Investimenti green: il futuro dell’industria italiana

Marianna Capasso

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Le politiche europee puntano sempre più sull’innovazione green, mentre l’Italia si allinea a Bruxelles con strumenti e misure di sostegno per le imprese

La transizione ecologica, uno dei punti fondamentali del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNNR), oggetto della seconda Missione (Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica), tratta diversi temi green, con un unico grande obiettivo: migliorare la sostenibilità del sistema economico e assicurare una transizione equa e inclusiva, verso una società a impatto ambientale pari a zero.

Attraverso la realizzazione di infrastrutture (colmando le lacune strutturali), si punta al miglioramento dell’equilibrio tra natura, sistemi alimentari, biodiversità e circolarità delle risorse.

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La Missione prevede investimenti e riforme per l’economia circolare, per il miglioramento della gestione dei rifiuti e il rafforzamento delle infrastrutture per la raccolta differenziata, con l’obiettivo di riuscire a riciclare il 65% dei rifiuti plastici e recuperare il 100% dei tessili.

Tra gli altri target, c’è l’incremento dell’efficienza energetica, la decarbonizzazione, il sostegno alla filiera dell’idrogeno e alla ricerca di frontiera.

L’interesse per questo tema, fortemente sentito, è stato riportato anche all’interno delle previsioni di bilancio per l’anno 2022, nella manovra finanziaria.

I progetti a livello europeo sono importanti e l’Italia, tra risorse PNRR e proprie, sta lavorando per offrire alle imprese interessanti benefici.

Il Green Deal

Nel dicembre del 2019, la Commissione europea ha pubblicato “Il Green Deal Europeo”, documento che, impegnando tutti gli Stati Membri, affronta problemi legati al clima e all’ambiente, ripercorrendo il percorso già intrapreso attraverso il Clean Energy Package, attraverso diversi strumenti legislativi centrali.

Il documento europeo indica la strada da seguire per trasformare la società. Sono gli stessi Stati Membri che si sono impegnati, in ambito UE, per il raggiungimento dell’obiettivo: entro il 2030 dovranno essere ridotte le emissioni di almeno il 55%, rispetto ai livelli del 1990.

Si tratta di un progetto particolarmente pretenzioso, se si considera che in 30 anni (1990/2020) le emissioni in UE si sono ridotte del 20%.

In meno di 10 anni bisognerebbe passare quindi dal 20 al 55.

Non è proprio così semplice. Andranno quindi riviste le politiche ecologiche, armonizzando il tutto con quelle interne.

In questo modo si creeranno nuove opportunità per l’innovazione, gli investimenti e l’occupazione, tutelando i cittadini vulnerabili, appianando le disuguaglianze e la povertà energetica.

Tra i vari obiettivi del Green Deal, si punta alla trasformazione dei trasporti (che dovranno essere sostenibili), alla realizzazione di un sistema energetico più pulito, alla ristrutturazione degli edifici (per uno stile di vita ecologico) e alla promozione di azioni globali per il clima.

Nel settore dei trasporti, la Commissione punta su una mobilità più verde grazie a “trasporti puliti”, con prezzi abbordabili anche in aree meno centrali.

Entro il 2030 dovranno essere ridotte le emissioni di automobili e furgoni (-55%) ed entro il 2035 dovranno essere prodotte automobili nuove a zero emissioni.

Una novità più a breve riguarda l’anno 2026, quando verrà applicato il cosiddetto “scambio di quote di emissione”: verrà pagato il prezzo dell’inquinamento, con sovrattasse, e saranno predisposti fondi per gli investimenti verso le tecnologie pulite.

Entro il 2030 circa 35 milioni di edifici europei potrebbero essere ristrutturati, con la creazione di 160 mila nuovi posti di lavoro nel comparto edile green: grazie all’efficienza energetica aumenteranno gli occupati del settore, e crescerà la richiesta di manodopera.

Il 14 luglio 2021, poi, la Commissione Europea ha approvato il pacchetto climatico “Fit for 55” che contiene una serie di proposte legislative finalizzate al raggiungimento degli obiettivi climatici entro il 2030, sempre alla luce del Green Deal.

Con le misure previste verrà accelerato il sistema di riduzione delle emissioni di gas serra, nel prossimo decennio. È stato proposto di innalzare al 40% la diffusione di combustibili green, come l’idrogeno nel settore industriale e dei trasporti.

Come si riesce a raggiungere un target così ambizioso? Cambiando l’economia e creando settori interconnessi al green, che riescano a realizzare le sfide climatiche in maniera equa e competitiva, efficientando i costi.

Inoltre, oggi più che mai, si rende necessario l’utilizzo di incentivi specifici, soprattutto in ambito fiscale.

