Martello mezzo maestro

Martino Barbon

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Così dicevano i vecchi maestri battilastra. Le lavorazioni tradizionali della lamiera sono una palestra fondamentale, in grado di generare ancora oggi un grande patrimonio di esperienza.

I lamieristi d’altri tempi avevano la notevole capacità, generata dalle necessità, di produrre una grande varietà di forme e pezzi usando un ristretto numero di utensili universali. Lavoratori qualificati, che utilizzavano strumenti di uso generale, realizzando esattamente ciò che il cliente aveva chiesto, un prodotto alla volta. Lavorando isolati in piccole botteghe, erano responsabili della progettazione, della fabbricazione e dell’assemblaggio di beni relativamente semplici rispetto ai prodotti moderni.

Questi oggetti erano il frutto della fatica e dell’abilità umana: richiedevano una combinazione di destrezza manuale e un gran numero di regole intuitive ed empiriche, derivate da una comprensione evolutasi attraverso l’esperienza. In questo articolo guarderemo da vicino alcune delle tecniche usate dai lamieristi d’altri tempi per lavorare il metallo. Per alcuni andremo ad esaminare anche le versioni automatizzate di questi processi. Per alcuni processi la flessibilità fornita da un bravo battilastra rimane impareggiabile, anche se confrontata con i più avanzati sistemi CNC.

Il martello

Primo e più importante strumento del lamierista, rimane ancora oggi un utensile insostituibile, analogo al ruolo della lima per i cugini dell’asportazione di truciolo. Ma non fatevi ingannare dall’apparente semplicità del mezzo: le tecniche che lo coinvolgono sono tra le più complesse e difficili da padroneggiare.

Con il martello e un’incudine concava o un sacco di sabbia, i battilastra ricavavano pannelli di qualsiasi forma e con ottima finitura superficiale. I prodotti più iconici sono le carrozzerie delle automobili, ancora oggi realizzate a mano per le vetture fuoriserie. Realizzare una parte complessa a doppia curvatura, come un parafango, può richiedere anche 10 anni di pratica. Per controllare la geometria del pezzo si usavano grandi dime di legno, che fungevano da sagoma di riferimento.

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Un esperto battilastra, come un golfista con le mazze, sa qual è il martello adatto ad ogni uso

La lavorazione più semplice è sicuramente la piegatura, solitamente effettuata bloccando la lastra in una morsa e colpendola con un martello a testa tonda. Con l’incudine o il sacco di sabbia si possono invece realizzare oggetti di forma bombata come i serbatoi delle motociclette. Sfruttando le corna dell’incudine si possono trasformare dei dischi di lamiera in recipienti cilindrici come secchi e coperchi.

Con il martello è anche possibile spianare, lisciare, stirare, o comprimere la lamiera con una lunga e paziente serie di colpi progressivi. Per ogni processo c’è un martello adatto, con una testa tonda, piana, larga o stretta a seconda dell’uso. Al posto dell’incudine in certi casi si usano delle controsagome dette “tassi”, di varie forme e raggi a seconda dell’uso. Vengono spesso utilizzati dai carrozzieri per riparare le ammaccature in opera, quando il pannello non può essere rimosso dal resto della carrozzeria. Il pezzo subirà un forte incrudimento durante la lavorazione: per questo spesso è indispensabile un passaggio sulla forgia per eliminare le tensioni interne.

La formatura a martello è simile alla formatura incrementale, una nuova tecnica di deformazione della lamiera estremamente flessibile. A differenza dello stampaggio, non richiede l’uso di matrici né di presse potenti, ma per contro è molto più lenta. Possiamo immaginarla come la versione robotizzata di un lamierista dell’Ottocento.

Ne abbiamo parlato proprio in queste pagine nel mese di novembre 2021. Un esempio sicuramente noto a tutti è la Statua della Libertà: una struttura interna reticolare rivestita da 300 pannelli di rame sagomati uno ad uno dai lamieristi francesi del 1883. La parte esteriore è opera dello scultore Frédéric Auguste Bartholdi, mentre il traliccio di supporto è stato progettato dal famoso ingegnere Gustave Eiffel.

