Il trattamento termico più antico: la tempra superficiale

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Tra i trattamenti termici più conosciuti, la tempra ricopre certamente un ruolo da protagonista. Conosciuta fin dall’età del rame e del ferro, ad opera di fabbri che scoprirono, probabilmente per caso, come riuscire a “rendere più duri e resistenti” gli utensili di cui avevano bisogno, scaldando fino a colorazione rosso-ciliegia e poi raffreddando in fretta. Una testimonianza nota, risalente al XII AC e ritrovata in Palestina, è un piccone che presenta struttura martensitica. 

Tempra

Il trattamento termico di tempra, com’è noto, consente di migliorare la proprietà meccaniche e tecnologiche del materiale, modificandone la microstruttura. Il beneficio che si ottiene riguarda l’incremento di durezza del componente sottoposto al trattamento, che comporta una migliore resistenza all’usura e una diminuzione dell’allungamento percentuale.

Il ciclo termico comprende principalmente tre step:
• riscaldamento a una temperatura superiore a quella dell’eutettoide (in genere circa 50 °C sopra AC3);
• mantenimento a tale temperatura per consentite la completa trasformazione della struttura in fase austenitica, fino al cuore del componente;
• raffreddamento rapido (superiore alla velocità critica di raffreddamento) per consentire la trasformazione della microstruttura martensitica.

Per la buona riuscita del trattamento in gioco è fondamentale conoscere innanzitutto la temperatura AC3 per l’acciaio considerato e, di conseguenza, regolare adeguatamente tempo e temperatura delle varie fasi del processo.

Il tempo, adeguatamente controllato, permetterà di avere uniformità durante la trasformazione in tutto il pezzo, dalla superficie fino al cuore. Mentre la temperatura, opportunamente scelta, consentirà di evitare un surriscaldamento con conseguente ingrossamento del grano e peggioramento delle proprietà meccaniche.

Il passaggio fondamentale del processo di tempra è quello austenite-martensite, che avviene durante il raffreddamento rapido e che dovrebbe iniziare e terminare a basse temperature per ottenere risultati ottimali. In tale passaggio, ricordiamo dalle curve di Bain, che è bene prevedere un raffreddamento tale da evitare di toccare il “naso perlitico” per ottenere una microstruttura totalmente martensitica. La velocità di raffreddamento, infatti, deve essere tale da evitare fenomeni diffusivi e consentire la trasformazione martensitica (non ricostruttiva). In questo punto si ha un cambiamento della cella elementare da CFC (cubico facce centrate) dell’austenite a TCC (tetragonale corpo centrato) della martensite, con conseguente aumento di volume. Tale transizione è favorita in presenza di più alte percentuali di carbonio (C), che rimane “congelato” nel reticolo cristallino dell’austenite in posizione interstiziale, favorendo la trasformazione. Con una presenza importante di C, inoltre, il processo è favorito dall’abbassamento della temperatura di inizio trasformazione della martensite (Ms). Da letteratura si osserva che per 0,6% di carbonio la temperatura di Ms è circa 300 °C mentre per un acciaio con 0.9% di carbonio la temperatura di inizio trasformazione della martensite scende a circa 200 °C.

 

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