La risposta italiana

A livello nazionale, l’orientamento UE è recepito costantemente e, da ultimo, attraverso la Legge di Bilancio per il 2022.

Nella manovra finanziaria, sono state inserite una serie di misure a supporto della transizione ecologica, dove si evidenzia la questione della decarbonizzazione e la lotta alle emissioni.

In particolare, presso il MiSE sono stati istituiti diversi Fondi. Il primo, quello per la transizione industriale, punta all’adeguamento del sistema produttivo nazionale alle politiche europee in materia di lotta ai cambiamenti climatici.

Il Fondo, attraverso un decreto adottato in concerto da tre Ministeri (MiSE, MEF e MITE), sarà istituito entro la prima metà del 2022, con una dotazione finanziaria pari a 150 milioni di euro, destinati alle imprese che operano in settori ad alta intensità energetica che, alla luce della politica europea, dovranno riconvertire in chiave ecologica le proprie produzioni.

Non sono poche, infatti, le realtà industriali per le quali l’abbattimento delle emissioni di CO2 diventa un problema anche dal punto di vista economico: si tratta dei cosiddetti settori “hard to abate”, obbligati a modificare il loro modus operandi in risposta al programma climatico “Fit for 55”.

Infatti, attraverso il beneficio, potranno essere realizzati investimenti mirati alla riduzione dell’impronta di carbonio, in primis.

Le compagini saranno incentivate a realizzare investimenti per l’efficientamento energetico, per il riutilizzo per impieghi produttivi di materie prime e di materie riciclate, e per attuare il sequestro e il riutilizzo dell’anidride carbonica.

È stato poi creato il Fondo italiano per il clima, che dovrà “contribuire al raggiungimento degli obiettivi stabiliti nell’ambito degli accordi internazionali sul clima e sulla tutela ambientale” ai quali l’Italia ha aderito.

Al Fondo sono destinati 840 milioni di euro annui, dal 2022 al 2026, e 40 milioni dal 2027, per finanziare interventi a favore di soggetti privati e pubblici.

Sarà Cassa Depositi e Prestiti a gestire il Fondo, attraverso interventi anche a fondo perduto, destinati a una serie di Paesi individuati a priori, ovvero destinatari di aiuti allo sviluppo come stabilito dal Comitato di aiuto allo sviluppo Ocse-Dac (Development assistance committee).

Le azioni green si realizzeranno attraverso l’assunzione di capitale di rischio, l’erogazione di finanziamenti, diretti o indiretti, contributi a fondo perduto, garanzie su finanziamenti concessi da intermediari e garanzie per insolvenza.

I crediti d’imposta “green”

Sempre in ambito green, analizziamo ora le misure afferenti al PNRR. All’interno del nuovo Piano Nazionale Transizione 4.0, che sostituisce il programma Industria 4.0, viene potenziata la ricerca di base e applicata, ed è favorito il trasferimento tecnologico; viene promossa la trasformazione digitale dei processi produttivi, favorendo gli investimenti in beni immateriali.

Tutto ciò si persegue attraverso lo strumento del credito d’imposta, destinato a beni strumentali materiali e immateriali 4.0, a R&S, a Innovazione tecnologica, green e digitale, a Design e ideazione estetica, alla Formazione 4.0.

In particolare, l’Innovazione è considerato un fattore chiave per la crescita delle imprese, innalzandone il potenziale produttivo.

Pertanto, grazie al successo già mostrato negli anni passati, la Legge di Bilancio proroga nuovamente, fino al 2025, il credito d’imposta, per gli investimenti innovativi che realizzino prodotti o processi di produzione nuovi, per il raggiungimento di un obiettivo di transizione ecologica o di innovazione digitale 4.0.

Le imprese green risultano più performanti per fatturato, occupazione ed export

Il Governo quindi continua lungo la linea già tratteggiata da luglio 2020: allora, alle aziende che adottavano soluzioni green, veniva concesso credito d’imposta pari al 10% del valore dell’investimento, cumulabile anche con altri incentivi fiscali.

Con la legge di bilancio 2021 la percentuale di credito era salita al 15%, senza modificare la disciplina fiscale.

Venivano quindi ulteriormente premiati gli investimenti apportanti migliorie in materia di efficienza, durabilità, riduzione di impatto ambientale, attraverso “l’innovazione tecnologica finalizzata alla realizzazione di prodotti o processi di produzione nuovi, allo scopo di ottenere una transizione ecologica (Green) e digitale”.

Con la nuova manovra finanziaria, per innovazione 4.0 e green, nel 2022 l’aliquota resta immutata al 15%, per investimenti fino a 2 milioni di euro; per il 2023 scende al 10, innalzando il limite dei progetti a 4 milioni, e per il biennio 2024/2025 scende ulteriormente l’aliquota, al 5% e resta il limite dei 4 milioni.

