Sicurezza e lavoro. Inquinanti aerodispersi solidi

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Le sostanze inquinanti per l’igiene del lavoro si possono suddividere in gruppi in base alle caratteristiche fisico-chimiche:

  1. gli aeriformi (gas e vapori)
  2. gli aerosol che si presentano sotto forma di particelle liquide (nebbie)
  3. i particellari solidi (fumi, polveri e fibre) in sospensione

Le particelle solide comprendono:

  1. i fumi derivanti da processi di condensazione, combustione e vaporizzazione, che hanno composizione diversa dal materiale di origine e dimensioni inferiori al micron;
  2. le polveri originate dall’azione meccanica su un corpo solido (macinazione, taglio, levigatura, ecc..) e di composizione generalmente analoga al materiale di origine, oppure derivate da processi di cristallizzazione di vapori sovrasaturi o processi di conversione gas-particella;
  3. le fibre, di origine naturale o sintetica, consistenti in particelle di forma allungata la cui lunghezza è almeno tre volte superiore al diametro. La Who (World health organization, 1988) definisce fibre tutte le particelle che presentano una lunghezza maggiore di 5 µm e un diametro minore di 3 µm.

Molte sostanze, all’apparenza innocue, sono pericolose per la salute se inalate sotto forma di polveri o fibre: le polveri di legno duro, ad esempio, sono cancerogene per l’uomo, come anche le fibre di amianto. La pericolosità delle particelle dipende dalla loro natura fisico-chimica, dalla concentrazione nell’aria e dalle relative dimensioni. In aria la concentrazione delle particelle è espressa in mg/m3 o µg/m3 mentre quella delle fibre si misura in ff/l o ff/cm3.

Le particelle costituite da polveri e fibre raggiungono le strutture polmonari profonde (alveoli) solo quando il diametro ad esse associato è molto piccolo (< 3÷5 µm) perché la capacità di penetrazione del materiale particellare dipende dalle dimensioni del particolato sospeso in aria (diametro aerodinamico); nel caso delle fibre è la geometria “allungata” a favorire la penetrazione nell’apparato respiratorio. In base alla norma EN 481:1994 “Atmosfera nell’ambiente di lavoro, La Definizione delle frazioni granulometriche per la misurazione delle particelle aerodisperse”, sono state definite le frazioni dimensionali di aerosol che si depositano lungo il tratto respiratorio umano:

  • frazione inalabile (frazione in massa delle particelle aero-disperse totali che viene inalata attraverso il naso e la bocca);
  • frazione extra-toracica (frazione in massa delle particelle inalate che non penetra oltre la laringe);
  • frazione toracica (frazione in massa delle particelle inalate che penetra oltre la laringe);
  • frazione tracheobronchiale (frazione in massa delle particelle inalate che penetra oltre la laringe ma non giunge agli alveoli);
  • frazione respirabile (frazione in massa delle particelle inalate che giunge negli alveoli polmonari).

La legge fissa per alcuni tipi di polveri e fibre dei limiti di esposizione da non superare negli ambienti di lavoro, espressi come concentrazione dell’inquinante nell’aria, per determinati periodi di tempo. In mancanza di valori limite stabiliti dalla legge, per alcune specie di polveri e fibre, si può far riferimento ai valori limite di esposizione raccomandati dall’Acgih (American Conference of Governmental Industrial Hygienists)

Il problema “trasversale “dell’amianto

Sono ben note le patologie correlate all’amianto determinate dall’inalazione delle fibre di questo materiale che aveva trovato larghissimo impiego in particolare perché è un ignifugo ottimale.  Valutare i rischi legati all’amianto significa quindi verificare la probabilità che queste fibre vengano rilasciate dai materiali e successivamente inalate. Anche “una sola fibra di amianto può ammalare”: per l’amianto, come per altri cancerogeni, non esiste una soglia di esposizione che può essere definita “sicura”.  Ricordiamo che dal 1993 al 2015 sono stati segnalati all’ Inail 27.356 casi di mesotelioma riconducibile sicuramente a questo materiale. Nella valutazione del rischio per l’amianto occorre quindi tenere in considerazione:

  1. la natura dei materiali: quelli più friabili tendono più facilmente a rilasciare fibre in aria
  2. lo stato di degrado dei materiali: quelli più deteriorati rilasciano più facilmente fibre
  3. l’accessibilità dei materiali: un materiale confinato è meno a rischio di uno “a vista”
  4. la possibilità che questi siano perturbati: se il materiale è disturbato tenderà a rilasciare fibre.