La formatrice

La macchina formatrice consiste in un maglio a movimento oscillatorio verticale. A seconda dell’utensile montato, è possibile curvare, spianare, stirare, raddrizzare, e persino restringere la lamiera. Per curvare un pezzo si monta un punzone concavo e una matrice convessa, mentre per raddrizzarlo si usano utensili piatti.

Per le altre deformazioni gli utensili sono composti da più elementi mobili che, una volta pinzata la lamiera, si muovono in senso laterale. Il movimento può essere verso l’esterno per allungare o spianare il pezzo, o verso l’interno per comprimere il materiale. In questo modo è possibile curvare con facilità angolari e profili di vario genere, ma è richiesta una grande abilità da parte dell’operatore. In rete si trovano molti video di queste macchine, prodotte soprattutto dall’azienda tedesca Eckold.

La ruota inglese

Se il martello è il re della carrozzeria artigianale, la ruota inglese ne è la regina. È composta da un robusto telaio a C con un incavo che va dai 500 ai 1200 mm. Su questo telaio, in ghisa o in tubolare d’acciaio, sono montati due rulli contrapposti: quello superiore, detto “ruota”, e quello inferiore detto “incudine”.

La ruota ha un diametro di circa 200-250 mm, larga circa 80 mm, e ha una superficie piatta. Al contrario, l’incudine è più piccola ed è disponibile in vari diametri e sezioni a seconda dei raggi di curvatura da realizzare. È montata su un supporto a vite per adattare la pressione al materiale e alla deformazione desiderata.

La lavorazione avviene facendo passare ripetutamente il foglio tra i due rulli con un movimento a zig-zag. La lamiera subisce uno stiramento e una compressione localizzata e differenziata che modella il materiale. A seconda della forma dell’incudine e del movimento effettuato dall’operatore cambierà la forma finale.

Un movimento lungo un solo asse, con un percorso ad “M”, porterà ad una curva semplice, mentre un movimento su due direzioni incrociate con un percorso ad “X” permetterà di ottenere una sagoma complessa a doppia curvatura. Il processo è tutt’altro che banale dal punto di vista matematico: per chi volesse approfondire, rimandiamo al lavoro di Gauss sulle superfici curve, paraboliche e iperboliche.

Ritornando al freddo metallo, con una buona dose di pazienza e di maestria è possibile produrre parti senza segni visibili di lavorazione. Per contro, bisogna tenere conto dei limiti nella grandezza del pezzo e nello spessore. L’utilizzatore deve allo stesso tempo fare attenzione a non stirare, assottigliare, o incrudire eccessivamente la lamiera.

La tornitura in lastra

La rivista Lamiera ha dedicato un ampio spazio alla tornitura della lamiera nel numero di settembre 2021. Si tratta infatti di un processo affascinante, nato sui torni manuali tradizionali e ora entrato anche nel mondo del controllo numerico. La tornitura in lastra si ottiene facendo ruotare un disco di lamiera bloccato da una contropunta folle.

Un utensile detto palo spinge la lastra portandola ad adattarsi progressivamente alla forma dello stampo. La tornitura in lastra richiede grande sensibilità ed esperienza, soprattutto con pezzi a sezione non circolare. Un lamierista specializzato è in grado di ottenere superfici levigate quasi a specchio.

La tornitura in lastra è stata usata per millenni per produrre coppe e recipienti; le prime testimonianze risalgono addirittura all’Egitto dei Faraoni e all’antica Cina.

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La tornitura in lastra, come altri processi, è ora sotto il preciso controllo dei CNC

La cesoiatura

Insieme al martello, la cesoia è sicuramente un altro strumento fondamentale nella cassetta degli attrezzi del lamierista. I modelli più semplici sono sicuramente quelli da impugnare e sono sostanzialmente delle grosse forbici, simili a quelle usate per potare. Sono molto utilizzate da chi si occupa di lattoneria e ha bisogno di rifilare o scontornare lastre e profili direttamente in opera. Una versione un po’ più versatile e robusta è la cesoia da banco, dotata di una lunga leva per aumentare la capacità di taglio.

