Un casco per respirare nell’emergenza

Condividi

Edicola web

La respirazione è una funzione vitale che deve essere assolutamente garantita anche nelle condizioni più critiche di un’emergenza improvvisa. I caschi per la respirazione sono prodotti relativamente nuovi, che hanno avuto un forte impulso nella recente pandemia. Il loro utilizzo è stato prezioso, avendo garantito quelle condizioni polmonari che la respirazione naturale non è più in grado di dare. L’operatività viene fornita da vari accorgimenti che sono stati implementati in un prodotto industriale di eccellenza.

La presenza di fluidi in movimento e le esigenze della loro gestione richiedono sempre l’adozione di adeguati provvedimenti. Il discorso deve riguardare non solo l’ambito industriale, ma anche ogni altro settore, prima di tutto quello medicale, dove vi sono esigenze pressanti e molto particolari di prontezza di intervento, di accuratezza di regolazione, di affidabilità e di massima pulizia. Il settore medicale costituisce, infatti, un campo estremamente delicato, dove si interviene direttamente su persone, spesso in condizioni critiche, per le quali la qualità dell’intervento è determinante. La funzione respiratoria, nella quale vengono gestiti flussi di gas e di miscele di gas, è il chiaro esempio di come una funzione fisiologica vitale svolga azioni che sono tipiche di un circuito pneumatico. Il funzionamento, il controllo e, in taluni casi, la stessa struttura funzionale dei componenti avvicina l’operatività di un sistema per la respirazione artificiale a quella di un circuito tipico delle tecnologie ad aria compressa. Nell’articolo saranno analizzate le esigenze di sistemi per la gestione di situazioni di emergenza che richiedono accuratezza nei flussi destinati alla respirazione. Verranno pertanto indicate le soluzioni tecniche adottate e presentate le applicazioni industriali relative.

La pneumatica nell’emergenza medica

Vi sono molte situazioni in cui la respirazione naturale non è più sufficiente, ad esempio a causa di apnee che periodicamente possono presentarsi, o polmoniti causate da infezioni, o traumi che bloccano la respirazione o ancora a causa di anestetici durante interventi operatori. In tutti questi casi è necessario aiutare, integrare o sostituire la respirazione naturale, utilizzando dispositivi di assistenza o di ventilazione meccanica assistita. Le necessità variano secondo la gravità del caso, per cui vengono impiegate apparecchiature di vario tipo, quali: i ventilatori artificiali, i dispositivi CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) e le apparecchiature per l’arricchimento con ossigeno dell’aria inviata al paziente. L’azione prodotta dai vari dispositivi è ben diversa. I ventilatori artificiali sono macchine che producono dei cicli completi di respirazione, spingendo il gas necessario durante la fase di inspirazione e consentendo al momento giusto, nella fase di espirazione, l’evacuazione del gas esausto. Gli operatori sanitari possono decidere il volume di gas fornito, la percentuale di ossigeno o di miscele di gas e i valori di pressione da mantenere in determinate fasi del ciclo, secondo le esigenze. La funzione dei ventilatori è quella di sostituire la respirazione naturale in persone che non sono più in grado di esercitarla. I dispositivi CPAP effettuano un trattamento più semplice rispetto a quello garantito dai ventilatori artificiali. Sono sistemi che erogano un flusso continuo d’aria o di aria arricchita con ossigeno e garantiscono il mantenimento di una pressione positiva costante all’interno delle vie respiratorie, sia in fase di inspirazione che in fase di espirazione. Pertanto, le macchine CPAP mantengono aperte le vie respiratorie durante il trattamento, evitando così il collasso del sistema di respirazione a seguito di traumi, polmoniti causate da infezioni e durante gli episodi di respirazione interrotta (apnee). Una versione più avanzata di queste macchine è rappresentata dai dispositivi BiPAP, che forniscono due valori di pressione, uno per l’inspirazione e uno più basso per consentire l’espirazione dell’aria. Comunemente vengono poi adoperati anche altri dispositivi, quali cannule nasali, maschere facciali o altro, che forniscono piccoli flussi di ossigeno per arricchire l’a- ria aspirata e consentire un arricchimento in ossigeno del gas aspirato da parte di persone che manifestano difficoltà di respirazione.

Nella Figura 1 è riportato uno schema che indica le funzioni svolte dalle diverse tipologie di apparecchiature. Indipendentemente dall’azione svolta, facendo riferimento alle modalità con cui si immette il gas ai polmoni del paziente, i vari dispositivi per l’assistenza respiratoria possono essere di tipo invasivo o di tipo non invasivo (detti anche dispositivi NIV – Non Invasive Ventilation). La ventilazione invasiva prevede di intervenire sul paziente inviando un flusso di gas direttamente all’interno delle vie aeree: è quindi necessario utilizzare un tubo orotracheale, un tubo nasotracheale o una cannula per trattamento con tracheotomia. Si tratta di dispositivi che procurano grossi disturbi e intolleranza per cui sono usati su pazienti sedati. La ventilazione non invasiva agisce esternamente al paziente lasciando alle vie aeree la loro funzione naturale e intervenendo sulla miscela del gas inviato e/o su livelli di pressione. Tale ventilazione viene realizzata con apparecchiature diverse tra loro: maschera facciale, boccaglio o casco. Di solito è un trattamento eseguito in ambito ospedaliero, ma può essere fatto anche in ambulanza o a domicilio. È un trattamento meno traumatico rispetto alla ventilazione invasiva; tra i vari sistemi il casco è quello che produce i risultati migliori. Al confronto, in generale la maschera per ventilazione ha lo svantaggio di causare irritazioni, piaghe e decubito sulle parti a contatto del viso, e in alcuni casi si può verificare persino la lesione del setto nasale.

 

Articoli correlati