La silice cristallina (Slc)

La Slc è una delle sostanze minerali più comuni presenti in natura, formata da silicio (Si) e ossigeno (O) che, assieme, costituiscono circa il 74% in peso della crosta terrestre. Generalmente questi due elementi chimici si combinano con altri per formare i silicati, minerali costituenti di molte rocce. In particolari condizioni, tuttavia, possono legarsi tra loro dando origine al gruppo dei minerali della silice (SiO2).

Il quarzo, costituente minerale primario di molte rocce vulcaniche, sedimentarie e metamorfiche è senza dubbio la forma più comune di silice libera cristallina (Slc) presente in natura.

L’esposizione alle polveri contenenti Slc è causa della silicosi, per lungo tempo la malattia professionale più importante registrata tra i lavoratori del nostro paese. La copertura assicurativa obbligatoria contro la silicosi venne istituita in Italia nel 1943, ritenendo già allora che questa specifica tecnopatia, proprio per le gravi conseguenze invalidanti, dovesse essere protetta tramite una speciale tutela.

Sono molte le attività che possono esporre il lavoratore al rischio di silicosi. Dall’industria estrattiva e lavorazione di materiali lapidei alla produzione di ceramiche e del vetro. Dai cementifici alle fonderie (gli stampi dove viene versato il metallo fuso sono costituiti per lo più da sabbia silicea). La Slc è presente in numerosi prodotti utilizzati in edilizia (come ad esempio malte, cemento, laterizi, rivestimenti in pietra naturale o sintetica o ceramici, sabbie abrasive utilizzate nelle operazioni di sabbiatura) Ma anche nel settore farmaceutico essa è presente nella produzione di paste dentarie che contengono Slc sotto forma di tridimite, mentre nel settore tessile nel recente passato il quarzo veniva utilizzato nelle operazioni di sabbiatura di tessuto denim.

La valutazione del rischio silicosi presenta ancora oggi diverse criticità dovute all’assenza di orientamenti istituzionali chiari riguardo ai sistemi da adottare per campionare le polveri, alla scarsa diffusione di programmi di controllo di qualità delle prestazioni dei laboratori nei quali si eseguono le analisi. A rimediare a questa situazione vengono opportunamente in aiuto la ricerca dell’Inail “Banca dati esposizione Silice, rapporto 2000-2019” e dalla parte legislativa la direttiva comunitaria2017/2398 che, modificando la precedente direttiva cancerogeni (2004/37/CE), ha inserito i Lavori comportanti esposizione a polvere di silice cristallina respirabile generata da un procedimento di lavorazione fra quelli classificati cancerogeni e definito per tale agente di rischio un valore limite di esposizione occupazionale di 0,1 mg/m3. Il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche Sociali e del Ministero della Salute del 11 febbraio 2020,dando attuazione ad altre due direttive comunitarie in materia, ha quindi proceduto alle modifiche degli allegati XLII e XLIII del d.lgs. 81/2008 recependo il valore limite di esposizione professionale come frazione respirabile di polvere di Silice Cristallina di 0.1 mg/m3 (nella stessa tabella troviamo i composti di Cromo VI con un limite di 0.005 mg/m3 e per il Cadmio un limite di 0.001mg/m3).

La silice cristallina ed il settore dei Trattamenti dei Metalli

Nella ricerca citata dell’INAIL e precisamente a pagina 276 troviamo la scheda C17 specifica per il settore dei trattamenti e rivestimento dei metalli. Si tratta di una analisi effettuata su 52 campioni personali e 2 ambientali. L’analisi della polvere respirabile in questo settore ha portato a rilevare una media geometrica di 1,656 mg/m3 nei campionamenti personali e di 1,139 mg/m3 per gli ambientali. Il tenore medio di quarzo era rispettivamente del 4,8 % e dell’1%.

