L’industria ha bisogno di acciaio, ma il metallo non radioattivo è più difficile da ottenere di quanto si pensi. Ne parliamo in questo articolo, il primo di due puntate.
Immaginate di essere un produttore di strumenti di misura delle radiazioni, come ad esempio i contatori Geiger o i macchinari per la radiodiagnostica come TAC e risonanza magnetica nucleare. I vostri apparati devono poter rilevare livelli di radioattività anche bassissimi: dal buon funzionamento di questi strumenti dipende la salute e la vita di migliaia di persone.
Pensiamo ad esempio ai controlli negli aeroporti, nelle centrali atomiche, nei centri di ricerca e nei reparti di medicina nucleare. Per questo motivo è importante che i contatori Geiger abbiano una sensibilità e una precisione elevati.
Qui ci scontriamo con la prima difficoltà. La qualità di uno strumento si definisce anche in base alla sua sensibilità, al più piccolo valore che è in grado di rilevare e discriminare. Facciamo un esempio: per misurare tensioni dell’ordine dei volt basta un semplice multimetro. Per misurare tensioni di microvolt servono strumenti più complessi e, soprattutto, ambienti schermati dai disturbi elettromagnetici come cellulari, linee elettriche, e trasmettitori radio. Ogni minimo disturbo può falsare la nostra misura, e gli strumenti diventano più difficili da usare, delicati, e soprattutto costosi.
Una presenza costante ma innocua
Con la radioattività il problema è analogo, solo che non è possibile sfuggire al rumore di fondo. Siamo costantemente immersi in un flusso costante di radiazioni: particelle alfa e beta, raggi X, raggi gamma bombardano noi e il nostro pianeta ogni secondo. Il fondo di radioattività naturale è paria circa 2,4 mSv (millisievert) per anno. Questa radioattività è generata principalmente dal decadimento dei minerali radioattivi nella crosta terrestre, dalle attività umane, e dal flusso di particelle ad alta energia prodotte dal Sole e dalle altre stelle. Per comprendere i livelli in gioco, diamo alcuni livelli di confronto:
- una banana, a causa dell’isotopo del potassio 40K, comporta l’esposizione a circa 0,1 μSv
- una radiografia dentale si aggira attorno ai 5 μSv;
- la dose giornaliera data dal fondo naturale è di circa 10 μSv;
- una radiografia al torace comporta una dose di circa 0,1 mSv;
- fumare 10 sigarette al giorno equivale a 0,18 mSv/anno;
- per una PET o una scintigrafia si va dai 10 ai 20 mSv;
- la soglia di pericolo è di circa 100 mSv in una singola esposizione.
Nella radiodiagnostica, come vediamo, i livelli di radiazione in gioco sono nell’intorno del fondo di radiazione naturale. Per evitare di introdurre errori di misura importanti, è fondamentale che anche lo stesso strumento sia “silenzioso”, ovvero libero da qualsiasi contaminazione. Facile, direte voi: il ferro è un elemento stabile, quindi non emette radiazioni. Purtroppo, nella produzione del ferro si usa l’aria (o l’ossigeno puro, comunque estratto dall’atmosfera), per la riduzione dei minerali ferrosi.
Dal 1856 fino alla metà del XX secolo, l’acciaio veniva prodotto con il processo Bessemer, in cui l’aria veniva forzata nei convertitori Bessemer per convertire la ghisa in acciaio. A metà del XX secolo, molte acciaierie sono passate al processo BOS, che utilizza ossigeno puro al posto dell’aria. Tuttavia, poiché entrambi i processi utilizzano gas atmosferici, sono suscettibili di contaminazione da parte del particolato. L’aria attuale trasporta radionuclidi che si depositano nell’acciaio, conferendogli una debolissima traccia radioattiva.
Con il Trinity Test, l’esplosione della prima bomba nucleare il 16 luglio 1945, ha inizio l’Era Atomica. Da quel giorno, 530 ordigni hanno innalzato la radioattività di fondo, sommandosi al livello naturale. I livelli di radiazione di fondo antropogenica nel mondo hanno raggiunto un picco di 0,11 mSv/anno al di sopra dei livelli naturali nel 1963, anno in cui è stato ratificato il Trattato per la messa al bando parziale degli esperimenti nucleari.
I test degli anni seguenti si sono svolti esclusivamente sotto terra, riducendo (ma non azzerando) la dispersione di radioattività nell’aria e nel terreno circostante. Ai test atomici vanno aggiunti i disastri di Chernobyl, Fukushima, e la silenziosa contaminazione di vaste aree attorno agli impianti di produzione di materiale radioattivo. Tra i più importanti Sellafield (UK), Mayak (RU), Hanford (US), e molti altri siti in molti Paesi del mondo, ingombrante lascito della Guerra Fredda e delle centrali nucleari. Dal 1963, ad ogni modo, la componente antropogenica si è molto ridotta, consentendo di ritornare a livelli paragonabili a quelli pre-1945: 5 μSv/anno sopra i livelli naturali.
Per gli impieghi più delicati e le misurazioni più precise, tuttavia, l’acciaio attualmente disponibile rimane eccessivamente contaminato. Dove andare a trovare acciaio “pulito”, che non sia stato esposto alle radiazioni in atmosfera, in quantità sufficiente? Lo si prende dove l’atmosfera non arriva: sul fondo del mare. È chiamato Shipwreck steel, l’acciaio da relitto.
Navi affondate durante la Seconda Guerra Mondiale nel Pacifico, nel Mare di Giava e nel Mar Cinese Meridionale vengono spesso recuperate illegalmente per ricavarne acciaio pulito da qualsiasi contaminazione. Sorte simile è toccata anche al piombo delle navi romane e al bronzo fosforoso delle grandi eliche dei piroscafi.
