L’elasticità e il modulo di Young

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Dalla rigidezza all’elasticità: caratteristiche che influenzano sia la realizzazione che il comportamento in esercizio dei componenti.

Le proprietà del materiale permettono di definire il comportamento in esercizio di ogni manufatto, ma sono fondamentali anche in fase di realizzazione. Fra queste, l’elasticità è fortemente condizionante, ed è alla base del legame fra sforzi e deformazioni. Infatti, ad ogni materiale è associato un comportamento elastico, di entità differente, a cui viene associata una specifica deformazione, se sottoposto a sollecitazione, che è “recuperabile” nel caso in cui, cessata la sollecitazione, il pezzo torna allo stato iniziale, senza deformazioni residue.

Quante volte la rigidezza, elasticità e deformazione, sono associati alla macchina utensile o all’utensile? Di fatto l’eventuale “deformazione” di una macchina utensile durante la lavorazione, così come la deformazione di un utensile, non sono certo auspicabili. Anche l’eccessiva rigidezza può essere un problema. E allora? Allora occorre approfondire il problema elastico che consiste nella determinazione del legame tra tensioni e deformazioni prima delle deformazioni permanenti (snervamento) di un solido costituito di materiale dal comportamento elastico lineare, vincolato su porzioni della superficie, soggetto a carichi esterni di volume Fx, Fy, Fz e di superficie fx, fy, fz.

La premessa è che tutti i materiali allo stato solido presentano un campo di deformazioni entro il quale hanno comportamento elastico, esattamente come presentano un intervallo di valori dello sforzo entro il quale evidenziano un comportamento elastico. Nel calcolo progettuale di qualsiasi manufatto o macchina, compare sempre la lettera E, il modulo di elasticità, forse più noto come modulo di Young, che esprime la correlazione fra sollecitazione e la deformazione relativa.

Thomas Young, lo scienziato inglese a cui si deve la definizione del modulo di elasticità.

Da Hooke a Young

Quando si parla di elasticità, non va dimenticata la sua genesi, dovuta a Robert Hooke che, nel XVII secolo studiò l’effetto delle forze sui differenti materiali, affrontando il problema da un punto di vista macroscopico e pragmatico, sottoponendo pezzi diversi, di materiali diversi, a carichi crescenti, e misurando poi con un compasso la deformazione, definita “elastica” provocata dal carico.

Gli esperimenti dimostrarono che, scaricando progressivamente i pezzi, tornavano alla condizione iniziale, quindi, con un ritorno che oggi definiamo lineare.

Le limitate conoscenze del XVII secolo portarono Hooke a stabilire come un solido fosse in grado di “resistere” a una forza solo deformandosi e, di conseguenza, non potevano esistere materiali o strutture perfettamente rigidi perché, in maniera più o meno evidente, tutto è soggetto a deformazione. In realtà si trattava più di un’intuizione che di una dimostrazione: di fatto solo in epoca successiva gli studi condotti da Young porteranno a comprendere come materiali diversi si deformino diversamente, legando il concetto di deformazione sotto sforzo alle caratteristiche elastiche del materiale.

Il contributo di Hooke alla teoria dell’elasticità è basilare per l’ingegneria, tant’è che la legge di elasticità è nota come legge di Hooke, anche se Newton cercò sempre di screditare il lavoro del collega, portando a una grave battuta d’arresto allo studio sulla teoria dell’elasticità.

Secoli di studi hanno portato a evidenziare i limiti della legge di Hooke, che risulta valida solo per i prodotti ceramici, il vetro, la maggior parte dei minerali e i metalli molto duri, mentre i materiali duttili, la seguono solo per carichi relativamente contenuti: per carichi più elevati, il comportamento può discostarsi in maniera significativa.

 

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