Dunque risultano agevolabili una serie di spese tipiche, tra cui quelle del personale impiegato in attività di IT svolte internamente all’impresa, spese per beni materiali e immateriali nei progetti di IT, spese per contratti stipulati con soggetti terzi all’impresa e servizi di consulenza.

Tutto ciò, però, deve essere in chiave green e sostenibile.

Mobilità ed efficienza energetica

Nella manovra finanziaria, ben due miliardi di euro finanzieranno il Fondo per la strategia di mobilità sostenibile, sempre in ambito Green Deal UE, con 50 milioni di euro annui dal 2023 al 2026, 150 milioni per ciascuno degli anni 2027 e 2028, 200 milioni per il 2029, 300 milioni per il 2030 e 250 milioni per ciascuno degli anni dal 2031 al 2034.

Queste risorse andranno a mobilitare tutto ciò che afferisce al comparto della mobilità, con l’adozione di carburanti alternativi nel comparto marittimo e aereo, con il rinnovo del parco autobus destinato al trasporto locale, l’acquisto di treni a idrogeno, la realizzazione di ciclovie urbane e turistiche, lo sviluppo del trasporto merci intermodale su ferro.

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Per l’efficienza energetica, oltre al già noto Superbonus 110%, è stato introdotto un credito d’imposta per le spese di installazione di sistemi di accumulo integrati in impianti di produzione elettrica, alimentati da fonti rinnovabili.

È stato poi stabilito che, grazie a una dotazione di 6 milioni di euro per il 2022 e 2023, sarà operativo un fondo speciale, grazie al quale sarà possibile aprire centri di riutilizzo dei rifiuti.

Gli “Hard to Abate”

I settori Hard to Abate – acciaio, chimica, ceramica, carta, vetro, cemento e fonderie – sono comparti cosiddetti “energivori” dove risulta particolarmente difficile abbattere le emissioni di gas serra.

Assieme generano 350mila posti di lavoro diretti, arrivando a 700mila se si considera l’indotto totale. Secondo i dati di uno studio condotto da diversi attori del comparto industriale italiano, tra cui Federbeton, Federacciai, Assocarta, Confindustria Ceramica, Federchimica, Assofond, Assovetro e altri, si evince che la decarbonizzazione compartimentale può essere raggiunta solo con una serie di misure specifiche (efficienza energetica, economia circolare, combustibili low carbon e green fuel, elettrificazione).

Questo percorso di transizione verso il green potrebbe avere un forte impatto sulla crescita del PIL (+10 miliardi fino al 2030) favorendo la creazione di ulteriori 150mila posti di lavoro, nel caso in cui gli investimenti venissero gestiti totalmente in Italia.

Il costo totale per la realizzazione del piano si attesta sui 15 mld di euro.

Sempre secondo lo studio, grazie alla cattura della CO2, all’elettrificazione e ai green fuels (idrogeno e biometano) – le tre leve più innovative – entro il 2050 si riuscirebbe a garantire la riduzione anche dell’80% di emissioni.

Le altre misure (energia circolare, combustibili low carbon e efficientamento energetico) non assicureranno una riduzione superiore al 20%, per cui resta fondamentale mixare le due componenti per il miglior risultato.

A tutto ciò bisognerà poi aggiungere una nuova cornice regolatoria, in grado di dettare regole e principi secondo norme specifiche.

In conclusione

Nell’XI Rapporto sulla green economy in Italia, studio condotto da Fondazione Symbola e Unioncamere, si evidenzia come, negli ultimi 5 anni, le imprese green siano risultate più performanti, rispetto alle “colleghe”, non solo in termini di fatturato (+7%), ma anche per occupazione (+7%) ed export (+10%).

Le stesse hanno affrontato l’impasse in maniera migliore rispetto a quelle convenzionali, reggendo l’impatto dell’emergenza e segnando una ripresa e una ripartenza più veloci: non hanno smesso di innovare e di puntare sulla sostenibilità ambientale, rendendo l’Italia leader, a livello europeo, sia nell’economia circolare che nell’efficienza dell’uso delle risorse.

L’Italia, infatti, si colloca al terzo posto subito dopo Lussemburgo e Irlanda, per eco-efficienza, considerando quattro fattori chiave della produzione, ovvero materie impiegate, energia utilizzata, produzione di rifiuti ed emissioni atmosferiche.

Dunque, tutto sommato, non siamo proprio il fanalino di coda, tra gli Stati Membri UE.

È che a volte l’eccessivo criticismo abbaglia pericolosamente, facendoci dimenticare le grandi potenzialità (e la forte personalità ingegnosa) di un Paese che sa resistere.

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