Caro energia, una questione che fa scintille

Andrea Lombardo

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Inflazione record, rincari inauditi, un rimbalzo dei prezzi che minaccia di divorare la crescita del PIL. Il caro energia aumenta. La situazione si fa rovente.

Neppure la pandemia di Covid-19 ha arrestato i suoi tanti, fondamentali, comparti che costituiscono l’ingranaggio vitale dell’economia di una nazione: adesso, però, potrebbe riuscirci il “caro bolletta”.

In una tempesta (energetica) perfetta, proprio l’unica materia prima di cui nessuno può fare a meno, l’energia, tradisce il sistema logistico e industriale tutto, costringendolo letteralmente a staccare la spina.

Proviamo a fare chiarezza sulla situazione e su cosa effettivamente significhi per la logistica italiana.

Lo scenario, alias l’incubo

Proprio di incubo fatto realtà pare trattarsi quello che le aziende energivore – molte delle quali appartenenti al settore logistico – stanno vivendo.

La congiunzione astrale è infatti eccezionale: dal 2008 a oggi non si era mai registrata un’inflazione tanto alta (+5% nell’Eurozona, leggermente meglio, almeno per ora, in Italia con un +3,9%), nessuna crisi – se non quelle belliche – avevano innescato un rimbalzo della domanda e dei prezzi così sproporzionato.

A ciò si aggiungano poi la carenza di materie prime, i costanti colli di bottiglia della Supply Chain e la transizione energetica da affrontare: una sola cosa è certa, ossia che per correre e fuggire via da tale situazione serve energia, tanta energia.

Che costa maledettamente cara.

Cosa succede al caro energia?

Perché i prezzi sono impazziti? Già, perché solo con l’aggettivo “folli” sono definibili un rialzo del 700% del prezzo del gas in Europa – “solo” del 500% nella Penisola italiana, grazie agli sgoccioli di passati stoccaggi, a un minimo di attività estrattiva e al contributo del TAP – e del 450% del costo all’ingrosso dell’energia elettrica.

Se l’uomo della strada grida al complotto, gli analisti affermano che, purtroppo, era tutto già scritto, anche se non prevedibile in queste proporzioni.

La pandemia ha provocato un letale “stop&go” per la domanda di energia: come tutte le crisi, ci si aspettava che producesse un rimbalzo negativo; nel 2020, proprio a causa dei tanti fermi produttivi, il prezzo dell’energia aveva toccato un ribasso del 20% che, adesso, acuisce ancor più la differenza con il rialzo.

caro energiaTrappola in salsa green

Il boost eccezionale che sta avendo il prezzo dell’energia è dovuto al sommarsi a tale meccanismo di una serie di fattori, primo fra tutti il rincaro di un altro asset, il carbonio, che ha toccato i 60 €/tonnellata, il suo massimo storico.

Oltre a questa coincidenza c’è poi il vero cane che si morde la coda, ossia la transizione ecologica.

Prescritta dall’Europa, essa è giusta nel principio, ma deficitaria nell’applicazione: la disincentivazione a produrre energia da fonti fossili e nucleari è sacrosanta, ma non le corrisponde una capacità compensativa da parte delle fonti rinnovabili.

E, nel frattempo, le industrie, per produrre, acquistano crediti ambientali che servirebbero a finanziare la decarbonizzazione proprio per continuare a inquinare “in deroga”, con il paradosso tutto italiano di dover ricorrere ai proventi dei crediti green per calmierare le bollette.

A fronte di una ripresa della domanda di beni, le industrie non hanno l’energia – o, meglio, costa loro troppo – per soddisfarla con alti regimi produttivi, provocando una stagnazione economica, la stessa che si traduce a sua volta in una contrazione della domanda di energia.

Tutto ciò senza nemmeno affrontare la questione NordStream 2, il gasdotto caro al presidente Putin e sul quale l’Europa fa marcia indietro in una tardiva volontà di ridimensionare l’influenza russa sulle politiche energetiche continentali.

La spesa per l’industria italiana

Le conseguenze per l’industria italiana sono state stimate da Confindustria: l’escalation della bolletta è impressionante, se si considera che nel 2019 il suo costo ammontava a 8 miliardi di euro, divenuti 20 nel 2021 e, adesso, attesi nell’ordine dei 37 miliardi di euro per il 2022.