L’analisi del quarzo respirabile va dalla media geometrica di 0.045 mg/m3 per i campionamenti personali ad un bassissimo 0.007 mg/mc3 per quelli ambientali.

I campioni sono stati raccolti nelle regioni Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. I dati peggiori sono riscontrati in quest’ultima regione dove viene superato il valore di 0,1 mg/m3 di quarzo respirabile come esposizione personale.

Quello che ci preme rilevare è la esposizione al quarzo respirabile per mansione rilevata dalla ricerca, considerando le più frequenti e rilevanti operazioni che hanno a che fare con il trattamento delle superfici. La mansione che comporta più esposizione è senza alcun dubbio quella “dell’addetto alla sabbiatura manuale con lancia (C.17.02.1)” che evidenzia una esposizione a polveri respirabili di 11,207 e per quel che riguarda il quarzo respirabile di 0,326 mg/m3. L’addetto alla “scriccatura”(C17.03.03)  segue ad un ordine di grandezza inferiore con 0,065mg/m3. L’addetto alle operazioni di sabbiatura con sabbiatrici automatiche segue con 0,059 mg/m3 seguito a sua volta dall’addetto alla verniciatura con 0,056 mg/m3 e dall’operatore polivalente (il jolly) che rileva un 0,049 mg/m3. È da notare che la “sabbiatura manuale con sabbiatrici chiuse” riduce il valore ulteriormente a 0,02 mg/m3, similmente all’addetto alla tornitura, foratura ed assemblaggio (0,019 mg/m3).  Gli addetti alle operazioni di lucidatura seguono chiudendo ad un livello minimo di 0,006mg/m3.

Le PNOR ovvero le polveri inerti e/o fastidiose

Contraddistinte dall’acronimo PNOR (Particulates not otherwise regulated), rispondono alle seguenti caratteristiche:

  1. Sono insolubili o scarsamente solubili in acqua (o nei fluidi polmonari nel caso siano disponibili dati sperimentali);
  2. Hanno bassa tossicità (cioè non sono citotossiche, genotossiche o altrimenti chimicamente reattive con i tessuti polmonari);
  3. Non hanno un valore limite ponderale applicabile.

Tuttavia, anche se biologicamente inerti e non in grado di determinare l’insorgenza di malattie organiche significative, è ormai riconosciuto che tali particelle, siano esse di natura minerale o inorganica, possono esplicare effetti avversi in caso di esposizione per inalazione, contatto cutaneo o attraverso gli occhi. Per tali motivi l’ACGIH raccomanda che le concentrazioni aeree negli ambienti di lavoro siano mantenute al di sotto di 3 mg/m3 nel caso di frazione granulometrica respirabile e sotto 10 mg/m3 nel caso di frazione granulometrica inalabile.

Le fibre naturali, minerali o artificiali

Diversi minerali in natura hanno abito fibroso. Caratteristiche di pericolosità simili all’amianto sono attribuite alla fluoro-edenite, cavata a Biancavilla, in Sicilia, fino alla fine degli anni ’90, e all’erionite, minerale del gruppo delle zeoliti. Per altri minerali wollastonite, attapulgite e sepiolite, la reale pericolosità è ancora oggi in discussione. Queste fibre hanno solubilità più elevata nei liquidi dell’organismo, quindi biopersistenza ridotta e tossicità presumibilmente molto inferiore a quella dell’amianto.

Le fibre naturali di origine vegetale, come la juta, il sisal, la canapa, la fibra di cocco, il lino, e quelle di origine animale, come la lana, il pelo di molti animali e la seta, sono impiegate soprattutto nell’industria tessile, rappresentando quasi la metà delle fibre utilizzate nel mondo e milioni di lavoratori sono esposti alla loro inalazione. Per il settore dei trattamenti superficiali ricordiamo che vengono ancora utilizzate le ruote in sisal per le operazioni di spazzolatura come anche le ruote in Tela per le operazioni di lucidatura dei metalli. Al loro utilizzo si abbinano paste di pulitura di diverso tipo rispetto alle operazioni richieste. IL consumo delle ruote utilizzate rilascia quindi nell’ambiente di lavoro fibre e polveri che debbono essere opportunamente aspirate, mentre si dovrà munire l’operatore dei DPI adeguati onde evitare la inalazione o danni all’occhio (mascherine minimo FFP2, protezione degli occhi…).

