Frattura e microscopia di fusioni in ghisa

Cristiano Fragassa

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frattura

In questo lavoro vengono raccontate alcune esperienze di studio dei fenomeni di frattura rispetto a due leghe metalliche caratterizzate da composizioni chimiche simili ma strutturalmente molto diverse tra loro, quali la ghisa sferoidale (SGI) e a grafite compatta (CGI).

La frattura meccanica è un fenomeno che comporta il danneggiamento dei componenti anche in presenza di sollecitazioni di bassa entitĂ . A livello macroscopico, consiste nella disgregazione del materiale in frammenti di dimensioni minori per via dalla disgregazione dei legami chimici che tengono uniti gli atomi. Tali legami sono rotti dall’eccessiva concentrazione di energia secondo processi che dipendono da numerosi fattori esterni e interni al materiale.

Esistono diverse tipologie di frattura: fragile, duttile, di fatica, per creep e varie altre, con differenze che possono essere ricondotte, in pratica, alla modalitĂ  (piĂą o meno immediata) con la quale avviene la rottura dei legami interatomici.

Alle basse sollecitazioni, la frattura di solito si manifesta come frattura fragile oppure come collasso per fatica seguendo, quindi, comportamenti molto differenti tra loro. Nella frattura fragile il materiale sottoposto allo sforzo non subisce (almeno macroscopicamente) deformazione plastica e la rottura avviene in campo elastico. In quella per fatica accade esattamente l’opposto, con il materiale che risponde in maniera duttile arrivando a rottura solo dopo ampia deformazione in campo plastico, assorbendo quindi parte dell’energia come energia di plasticizzazione.

Sono molti gli aspetti microscopici che portano a queste differenze macroscopiche. Può accadere, ad esempio, che la frattura si propaghii lungo il bordo dei grani (cristalli di metallo) che compongono il materiale fratturato (frattura intergranulare) o attraverso una frattura entro i grani stessi (frattura transgranulare).

Tutto ciò rende la frattura un fenomeno piuttosto complesso da prevedere, specie nel caso di leghe dalla microstruttura complessa.

Nella parte seguente dell’articolo vengono raccontate alcune esperienze di studio dei fenomeni di frattura rispetto a due leghe metalliche caratterizzate da composizioni chimiche che si assomigliano (Tabella 1), ma a livello strutturale molto diverse tra loro, come la ghisa sferoidale (SGI) e a grafite compatta (CGI).

Leghe a confronto

In termini generali, negli esperimenti sulle leghe metalliche è piuttosto comune osservare casi di:

  • frattura duttile con superfici di frattura dall’aspetto fibroso data la presenza di micro-cavitĂ  (chiamate dimples). Questa frattura emerge per stadi:

a) nucleazione di microvuoti dovuta alla presenza di difetti locali oppure per la decoesione di particelle;
b) accrescimento dei microvuoti legati alla deformazione plastica della matrice;
c) coalescenza dei microvuoti adiacenti e/o cedimento lungo bande di taglio, indebolite dalla presenza delle microcavitĂ ;
d) congiungimento delle cavitĂ  e successiva frattura.

  • frattura fragile per clivaggio (o “frattura di schianto”), caratterizzata da una rottura brusca del materiale impossibilitato a deformarsi plasticamente. Questo fenomeno è transgranulare e si propaga lungo i piani atomici a piĂą bassa densitĂ , tipici del tipo di reticolo cristallino. Per i reticoli cubici a corpo centrato il suddetto piano è 100, mentre per gli esagonali compatti è lo 0001. All’inizio della frattura all’interno dello stesso grano possono formarsi piĂą piani di frattura paralleli che tendono successivamente a confluire in un unico piano. Questo causa i cosiddetti river patterns, ossia segni sulla superficie di frattura la cui direzione indica l’origine della frattura; la superficie di frattura risulta quindi composta da “faccette” lisce separate appunto dai river patterns.
  • frattura fragile intergranulare che avviene per decoesione dei grani cristallini a livello del bordo grano. Essa è associata ad una bassa tenacitĂ  a frattura e conseguente elevata fragilitĂ  del materiale. Le superfici di frattura si presentano sfaccettate e brillanti. La frattura intergranulare avviene quando i bordi grano, solitamente piĂą resistenti di grani stessi, sono indeboliti diventando inevitabilmente sede del cammino di frattura. Tale debolezza può essere legata a diversi fenomeni quali: la precipitazione a bordo grano di fasi fragili, la segregazione a bordo grano di elementi infragilenti, l’infragilimento del bordo grano da parte di ambienti aggressivi oppure la corrosione intergranulare.