In concreto, si tratta di un vero e proprio dramma per le aziende cosiddette ‘energivore’, cioè che necessitano di un altissimo fabbisogno energetico per processi attivi 24 ore su 24 e sette giorni su sette.

Basta osservare l’andamento del PUN, il Prezzo Unico Nazionale dell’energia elettrica fissato da ARERA: le tariffe monorarie del primo trimestre 2021 indicavano un prezzo di 0,12 €/kWh, nel primo trimestre 2022 di 0,36 €/kWh.

Al consumatore l’incremento percepito è del 200% in un confronto anno su anno, altrimenti da ritoccare sino al +384% senza considerarlo al netto della soppressione degli oneri di sistema operata dal Governo (che nel 2021 pesavano per 0,04 €/kWh).

Alle imprese non va meglio: l’energia si acquista a colpi di Megawattora (MWh), il cui prezzo medio stimato per il 2022 viaggia sui 150€, sperando che non torni sul picco di dicembre 2021 di 285 €/MWh (la media del 2021 è stata di 125€/MWh).

Stessa musica sul fronte del gas: la materia prima nel mercato tutelato ha subito un’impennata dai 28 centesimi/metro cubo del secondo trimestre 2021 ai 96 centesimi di gennaio 2022.

Caro energia: chi paga di più?

La prima risposta è secca: le industrie e le attività del nord Italia.

Su 36 miliardi di spesa per la bolletta energetica, infatti, 22, pari al 66% del totale nazionale, ricadono sulle aziende di Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto.

Rispetto al 2019, l’industria sita in Lombardia, ad esempio, pagherà 8,5 miliardi di euro in più; quella Veneta 3,9 miliardi; in Emilia-Romagna il rincaro sarà di 3,5 miliardi e di 2,9 miliardi in Piemonte.

energiaPoi ci sono le attività che dovranno pagare di più.

L’elenco segue l’ordine dei consumi elettrici del 2019, che vede, una dopo l’altra, metallurgia (acciaierie, fonderie, ferriere, etc.), commercio (negozi, botteghe, centri commerciali, etc.), altri servizi (cinema, teatri, discoteche, lavanderie, parrucchieri, estetiste, etc.), alimentari (pastifici, prosciuttifici, panifici, molini, etc.), alberghi, bar e ristoranti, trasporto e logistica; infine, il settore chimico.

Conseguenze: blocchi e delocalizzazioni

Gli scenari paventati dalle associazioni di settore – Confindustria in primis, nell’interpretare la situazione – sono essenzialmente due: la riduzione dell’operatività, giungendo addirittura al fermo temporaneo per le attività più energivore, e la delocalizzazione.

Per il momento la maggior parte delle aziende, sia nel settore logistico, sia nel settore produttivo, sono ricorse alla riduzione delle attività per diminuire i consumi, con l’effetto di rafforzare quella carenza di materie lavorate e semilavorate malgrado la rediviva domanda.

Era stato eclatante il caso delle fonderie bresciane di Torbole, che già a dicembre avevano dovuto sospendere la produzione e mettere in ferie forzate i dipendenti perché l’elettricità e il gas necessari a mantenere accesi i forni ribaltava la convenienza stessa del produrre.

Adesso il suo esempio è stato seguito da altre aziende, tutte appartenenti a settori altamente energivori come la produzione di piastrelle o la lavorazione dell’alluminio.

Il secondo scenario, la delocalizzazione, sarebbe forse ancora peggiore, in quanto irrecuperabile nel breve e medio termine: il caro energia non riguarda solo l’Italia, ma i gruppi industriali che, disponendo di mezzi e, in alcuni casi, di una consolidata presenza all’estero (in Europa o Asia), potrebbero decidere di smobilitare dal nostro paese per trasferirsi laddove le condizioni al contorno siano migliori.

Inutile dire che si tratterebbe di un danno per tutto il tessuto produttivo e per l’occupazione, con ricadute economiche e sociali pesantissime.

Le azioni (insufficienti?) del governo

Come interviene Palazzo Chigi per fare fronte a questo baratro energetico? Allo stato attuale delle cose le mosse intraprese hanno riguardato il reperimento di fondi per calmierare il prezzo finale della materia energia che giunge in bolletta al consumatore, privato cittadino o impresa che sia, e la compensazione degli oneri di sistema.