Le fibre sintetiche sono prodotte artificialmente dall’uomo a partire da polimeri ottenuti tramite sintesi chimiche Esse costituiscono materiali con caratteristiche chimico-fisiche che li rendono particolarmente utili ed apprezzati in molteplici processi industriali come isolanti elettrici in motori, cavi, fili, isolanti acustici negli edifici, materiali di rinforzo in campo navale, aeronautico ed automobilistico ecc.

Le polveri sottili

Le polveri sottili costituiscono un problema particolarmente sentito, spesso condizionano non poco le nostre vite causando il sempre più frequente ricorso ai blocchi del traffico veicolare. Le particelle comprese tra 2,5 e 10 micron sono definite particelle grossolane e tipicamente rappresentano la maggior parte della massa del PM10 (Particle matter). Per avere un’idea delle dimensioni si pensi che il capello umano ha un diametro di 60 μm.Il PM10 aumenta l’asma tutto l’anno e le bronchiti in inverno (a causa degli idrocarburi policiclici aromatici). A quanto pare il PM10 si origina in gran parte proprio dal traffico veicolare.

Le particelle tra 2,5 e 0,1 μm sono definite particelle fini. Una particella di 2,5 μm di diametro è circa un trentesimo del diametro di un capello umano. Le particelle comprese tra 0,01 e 0,1 micron sono definite particelle ultra fini (UF) e generalmente sono costituite dai prodotti della cristallizzazione di vapori sovra saturi (SO2, NH3, NOX e prodotti della combustione).Insieme, le particelle fini e ultra fini costituiscono il PM2,5, cioè tutte le particelle inferiori a 2,5 μm .Secondo ricerche sperimentali su pazienti di città USA e a Milano: il particolato riduce l’aspettativa di vita di 1-2 anni e in particolare di 0,77 anni ogni 10 µg/m³ di PM2,5;

Ai fini del miglioramento della qualità dell’aria ambiente e per prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana, in attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente, il d.lgs. 13 agosto 2010 n.155 ha fissato i valori limite di concentrazione nell’aria

  • per il PM2,5 nella misura di 25 µg/m3
  • per il PM10 nella misura di 40 µg/m3 (valori medi annui)

Le nano-particelle

La Nanotecnologia si occupa della creazione e dell’utilizzo di strutture, dispositivi e sistemi dotati di nuove proprietà e funzioni in scala nanometrica, approssimativamente da 1 a 100 nanometri (nm). Un nanometro corrisponde a 1 x 10--9metri o a un milionesimo di millimetro. Per capire meglio il senso di questa scala possiamo dire che il capello umano misura mediamente circa 60.000 nanometri (nm), che il diametro della cellula del globulo rosso è di circa 5.000 nm e che le dimensioni dei virus hanno tipicamente una dimensione massima tra 10 e 100 nm. Le nanotecnologie costituiscono oggi la nuova frontiera dell’ingegneria dei materiali. In particolare, fioriscono da tempo tecniche di trattamento di superfici che operano con le nanotecnologie. Dalla fase di ricerca emergono ogni giorno nuovi materiali nanotecnologici dalle proprietà incredibili, basti citare a titolo d’esempio il Grafene. Per restare nell’esempio la tossicità del grafene è stata oggetto di molti studi, alcuni hanno dimostrato che nanonastri, nanopiastrine e nanocipolle di grafene non sono tossici fino alla concentrazione di 50 µg/ml. Mentre sembra provato che dei cristalli di grafene multistrato dello spessore di 10 µm sono stati capaci di perforare le membrane cellulari in soluzione. Secondo una ricerca di una università statunitense il grafene è potenzialmente tossico: intaccherebbe e danneggerebbe le cellule umane per via della sua natura bidimensionale. Il problema della tossicità delle nano particelle resta quindi controverso.  In effetti è noto che le nano particelle possono sfondare la membrana cellulare. Magnetite biogenica è stata trovata nel cervello umano ed è stata associata a disturbi neurodegenerativi (Dobson 2001Hautot et al. 2003). Studi Tossicologici sui roditori hanno dimostrato che alcuni tipi di nano tubi di carbonio possono indurre mesotelioma, e la “World Health Organization “evaluated long, rigid multiwall carbon nanotubes as possibly carcinogenic for humans” nel 2014. La Unione Europea applica in questo campo il principio di precauzione, ovvero ci dice che:

“no evidence of harm” is not the same as “evidence of no harm” (la mancanza di prova del danno non è la stessa cosa della prova di non danno).

