Pieghe “fuori squadra”: quanto togliere?

Emiliano Corrieri

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Metodi e suggerimenti su come ottenere il meglio possibile per quanto riguarda la standardizzazione di processo.

La bellezza della piegatura è soprattutto l’infinita possibilità di interpretazione da parte degli operatori e dell’ufficio tecnico.

Viaggiando per le officine si trovano, quando ci sono, tentativi di standardizzazione sugli sviluppi di ogni tipo: più o meno efficaci.

C’è chi usa come riferimento le misure interne alle quali aggiungere un valore su base esperienziale. Contrariamente, invece, c’è chi utilizza le quote esterne dalle quali togliere un valore, sempre su base esperienziale. Entrambi i metodi, squisitamente empirici ed estremamente semplici, hanno un’efficacia molto buona e, se utilizzati con costanza, garantiscono una ottima standardizzazione di processo.

Attraverso le ormai classiche tabelle esperienziali molte aziende hanno creato un proprio sistema personalizzato sulla base dei propri materiali lavorati sugli utensili presenti.

Personalmente sono molto scettico riguardo alle regole matematico-esperienziali troppo semplici.

Esse sembrano funzionare e risultano molto comode, ma basta cambiare condizioni di lavoro per rendersi conto che il loro apporto è del tutto insoddisfacente.

Un esempio: “aggiungere il 10% dello spessore per ogni battuta, ossia il 20% dello spessore per ogni piega facendo riferimento alle misure interne”. Non considerare la larghezza della matrice e il materiale porta di sicuro fuori strada se si necessita di una precisione appena poco superiore.

Tutti capaci con i 90°…

Se una buona parte di aziende ha ormai trovato la “quadra” sulle pieghe ad angolo retto, sono pochissime le realtà dove ci sia stata una storicizzazione di dati da applicare per il calcolo dello sviluppo con pieghe diverse da 90°.

Il problema primario è la difficoltà di misurare una piega in squadra per poter così valutare con precisione il comportamento che assume una lamiera da piana al raggiungimento dell’angolo desiderato.

Nella realtà sono diversi i fattori che concorrono in un valore difficilmente prevedibile indipendentemente dalla presenza di un CAD tridimensionale:

il raggio interno, molto maggiore in un angolo ottuso rispetto a una a 90°, sebbene in un modello 3d risulti quasi sempre essere identico;

il relativo fattore K, che potrebbe avere un valore difforme come normale conseguenza.

Un metodo semplice con un banale CAD 2D

Un sistema per riuscire a comprendere quanto valga la deduzione di piega di un angolo diverso da 90° è quello di rendere facilmente misurabile la piega stessa.

Di seguito un semplice esempio su un angolo ottuso.

Figura 1 – Il riferimento delle quote esterne in una piega ad angolo ottuso è sempre allo spigolo fittizio

Considerando che il riferimento delle quote esterne in una piega ad angolo ottuso è sempre allo spigolo fittizio (quello che in inglese viene chiamato “apex”) come mostrato in figura 1, si può procedere come segue:

  1. Rilevazione e storicizzazione delle condizioni di lavoro.

Si tratta di dichiarare e scrivere ordinatamente su una tabella i dati essenziali rappresentati da:

  • materiale;
  • spessore;
  • matrice (con una larghezza di V e una ampiezza d’angolo);
  • un raggio di punzone (utile nel caso si usassero raggi molto differenti e di grande dimensione, diversamente è una variabile trascurabile).

2. Preparazione di un campione del materiale e misurazione con sufficiente precisione, meglio con un calibro centesimale: sarà il nostro L0 (figura 2).

3. Trascrizione del dato. Per molti può apparire esagerata una rilevazione troppo precisa, ma è bene essere puntigliosi in fase di rilevazione: andremo poi ad arrotondare i valori alla fine.

4. Effettuare n° 4 pieghe simmetriche a due a due come in figura 3 avendo cura di raggiungere gli angoli con la migliore precisione possibile. Adesso è possibile misurare con semplicità i valori di B (base) e H (altezza) del profilo in figura 3.

5. Disegnare un profilo su un CAD bidimensionale identico al campione rilevato per quanto riguarda i gradi e i valori di B e H (figura 4).

È indifferente ottenere le stesse lunghezze dei lati L1, L2, L3, L4 ed L5 del campione, in quanto ciò che non cambierà dalla realtà al modello disegnato sarà la loro somma!

6. Evidenziare con i corretti prolungamenti delle linee le quote esterne come in figura 5 in modo da ottenere gli stessi riferimenti richiesti dal progetto.

7. Rilevare la reale deduzione di piega, ossia il valore da togliere dai lati esterni per il calcolo dello sviluppo semplicemente eseguendo la seguente operazione:

L0-(L1+L2+L3+L4+L5) / 4

In pratica, abbiamo sottratto dal valore della lunghezza del pezzo piano la somma di tutti i lati del pezzo piegato suddividendo il risultato per 4: il numero di pieghe!

In questo modo abbiamo agito a ritroso con un’azione mirata ed efficace di “reverse engineering”.

Può sembrare a prima vista un metodo piuttosto laborioso, ma è senza ombra di dubbio alla portata di tutti.

Siamo già a buon punto, ma volendo…

Ottenere in modo empirico il valore reale della deduzione di piega è assolutamente la strada più sicura in quanto è solo la lamiera che può “comunicarci” il suo reale comportamento durante la deformazione. È inoltre bene sapere che, qualora disponessimo di un CAD 3D, il valore rilevato risulta potenzialmente ancora più prezioso!

Conoscendo, infatti, la formula della deduzione di piega e disponendo del risultato esplicito, la possiamo applicare inversamente aggiungendo noi stessi, per comodità, un valore del raggio fisso e identico a quello delle pieghe a 90°.

In questo modo otterremo il valore del fattore K corretto al centesimo. In fondo, basta avere la giusta conoscenza degli strumenti che già esistono per ottenere il meglio possibile per quanto riguarda la standardizzazione di processo compiendo quella che amo chiamare: una traduzione di quanto “dice” la lamiera durante la sua deformazione in dati per il CAD 3D!

Emiliano Corrieri

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