La minaccia delle sorgenti orfane
Fortunatamente al giorno d’oggi la radioattività nella lamiera non arriva più dagli elementi radioattivi nell’atmosfera. La fonte principale di contaminazione nell’acciaio — per la precisione, nell’acciaio riciclato — arriva dalle cosiddette “sorgenti orfane” nella carica di rottame pronto per essere fuso. Sono finiti, per ragioni più o meno accidentali, elementi come cesio, krypton, radio, iridio, cobalto e altri elementi. Queste sostanze trovano impiego come fonti di raggi X e raggi gamma in macchine per la radioterapia e la radiodiagnostica. Vengono usate anche in ambito industriale:
- negli strumenti per il controllo delle saldature e dei getti di fusione;
- per l’ispezione dei container in dogana;
- per la misurazione dello spessore della lamiera e di altri materiali;
- nei misuratori di livello dei serbatoi;
- per la sterilizzazione di oggetti e derrate;
- nei rilevatori di particolato.
Quante volte si sono verificati incidenti con sorgenti radioattive? Molte, purtroppo, anche escludendo l’industria bellica. Sono decine gli episodi di capsule smarrite durante il trasporto, o l’uso delle quali spesso si è persa ogni traccia. Spesso la sorgente attiva è stata recuperata perché, dopo essere stata rubata o rinvenuta, ha causato malattie e decessi per l’esposizione alle radiazioni. Altre volte le sorgenti radioattive sono finite nel circuito del riciclaggio di rottame perché frutto della razzia di metallo da magazzini o strutture incustodite.
Nei Paesi in via di sviluppo e nell’ex URSS la situazione potrebbe essere ancora più grave: grandi quantità di residuati bellici non tracciati, in contesti economici difficili, rendono i furti una pericolosa necessità.
Un caso emblematico si è verificato a Tammiku (Estonia), nel 1994. Tre fratelli dediti al recupero di rottami metallici si introducono in un capannone apparentemente abbandonato, all’interno di un’area recintata nel bosco. Scendono le scale che conducono ad una sala sotterranea, non sapendo che si tratta di un deposito di scorie nucleari.
Fanno cadere un fusto, che si rompe e fa uscire alcuni frammenti di metallo. Uno di loro, Ivan, si mette in tasca uno di questi frammenti e va a casa, pensando di tornare in un secondo momento. Si trattava di una forte sorgente radioattiva di cesio-137. Morirà 12 giorni dopo.
Copione simile nel 1998 ad Istanbul: due contenitori schermati per il trasporto di sorgenti di teleterapia a 60Co esaurite, sono depositati in un magazzino di Ankara e poi trasferiti a Istanbul, dove un nuovo proprietario li vende come rottami metallici. I contenitori vengono smontati, esponendo 18 persone, tra cui sette bambini, ad altissimi livelli di radiazioni. Una sorgente di 60Co è stata recuperata; a distanza di un anno la seconda capsula era invece ancora introvabile.
Nel 2000, in Thailandia, la sorgente di radiazioni di un’unità di radioterapia esaurita è acquistata e trasferita senza registrazione, e poi lasciata in un parcheggio non custodito, senza cartelli di avvertimento. Da lì viene rubata e portata in un deposito di rottami metallici, dove gli operai smontano completamente la sorgente di 60Co dalla schermatura di piombo. In poco tempo compaiono i sintomi dell’avvelenamento da radiazioni; tre di loro moriranno. La natura radioattiva del metallo e la conseguente contaminazione furono scoperte solo 18 giorni dopo.
La contaminazione del rottame
Chi ha partecipato ad una raccolta del ferro per beneficenza ha presente la varietà di oggetti che può finire dentro un container. Il recupero di metalli non ferrosi come alluminio, inox e ottone, al confronto, è un’attività pulita, priva di radioattività. I materiali sono selezionati con cura: le cariche nei forni devono essere quanto più possibile libere da contaminanti. Anche la quantità e il costo implicano maggiori accortezze: di rame ne gira meno e costa parecchio, vale la pena fare attenzione. Con il buon vecchio ferro, complice il basso prezzo del rottame, si va un po’ meno per il sottile, per così dire. E soprattutto, di ferrovecchio ce n’è tanto. Strutture di carpenteria, rotaie, macchinari dismessi, vecchie gru, impianti industriali: milioni di tonnellate di acciaio.
L’industria del riciclaggio deve competere con il metallo nuovo e fare i conti con i costi dell’energia: resta poco margine per la cernita. Ma come finisce una capsula schermata di piombo su un camion carico di ferro da riciclare? Quasi sempre per incuria o per errore: le capsule (senza schermatura) sono grandi circa come una pila a bottone o una pila stilo, ma possono essere anche più piccole. Possono essere facilmente disperse e confuse tra le tonnellate di metallo proveniente magari da impianti industriali dismessi o da ospedali abbandonati.
Altre volte la contaminazione da radioattività non è frutto di una svista, ma del riciclaggio di strutture, tubazioni, filtri e altri componenti. Il metallo proveniente dallo smantellamento di centrali nucleari, sommergibili, impianti per l’arricchimento dell’uranio o il riciclaggio del combustibile nucleare, e da altri stabilimenti che lavorano materiale radioattivo per industria e ospedali. In alcuni casi questo metallo è stato avviato al riciclaggio senza la dovuta (e costosa) decontaminazione da rottamatori senza scrupoli. Quali conseguenze ci possono essere nel settore siderurgico e metalmeccanico?
Negli ultimi 40 anni, a causa dell’assenza di controlli e di una bassa percezione del rischio, si sono verificati centinaia di incidenti che hanno a volte comportato la chiusura di interi altoforni o l’immissione sul mercato di acciaio contaminato. Ne parleremo nel prossimo articolo.
Marco Basso