Il nuovo Regolamento della Unione Europea n° 878/2020, che modifica le Schede Di Sicurezza e che si applica dal 01 gennaio 2021, ha, quindi previsto, Il fatto che la sostanza sia in nanoforma o che la miscela contenga una nanoforma. Tale fatto si deve indicare nella sottosezione 9.1 della SDS tra le “caratteristiche chimico-fisiche” oppure indicare il riferimento dei punti in cui sono state descritte. Si è così confermato che la tossicologia di una sostanza o di un preparato muta in relazione alla forma. Diviene allora di fondamentale importanza definire il concetto di Nanoforma che può applicarsi, è bene ricordarlo, solo ai materiali solidi.

Per nanoforma si intende una sostanza contenente particelle allo stato non legato, come aggregato o come agglomerato, particelle che nella distribuzione dimensionale siano almeno per il 50% con almeno una dimensione esterna compresa nell’intervallo tra 1 nanometro e 100 nanometri.

Bilancio della Sicurezza sul lavoro 2020
I dati tratti dalla Relazione a Montecitorio del Presidente dell’Inail

Il presidente dell’Inail Bettoni ha relazionato a Montecitorio sui dati relativi alla Sicurezza sul lavoro 2020. Nell’anno della pandemia le denunce di infortunio si sono ridotte dell’11.4 % rispetto al 2019. Il 25 % delle denunce presentate sono dovute al Covid-19 come origine professionale (socio-sanitaria). Gli infortuni, riconosciuti dall’Inail nel 2020, sono stati 375.239 ovvero quasi il 10 % in meno rispetto al 2019. Di questi il 13% è avvenuto al di fuori dell’azienda cioè con mezzo di trasporto od in itinere. L’influsso maggiore della pandemia si è avuto sugli infortuni “in mobilita”: – in occasione di lavoro con mezzo di trasporto (meno 32 % rispetto al 2019) – in itinere senza mezzo di trasporto (meno 38.2 % rispetto al 2019) -in itinere con mezzi di trasporto (meno 38.9 % rispetto al 2019). Le 505736 denunce d’infortunio sul posto di lavoro del 2020 segnano anch’esse un segno meno rispetto al 2019 del 6.2% circa. Gli infortuni mortali nel 2020 sono stati 1538 (nel 2019 erano stati 1205) dei quali più del 33 % sono ascrivibili al Covid-19. Se non consideriamo le morti dovute alla pandemia abbiamo quindi 799 casi di morti sul posto di lavoro e 261 fuori dell’azienda. Quindi al netto del Covid-19 i morti per incidente sul lavoro sono 1070 nel 2020 contro i 1205 del 2019. Le morti accertate “sul lavoro” dall’Inail sono quindi 799, il 13,3% in più rispetto alle 705 del 2019. Di queste 261, pari a circa un terzo del totale, occorse “fuori dell’azienda” (93 casi sono ancora in istruttoria). In pratica si sono verificati: -un aumento di 94 casi di infortunio con esito mortale sul posto di lavoro -un calo di 51 morti sul posto di lavoro con mezzo di trasporto (minimo storico di 181 per questa voce). -un calo di 105 morti negli infortuni mortali in itinere sul 2019 (anch’essi al minimo storico dal 2016 con 226 casi). In altre parole, non si deve “mollare la presa” sul campo degli infortuni sul posto di lavoro in senso stretto, almeno per quelli più gravi. Attendiamo dei dati disaggregati per settori di attività per verificare il problema all’interno del settore manifatturiero, quello di nostro interesse prioritario. Anche le malattie professionali hanno segnato un forte decremento nel 2020, quelle denunciate all’Inail nel 2020 sono state 44.955, in diminuzione del 26,6% rispetto alle 61.201 del 2019.

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