Scelta di accumulatori oleopneumatici con funzione di riserva di energia

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La tecnica del dimensionamento e calcolo per l’utilizzo degli accumulatori è relativamente semplice e generalmente nota. Essa si basa sul comportamento del gas azoto, che ne costituisce la molla gassosa durante le fasi di compressione ed espansione dovute alla carica e alla restituzione del fluido idraulico.

Per l’impiantista oleodinamica può avere un certo interesse quanto riportato nel presente articolo, ovvero la scelta della tipologia dell’accumulatore in ragione della particolare applicazione, di alcune delle caratteristiche e dei limiti funzionali degli stessi, unitamente alla descrizione di due inconvenienti riscontrati nelle fasi di avviamento. È noto come esistano tre grandi famiglie di accumulatori oleopneumatici: a membrana, a sacca e a pistone. Ogni tipologia ha il suo campo di impiego e il suo perché.

Gli accumulatori a membrana possono essere definiti quasi statici. In pratica sono utilizzati per ambiti a bassa portata di restituzione, poiché, essendo normalmente privi di valvola di fondo che sostituiscono con un fondello a fori multipli o con l’uso di un tappo mobile collegato alla membrana (vedi Figura 1), le perdite di carico di attraversamento limitano solitamente le portate a 50-60 lpm. In cambio, visto il sistema di fissaggio della membrana circa a metà del corpo, realizzato in due gusci che possono essere fra di loro avvitati o saldati nelle versioni più economiche, le sue deformazioni al variare del volume interno di olio non inducono eccessivo stress sull’elastomero (normalmente NBR) e il rapporto fra la pressione di precarica dell’azoto e la massima pressione di esercizio può arrivare a 1/5-1/6. Da evitare in funzionamento lo svuotamento completo d’olio, cioè P minima esercizio < P0 di precarica, per scongiurare che la membrana urti più volte contro l’uscita olio deteriorandosi.

Gli accumulatori a sacca possiedono un corpo monolitico, una valvola di fondo cosiddetta a fungo che lascia un ampio passaggio per la restituzione dell’olio (Figura 2) e sono pertanto adatti per portate istantanee di restituzione che possono ammontare a diverse centinaia di lpm. La sacca lo è di nome e di fatto e, una volta introdotta tramite l’attacco cui viene successivamente collegata la valvola per l’azoto, risulta “appesa” all’interno del corpo. Durante la precarica d’azoto essa aderisce alle pareti interne e spinge sulla valvola a fungo chiudendola. Quando la pressione dell’olio supera quella di precarica questa cede riducendo il suo volume, prima mantenendo una forma simile a quella interna del contenitore e poi evidenziando delle pieghe longitudinali. Ciò comporta un maggior stress dell’elastomero e pertanto è consigliato un rapporto fra la precarica e la massima pressione di funzionamento che non superi 1/3-1/4.

Gli accumulatori a pistone, entro i valori di pressione per cui sono progettati, superano di molto i limiti di applicazione delle precedenti due tipologie. Non essendo dotati di elemento di separazione elastico, sostituito da un pistone cavo in alluminio (Figura 3), il rapporto di cui sopra può raggiungere anche 1/10 e oltre. In altri termini, è limitato solo dalla pressione massima di progetto del corpo. Non è inoltre strettamente necessario un dispositivo per la chiusura della bocca lato olio, vista l’assenza del rischio di estrusione dell’elastomero, per cui le portate di restituzione sono le più elevate in assoluto.

La normativa

Tutte le tipologie di accumulatori di cubatura maggiore al litro sono soggette alla normativa PED (Pressure Equipment Directive) 2014/68/UE che ne disciplina i requisiti di costruzione e di utilizzo. In qualità di recipienti contenenti gas in pressione essi sono particolarmente pericolosi, in quanto il gas, passando dalla pressione di precarica a quella atmosferica, aumenta di volume anche decine di volte, in modo esplosivo se ciò avviene in tempi brevi: è storia nota come in una macchina blow moulding la rottura della sacca di un accumulatore da 20 litri precaricato a 110 bar fece esplodere il serbatoio, che da forma cubica assunse quasi quella sferica. Pertanto gli accumulatori sono dotati lato olio di valvole certificate che ne limitino la pressione massima e che permettano l’esclusione dal circuito e la sicura messa a scarico a fine ciclo macchina. A volte vengono aggiunte valvole limitatrici di pressione lato azoto principalmente ad evitare che fonti di calore elevate nelle prossimità ne aumentino la pressione fin oltre i limiti di resistenza dell’involucro. Il gas si comporta infatti in osservanza a una equazione simile a quella di stato dei gas perfetti PV = nRT, dove, se il volume è costante perché rappresentato dalle dimensioni interne dell’accumulatore, al crescere di T cresce linearmente la pressione P.

Il limite di cubatura degli accumulatori a membrana non supera solitamente i 3 litri, quello degli accumulatori a sacca standard i 50-55 litri (per quanto lo scrivente abbia visto un accumulatore sezionato la cui cubatura era di alcune centinaia di litri, nda), quella degli accumulatori a pistoni non ha praticamente un limite superiore, dettata solo dalla convenienza economica e reperibilità dei semilavorati, che si riducono in buona sostanza a tubo meccanico di qualità. Quando perciò nel progetto di un nuovo impianto, che potrebbe essere replicato più volte o restare pezzo unico a seconda della sua fortuna commerciale, al rischio di svuotamento dell’accumulatore in dipendenza di tarature d’impianto che necessariamente devono rimanere nella disponibilità dell’utilizzatore si sommano le esigenze di elevate portate e cubature di restituzione olio, i tecnico sarà portato a scegliere gli accumulatori a pistone che danno il massimo grado di libertà e meglio risolvono i termini di sviluppo accennati.

 

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