L’analisi frattografica tramite microscopia elettronica in scansione (SEM) permette di comprendere il comportamento del materiale. Nel caso specifico, per ogni tipologia di ghisa sono stati scelti ed analizzati alcuni campioni da cui sono state estratte numerose micrografie delle superfici di frattura.

Le immagini di Figura 1 (ghisa sferoidale) e 2 (ghisa grafite compatta) evidenziano come per entrambe le ghise, la modalità di frattura dominante è quella del clivaggio (ossia di rottura di tipo fragile) indipendentemente dall’allungamento a rottura del materiale (molto maggiore per la ghisa sferoidale). Questo risultato non era certo scontato. Nelle immagini a e b delle Figure 1 e 2 sono ritratte le superfici a basso ingrandimento. In esse appare chiara la distribuzione della grafite all’interno del materiale. Le immagini c e d riportano le superfici a medio ingrandimento evidenziando, soprattutto per il campione di ghisa sferoidale, la prevalenza di clivaggio. Le micro e-f di Figura 1 evidenziano l’alternanza di ferrite e cementite a formare un’area perlitica della matrice. Diversamente, le micro e-f della Figura 2 evidenziano ad alto ingrandimento una zona rotta per clivaggio e un’altra in cui è prevalsa plasticizzazione del materiale.

Insieme alle micrografie, sono state effettuate analisi semiquantitative tramite sonda a dispersione di energia. I risultati, riportati in Figura 3 e Tabella 2 per la sola ghisa sferoidale e il punto evidenziato, mostrano una composizione modificata rispetto a quella iniziale di colata e come nella matrice siano presenti carburi.

Si è poi proceduto alla determinazione sperimentale della resistenza a frattura di questi materiali. Allo scopo si è utilizzata una prova KIC che ha lo scopo di calcolare quel valore di fattore di intensificazione degli sforzi “K”, raggiunto il quale una cricca presente nel materiale propaga instabilmente generando una rottura di schianto. Il test avviene in condizioni prevalentemente lineari-elastiche, di deformazione piana, utilizzando provini pre fessurati a fatica aventi un certo spessore. In pratica, l’obbiettivo della prova è quello di misurare il legame tra l’apertura della frattura (Crack-Mouth Opening Displacement, CMOD) e la forza che la crea. Le norme, e ne esistono diverse, regolano con estrema precisione aspetti quali attrezzature sperimentali, geometrie dei provini, numero di ripetizioni, configurazione e velocitĂ  di applicazione del carico, ripetibilitĂ  delle misure e molto altro ancora. Il fattore di intensificazione degli sforzi (KIC) si ottiene dunque attraverso considerazioni ed equazioni, sempre specificate nelle norme, riconducibili ad un’analisi di sollecitazione elastica rispetto ad un provino sottoposto alle condizioni indicate in prova. Tra i parametri essenziali, sono innanzitutto da considerare lo spessore del provino e le dimensioni (ampiezza e larghezza) della cricca.

In Figura 4 sono mostrate alcune immagini relative alla prova di frattura con indicati i parametri di maggiore interesse per il calcolo del KIC. Ma la procedura coinvolge anche l’andamento delle misure in base alle quali è anche possibile verificare l’applicabilità di ciascuna norma.

In Figura 5a vengono mostrati i profili tipici delle misurazioni, come previsti da una delle norme piĂą utilizzate, la ASTM E399 (2010), mentre in Figura 5b Ă¨ riportata una nostra misura: è evidente la corrispondenza dei dati rispetto al profilo Type I. Senza entrare troppo nel dettaglio della complessa procedura di determinazione del KIC, si deve tuttavia sottolineare come le misure sperimentali abbiano portato a scartare tale norma (in quanto è emersa una zona di plasticizzazione non trascurabile) per preferire la ASTM E1820 (2018).

Tanto per semplificare l’aspetto pratico, si potrebbe dire che in base a questa seconda norma, invece di trovare le proprietĂ  dei materiali attraverso un’intersezione di curve, è necessario ricostruire un’intera area rappresentativa dell’andamento carico/spostamento in modo da poter correttamente considerare sia la parte elastica che plastica.

In Figura 6 sono evidenti i diversi passaggi necessari al calcolo dei parametri, attraverso la determinazione di dette sezioni, e che hanno poi condotto alla determinazione dei parametri necessari a calcolare KIC. Questi valori sono riportanti in Tabella 3 attraverso la quale risulta evidente, in particolare, la buona ripetibilitĂ  delle misure, con variazioni minime delle singole rilevazioni rispetto ai valori medi, e le proprietĂ  superiori della ghisa sferoidale rispetto a quella a grafite compatta.

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di Carlo Castello

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