Le parole della tecnologia: la dilatazione termica

Daniela Tommasi

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Le lavorazioni per asportazione di truciolo richiedono grande attenzione alle dilatazioni termiche, che rappresentano una criticità da tenere sempre ben presente

Di fatto “dilatazione termica” è un termine piuttosto comune nella tecnologia meccanica e si riferisce a quel fenomeno secondo il quale qualsiasi pezzo, sottoposto a una variazione termica, subisce delle variazioni dimensionali, più o meno evidenti, e più o meno permanenti. Chiaramente, una variazione dimensionale permanente va annoverata fra le deformazioni. La dilatazione termica è quindi definibile come “la variazione di dimensione che un materiale subisce quando viene riscaldato”.

Da un punto di vista qualitativo, una spiegazione del fenomeno della dilatazione termica può essere data partendo dalla considerazione che un aumento della temperatura porta a un aumento della velocità di vibrazione delle molecole, e quindi degli urti molecolari, che ha come conseguenza l’incremento della distanza media intermolecolare. Il risultato è un aumento del volume. Se la temperatura diminuisce? Il comportamento può essere definito “simmetrico” rispetto a quello dell’innalzamento, e quindi il risultato è una contrazione dimensionale. Dilatazione e contrazione termica sono proprietà tipiche di ogni materiale, che quindi avrà comportamenti diversi in funzione della “situazione” in cui si trova. Le parti mobili di una macchina utensile, geometria e materiale di un utensile, strumenti di misura, devono porre particolare attenzione a cosa succede al variare della temperatura, anche nel caso di variazioni minime. Naturalmente ci sono casi in cui “si gioca” sulle dilatazioni/contrazioni, in modo da ottenere desiderati collegamenti con interferenza, come nel caso dell’accoppiamento albero-mozzo.

La lavorazione di qualità e la precisione nella misura devono tenere conto della dilatazione termica dei materiali.

Dilatazione lineare o volumetrica: cosa dice la fisica

La dilatazione termica è una proprietà fisica del materiale. Guardando ai casi pratici, molto spesso una o due dimensioni prevalgono marcatamente sulle rimanenti, tanto da rendere trascurabili le stesse e, di conseguenza, anche la relativa deformazione dovuta alla variazione termica.

Lo stato di deformazione raggiunto, noto come “dilatazione”, viene quantificato attraverso il “coefficiente di dilatazione termica” che può essere volumico, superficiale o lineare, a seconda della variazione fisica del pezzo. Da un punto di vista fisico e pratico, per i solidi vengono in genere considerate la dilatazione termica volumica e quella lineare, privilegiando l’una o l’altra a seconda della forma del pezzo. Nel caso di pezzi snelli prevarrà la dilatazione lineare (e il relativo coefficiente), rendendo trascurabili le dilatazioni nelle altre dimensioni, pur essendo ben chiaro che, in realtà, ogni materiale si dilata sempre in senso volumico. Invece, nel caso di liquidi, interessano solo le dilatazioni volumiche.

Considerando i solidi, sulla base degli studi e rifacendosi alle sperimentazioni, si può affermare che l’allungamento termico, cioè la dilatazione lineare, avviene, con buona approssimazione e in un ampio intervallo di temperature, sempre secondo la stessa legge, detta “legge della dilatazione lineare”:

l = lo (1 + λ t)

con λ che sta per il “coefficiente di dilatazione lineare”, che dipende dal materiale ma non dalla geometria del pezzo. Se non si ha una dimensione prevalente, come nel caso di pezzi tozzi, occorre considerare la dilatazione in tutte e tre la dimensioni.

Si parla di dilatazione volumica e, di conseguenza, si ha la “legge di dilatazione volumica”:

Vt= Vo (1 + α t)

Con α che sta per il “coefficiente di dilatazione volumica” (o cubica). Sperimentalmente si è visto che, nel caso dei solidi: α =3λ.

L’acqua: un comportamento anomalo

È ormai risaputo come l’acqua abbia, in generale, un comportamento tutto suo, che si discosta da quello degli altri liquidi, e, infatti, quando la sua temperatura aumenta da 0 a 4 °C, il suo volume diminuisce, anziché aumentare. Superati i 4 °C, l’acqua riprende poi a dilatarsi, il volume cresce in maniera regolare, sebbene senza seguire un andamento lineare.

A 4°C, la densità è massima. Questo strano comportamento spiega perché, durante l’inverno, i laghi ghiacciano solo in superficie e non in profondità: sotto i 4°C la densità dell’acqua diminuisce con l’abbassarsi della temperatura e quindi si ha una sorta di galleggiamento sulla superficie, con un progressivo raffreddamento fino a raggiungere 0 °C, con la trasformazione in ghiaccio. Se questo comportamento è vitale per gli esseri viventi, può essere estremamente dannoso per tutte quelle strutture, e/o organi di macchina, in materiale poroso, quindi con possibile penetrazione di acqua, dato che la formazione di un filo superficiale di ghiaccio agisce da tappo, impedendo la dilatazione, dell’acqua interna, con il rischio di provocare fratture.

Se mi scaldi… mi restringo

È sempre vero che, all’aumentare della temperatura, i manufatti (cioè il materiale che li costituisce) si restringano? In effetti, esistono materiali, noti come “leghe a bassa dilatazione”, che hanno un coefficiente di dilatazione bassissimo, talvolta negativo. Si tratta principalmente di leghe Fe-Ni, note come INVAR e KOVAR, a seconda delle percentuali di ferro e nichel. La denominazione INVAR è la contrazione di “invariabile”, a indicare la mancanza di deformazione termica, che rappresenta caratteristica fondamentale per diversi strumenti di misura. L’INVAR, sviluppato per la prima volta in Francia, ha un coefficiente di dilatazione lineare di 1,5×10-6, valore che può scendere ancora intervenendo con opportuni trattamenti termici. Fra le leghe INVAR, le più note sono: INVAR36, non molto usato perché di difficile lavorazione; INVAR FM (Free Machining) che contiene selenio e manganese, ma un più elevato tenore di carbonio che contribuisce all’instabilità nel lungo termine, portando a piccole, e non sempre tollerabili, deformazioni spontanee; SUPRINVAR, che contiene una piccola percentuale di cobalto, un coefficiente di dilatazione 0,36×10-6, talvolta negativo. Il SUPERINVAR sembra essere il meno stabile strutturalmente, in quanto maggiormente soggetto a deformazioni spontanee, che però possono essere ridotte mediante processo di rinvenimento, processo che comunque porta a una riduzione di durezza. L’HP (High Purity) INVAR 36 nasce da uno studio della NASA: a un bassissimo coefficiente di dilatazione termica si associa una migliorata stabilità strutturale. È stata prodotta una piccola quantità per la sonda Cassini, utilizzando polveri di ferro e nichel con elevato grado di purezza. Queste sono state pesate, mescolate, pressate in uno stampo e sinterizzate in atmosfera controllata. Metà del prodotto è stata estrusa e l’altra metà è stata forgiata a caldo. Le eccezionali proprietà della lega sembrano dovute alla sua elevata purezza e al contenuto in carbonio inferiore allo 0,01%.

(da: NASA Technical Support PackageTemporally and Thermally Stable Iron/Nickel Alloy”)

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