Per assorbire il contraccolpo in bolletta del primo trimestre 2022 il governo ha stanziato, in un primo momento, 3,8 miliardi di euro, cui ha sommato ulteriori 1,7 miliardi per arrivare a 5,5 miliardi complessivi.

A ciò si aggiungano 540 milioni di euro destinati a quelle imprese che hanno alti consumi di energia elettrica, cui saranno erogati in forma di credito d’imposta pari al 20% delle spese sostenute per la componente energia acquistata nel primo trimestre del 2022.

Ad accedervi saranno le attività che dimostreranno di aver subìto un aumento del costo dell’energia elettrica del 30% nel periodo compreso tra ottobre, novembre e dicembre 2021, al netto di imposte e sussidi.

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Umberto Ruggerone, Presidente di Assologistica

Si tratta di misure immediatamente prese di mira da tutte le associazioni di categoria, in quanto considerate estemporanee e non strutturali: l’industria guarda infatti alla Spagna, alla Germania e alla Francia, nazioni nelle quali sono stati imposti dei limiti percentuali (il 4% oltralpe) al rincaro dell’energia, oltre che interventi sulla produzione della stessa puntando su fonti come il nucleare, bandito nel nostro paese.

Secondo l’Ufficio Studi CGIA, a quanto stanziato con la Legge di Bilancio 2022 e con il Decreto Sostegni ter dovrebbero aggiungersi un miliardo di euro al mese almeno sino a giugno 2022.

Ma non ci sono solo le critiche: Assologistica, con il suo presidente Umberto Ruggerone, ha proposto al MISE di favorire operazioni immobiliari a impatto zero, puntando a incentivare la produzione di energia con scambio sul posto, strategia per altro in linea con la transizione ecologica.

Altre idee messe sul piatto riguardano la rateizzazione delle bollette e soprattutto interventi pro-liquidità e una facilitazione di accesso ai meccanismi di garanzia finanziaria.

I trasporti (anche quelli green)

Altro capitolo è quello dei trasporti, paradossalmente nella loro accezione più ecologica.

Chi ha infatti investito, già con notevoli esborsi data la rarefazione degli incentivi statali, su flotte di mezzi pesanti “green“, adesso si trova svantaggiato.

Si parla nello specifico di chi ha scelto di acquistare veicoli commerciali e pesanti alimentati a GNL, Gas Naturale Liquefatto.

Alla folle corsa dei prezzi di questo carburante si è sommata infatti la disposizione contenuta nell’ultima Legge di Bilancio di ridurre le agevolazioni per l’autotrasporto sui carburanti fossili.

Il GNL ne fa parte, pur essendo una forma di alimentazione alternativa per l’autotrazione: se si considera che nell’autotrasporto circa un terzo dei costi funzionali all’operatività dei veicoli è legato al carburante, si capisce che ci si trova in una situazione molto vicina a quella dei magazzini.

A far notare l’impatto devastante dei prezzi del metano sul trasporto eco-sostenibile è stata Conftrasporto-Confcommercio, focalizzando l’attenzione sulla movimentazione merci per conto terzi.

La proposta dell’associazione è di istituire un credito d’imposta del 30% del costo di acquisto, al netto dell’imposta sul valore aggiunto di GNL utilizzato per la trazione dei mezzi pesanti.

Dal 2022 al 2024 l’iniziativa peserebbe sulle casse dello Stato per 25 milioni di euro l’anno, che servirebbero a evitare il fermo di questi veicoli e a promuovere l’efficientamento energetico del settore, il quale sarebbe altrimenti un’operazione in perdita.

Chi paga la logistica?

La risposta, in definitiva, è NOI.

La stima più difficile da eseguire è infatti quella che riguarda quanto pagheremo tutto questo domino di rincari all’atto della consegna del prodotto finito.

A gennaio 2022 un ristoratore ipotizza che i rincari, sommati ai costi di gestione già presenti, gonfieranno il prezzo di un piatto di pasta alle cozze da 8 euro a 20 euro, volendo mantenere l’attuale margine di profitto.

