L’industria europea sta affrontando una complessa fase di trasformazione che si muove lungo due direttrici principali: la digitalizzazione e la transizione energetica. Con l’obiettivo di sviluppare un modello di business più sostenibile.
Nel corso degli ultimi anni la manifattura europea si è dovuta confrontare con sfide inattese: la pandemia prima, con le conseguenti interruzioni nelle catene di fornitura globali e le difficoltà di approvvigionamento di materie prime e beni intermedi, e l’attuale crisi energetica stanno spingendo imprese e istituzioni ad accelerare alcuni trend per rendere le aziende più resilienti e capaci di reagire di fronte a possibili shock futuri. In quest’ottica le politiche industriali europee stanno spingendo alcuni investimenti nell’ambito del digitale e green. A gennaio del 2021 la Commissione europea ha pubblicato un rapporto intitolato “Industria 5.0 – verso un’industria europea sostenibile, umanocentrica e resiliente” in cui si interroga sul ruolo di questo specifico settore nella società moderna prendendo in considerazione i temi dell’impatto ambientale e della trasformazione del lavoro e dei lavoratori. Per la Commissione l’evoluzione verso un modello 5.0 riconosce il potere dell‘industria di raggiungere obiettivi sociali al di là dei posti di lavoro e della crescita per diventare un fornitore di prosperità resiliente, facendo sì che la produzione rispetti i limiti del nostro pianeta e mettendo il benessere dei lavoratori al centro del processo di produzione.
Verso un nuovo modello di sviluppo
«L’Italia è il principale destinatario delle risorse del Recovery Plan e anche per questo è chiamata a un ruolo da protagonista nella transizione verde. La sostenibilità, oltreché necessaria per affrontare la crisi climatica, riduce i profili di rischio per le imprese e per la società tutta, stimola l’innovazione e l’imprenditorialità, rende più competitive le filiere produttive». È quanto emerge dal Rapporto GreenItaly 2022, realizzato dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere, con la collaborazione del Centro Studi Tagliacarne. Allo studio hanno collaborato Conai, Novamont, Ecopneus; molte organizzazioni e oltre 40 esperti. I dati fotografano un paese che punta a integrare nelle proprie strategie di business un modello di sviluppo imprenditoriale più efficiente, attento a risparmiare energia e materie prime e a ridurre gli sprechi con conseguenti benefici per l’ambiente e anche per i bilanci aziendali. Nello specifico la ricerca mette in evidenza alcuni numeri: nel quinquennio 2017-2021 sono oltre 531 mila le aziende che hanno deciso di investire in tecnologie e prodotti green. Il 40,6% delle imprese nell’industria ha investito, valore che sale al 42,5% nella manifattura. Guardando alle performance economiche è possibile comprendere anche le ragioni che spingono le aziende a investire in prodotti e tecnologie verdi. Le società eco-investitrici sono infatti più dinamiche sui mercati esteri rispetto a quelle che non investono (il 35% delle prime prevede un aumento nelle esportazioni nel 2022 contro un più ridotto 26% di quelle che non hanno investito) percentualmente aumentano di più il fatturato (49% contro 39%) e le assunzioni (23% contro 16%).