Particolarmente utile è la cesoia senza incavo, che consente di tagliare forme molto complesse, strisce lunghe, e parti con raggi ridotti. A differenza delle forbici, le lame sono spesso rimovibili per essere affilate o sostituite.

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Una cesoia per lamiera, del tipo usato in lattoneria

Proseguendo troviamo la taglierina, dotata di una lunga lama ricurva. La forma a sciabola serve per garantire un angolo costante di taglio durante tutta l’escursione della leva, cosa che sarebbe impossibile con una lama dritta. Durante l’ultima fase del taglio infatti, la lama superiore sarebbe quasi parallela a quella inferiore e lo sforzo aumenterebbe eccessivamente.

Anche questo utensile consente di tagliare solamente spessori sottili per lattoneria. Per tagliare la lamiera in forma circolare, i vecchi lamieristi avevano a disposizione anche la cesoia tagliadischi. Il foglio di metallo veniva bloccato nel centro e veniva fatto ruotare tra due lame circolari.

La distanza poteva essere modificata in base al raggio desiderato, e la lamiera veniva rifilata in maniera analoga al funzionamento di un apriscatole. In alcune tagliadischi, le lame potevano essere sostituite da due ruotini per effettuare la bordatura della lamiera. Al giorno d’oggi questa operazione è ovviamente effettuata tramite macchine a controllo numerico, oppure tramite tranciatura in pressa.

La calandratura

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Un lamierista all’opera sulla calandra manuale

All’arsenale del battilastra non poteva mancare la calandra, ovviamente manuale. Dotata di tre rulli e funzionamento a manovella, consentiva di realizzare cilindri, fusti, tubi, secchi e qualsiasi altro oggetto di forma tubolare o conica.

Come per le moderne calandre a CNC, uno dei rulli era regolabile in base al raggio di curvatura desiderato.

In alcuni modelli, il rullo superiore è rimovibile per estrarre più facilmente il pezzo.

La calandra, tra tutte le macchine manuali, è quella che forse più è rimasta simile a sé stessa anche con l’avvento delle versioni a CNC.

La piegatrice

Altra macchina ancora molto utilizzata dagli hobbisti e dagli artigiani, è composta da un banco e da un premilamiera apribile con una leva per inserire e rimuovere la lamiera. La corsa è regolabile per adattarsi a spessori differenti.

Il premilamiera è dotato di segmenti removibili e quindi permette di piegare scatolati e vaschette; da qui il nome inglese di “box-and-pan brake”. La lavorazione avviene tramite piegatura tangenziale: la lamiera viene pinzata e fatta sporgere frontalmente. Un elemento mobile posto sotto la lamiera, detto lama di piegatura, viene fatto ruotare tramite una leva azionata manualmente.

La lamiera viene di fatto ruotata senza strisciare, riducendo moltissimo i graffi. La lama di piegatura può essere dotata di contrappesi per ridurre lo sforzo di piega. Anche questa macchina, seppure ancora usata in versione manuale, si è evoluta con le tecnologie a controllo numerico fino alle odierne piegatrici tangenziali.

L’eredità dei battilastra

La Rivoluzione Industriale e la produzione di massa a basso costo hanno relegato queste tecniche, tanto versatili quanto lente e artigianali, a mercati sempre più di nicchia. L’aumento della flessibilità della produzione è ora una delle tendenze più importanti nello sviluppo delle moderne macchine per la lavorazione della lamiera.

Alcune di queste lavorazioni sono servite come base e punto di partenza per lo sviluppo di macchine elettriche, a CNC, e persino 4.0: una sorta di eredità morale, per così dire.

Ironicamente, il mercato è ormai entrato in un’era di produzione personalizzata: quasi un ritorno all’era della produzione artigianale, ma con volumi sostanzialmente più elevati. Conoscere le tecniche tradizionali ci può forse aiutare a sviluppare processi e macchinari in grado di rispondere alle necessità di personalizzazione del futuro.

Chissà, una delle soluzioni per la fabbrica del futuro potrebbe essere proprio guardare indietro alle versatili tecniche manuali usate dai lamieristi, unite alle tecnologie moderne e all’automazione.

Marco Basso

 

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