Ora, se consideriamo l’aumento di prezzo di molte materie prime in virtù della nota crisi di approvvigionamenti in atto dall’anno scorso, vi sommiamo i noli marittimi e dei container utili a trasportarle da un continente all’altro, mai tornati ai livelli di prezzi pre-pandemici e aggiungiamo al tutto il caro-energia, il risultato fa tremare le gambe.

Una stima non è fattibile: si tratta di una catena di aumenti, che incidono sul costo della lavorazione di un prodotto, del suo stoccaggio e del suo trasporto; ognuna di queste voci sommerà una percentuale di aumento che andrà a comporre il prezzo finale.

Non è certo una visione ottimista dell’immediato futuro, ma è inutile non guardare in faccia la realtà.

Per affrontarla servirà una grande dose di reattività e della tanto nominata resilienza, il cui carburante dovrà essere costituito da valide iniziative strutturali sulle politiche industriali ed energetiche dell’Italia e dell’Europa.caro energiaNel frattempo è auspicata, dalla politica come dal Ministro Franco, una nuova iniezione di liquidità – si parla di almeno 5 miliardi – per smorzare il caro bolletta, senza però cedere all’idea di un tornare a un prezzo amministrato dell’energia per le aziende: farsi direttamente carico di una parte del costo dell’energia è un’iniziativa che Roma non può più permettersi, perché la stagione del deficit libero si è ormai chiusa da un pezzo e una trattativa sui tassi con Bruxelles sarebbe improbabile, specie in epoca di Recovery Plan.

Mentre però si spera che i prezzi scendano, che le forniture russe riprendano a pieno regime e che da Stati Uniti e Qatar arrivi qualche tonnellata di gas liquefatto, non si vuole dire che l’unica vera soluzione sarebbe tornare a produrre energia in casa in quantità maggiori.

Chi si assumerà la responsabilità di intraprendere questa spinosa strada?

Emergenza energia: il nuovo decreto legge

Il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto-legge che introduce misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali.

Le norme introdotte mirano a sostenere la ripresa economica e a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il pieno dispiego.

Le misure ammontano a quasi 8 miliardi, di cui circa 5,5 saranno destinati a fare fronte al caro energia e la restante parte invece a sostegno delle filiere produttive che stanno soffrendo maggiormente in questa fase.

Per l’energia, l’intervento si divide in due parti:

emergenza, misure per calmierare nel breve tempo i costi delle bollette energetiche;

prospettiva, misure che consentano nel futuro di evitare altre crisi come quella in corso, per esempio con l’aumento della produzione nazionale di energia.

Emergenza

Il governo è già intervenuto per ridurre la pressione per il “caro bollette” con 1,2 miliardi (III trimestre 2021), 3,5 miliardi (IV trimestre 2021) e 5,5 miliardi (I trimestre 2022).

Con questo nuovo decreto vengono prorogate le misure già in essere, come l’azzeramento delle aliquote relative agli oneri generali di sistema applicate alle utenze domestiche e alle utenze non domestiche in bassa tensione, per altri usi, con potenza disponibile fino a 16,5 kW, nonché alle utenze con potenza disponibile pari o superiore a 16,5 kW, anche connesse in media e alta/altissima tensione o per usi di illuminazione pubblica o di ricarica di veicoli elettrici in luoghi accessibili al pubblico, la riduzione dell’Iva al 5% e degli oneri generali per il settore gas, il rafforzamento del bonus sociale per le famiglie con ISEE di circa 8.000 euro o di 20.000 nel caso di famiglie numerose e il credito d’imposta per le imprese energivore.

Viene inoltre introdotto un nuovo contributo straordinario, sotto forma di credito di imposta, in favore delle imprese gasivore.

Prospettiva

Il decreto guarda alle sorgenti rinnovabili, in particolare al fotovoltaico, con un intervento di semplificazione per l’installazione sui tetti di edifici pubblici e privati e in aree agricole e industriali.

Previsto pure l’incremento della produzione nazionale di gas allo scopo di diminuire il rapporto importazione/produzione da utilizzarsi a costo equo per imprese e PMI.

Il provvedimento comprende anche un pacchetto di norme per aumento e ottimizzazione dello stoccaggio di gas.

È previsto l’aumento della produzione di carburante sintetico e supporto al suo utilizzo in settori strategici, come ad esempio trasporti e aerei.

(Andrea Lombardo)

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