il lubrorefrigerante secondo un processo di pulizia continuo, ossigenandolo e liberandolo dalla presenza degli oli estranei e delle particelle solide con dimensioni superiori a 10µm, con applicazioni in grado di filtrare fino a 5 µm, talvolta anche meno.

I micron

Filtrazione” è un termine abbastanza generico, tanto che ne sono stati coniati altri, che vanno meglio a specificare quanto si filtra. Come conseguenza del quanto, che è l’esigenza primaria, segue il come, cioè se con la pendolarità dovuta all’impiego di consumabili con intasamento progressivo, o in maniera continua, sfruttando le caratteristiche, come quelle fisiche, di sistemi più evoluti. Chiaramente a ogni tipo di impianto è associato un costo, più o meno importante, ma anche un ritorno dell’investimento, che va sempre attentamente considerato.

Tornando alla capacità di filtrazione e al quanto, chi “governa” sono i micron, per cui si parla di:

• nanofiltrazione, se la filtrazione raggiunge valori di 0.08÷0.1 µm. Nelle lavorazioni per asportazione di truciolo riscuote interesse solo in alcune applicazioni particolari, come particolari lucidature mediante lappatura, tipicamente nel caso di camicie e cilindri, o per particolari destinati al settore medicale

• microfiltrazione, con filtrazione 1÷4 µm, ma comunque sempre sotto 5÷7 µm

• filtrazione fina, per valori di filtrazione inferiori a 10 µm

Usando genericamente il termine “filtrazione”, nel caso di gestione del fluido da taglio, si fa riferimento a valori superiori a 30÷50 µm.

Oggi c’è molta attenzione verso la microfiltrazione, anche se la diffusione è ancora limitata. L’attenzione nasce dalle esigenze di qualità e dal forte incremento delle lavorazioni in alta pressione che, per garantire l’integrità e la qualità superficiale richieste, richiedono un lubrorefrigerante estremamente pulito, pressoché privo di particelle abrasive, anche di piccole dimensioni. La limitata diffusione è anche dovuta al potere filtrante dei più diffusi supporti, di tipo tradizionale, che, a causa della loro natura, si intasano progressivamente, arrivando a bloccare la lavorazione: la scelta è quindi, molto spesso, il compromesso, anche se non è detto che paghi!

Interessante, anche l’analisi gravimetrica, che indica quanti grammi di miscuglio abrasivo sono presenti per litro di lubrorefrigerante. Un valore standard è 0,15÷0,30 grammi/litro, valore che cresce progressivamente per ogni mese di ritardo nella pulizia delle vasche. Questo dato può scendere fino 0.06÷0.08 grazie alla microfiltrazione che sfrutti sistemi di ultima generazione, con particelle di dimensioni inferiori a 7 µm.

Il rendimento e l’efficienza

Inquinanti, sistemi di filtraggio, grado di pulizia, micron… sono tutti aspetti di cui è indispensabile occuparsi, avendo il più possibile le idee chiare, perché più i sistemi di filtraggio si avvicinano alla reale necessità, più si complicano e costano.

La risposta sta nel rendimento della macchina utensile e nella sua continuità di funzionamento in condizioni ottimali. È un dato di fatto, sperimentato e sperimentabile in ogni realtà produttiva: dopo la pulizia periodica delle vasche e la sostituzione del fluido da taglio, il rendimento della macchina e degli utensili migliora, ma, inevitabilmente, decade nel tempo. Più il rendimento della macchina utensile si avvicina a quello ideale, maggiore sarà l’efficienza del processo produttivo e, come è ormai noto, la ricerca dell’efficienza è oggi quasi esasperata.

I perché

La filtrazione è un po’ il cuore pulsante di tutto il sistema di lubrorefrigerazione, con un impatto importante sulla lavorazione meccanica e sui suoi costi, passando inevitabilmente per l’efficienza delle macchine utensili. In che modo? Allungando la vita degli utensili, migliorando la qualità superficiale, limitando gli interventi di manutenzione, contenendo la quantità di fluido da taglio.

È stato stimato che i fermi di produzione dovuti ad inefficienza della macchina utensile, specificatamente legati ad una lubrorefrigerazione inadeguata, incidano, annualmente, in quantità variabile fra l’1 e il 10%.

Uno sguardo da vicino

Analizzando al microscopio una qualsiasi morchia, sono evidenziabili particelle con dimensioni 8÷20 µm. Queste particelle, miscelate a una emulsione in alta pressione (20÷80 bar), provocano un flusso abrasivo che danneggia utensili e superfici lavorate, e può otturare i fori di passaggio del lubrorefrigerante. Inoltre, nel lungo periodo, può danneggiare anche la macchina utensile.

Come avviene il fenomeno? La morchia contiene oli e particelle varie. Le particelle metalliche, a causa del peso, sedimentano sul fondo della vasca, ma l’olio, a causa del minor peso specifico, risale verso la superficie, portando con sé anche particelle metalliche; nell’olio che galleggia si ha la proliferazione di batteri anaerobici. Nel frattempo il fluido da taglio “contaminato” viene pompato in alta pressione verso l’area di lavoro. Intanto cosa succede nella morchia? Si ha la presenza di batteri anaerobici, scambi ionici dovuti alla presenza di elementi diversi, e corrosione. Questa situazione comporta, come minimo, un precoce decadimento dell’emulsione. Tutte le morchie, in linea generale, sono identificabili in questo schema.

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