Pronti per deglobalizzazione e friendshoring?

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Sempre più esperti ne sono convinti: la globalizzazione, per come l’abbiamo conosciuta finora, è finita. Si va verso un mondo diviso a blocchi, con conseguenze rilevanti per le catene di fornitura. La meccanica italiana è pronta al cambiamento?

Lo competizione sempre più agguerrita tra USA e Cina. Il conflitto militare in Ucraina e la conseguente spaccatura tra Russia e Paesi occidentali. La pandemia che nel 2020 ha frenato improvvisamente il commercio mondiale. Sono i fattori principali che stanno spingendo a una ristrutturazione delle catene globali di produzione, dall’energia alle materie prime agricole, con effetti a cascata su quasi tutti i prodotti. Negli ultimi 50 anni, fatta eccezione per brevi periodi come la crisi del 2008, il commercio mondiale è cresciuto costantemente. Lo dimostrano i dati della Banca Mondiale sul valore delle esportazioni di beni a livello internazionale. Le statistiche indicano che, dopo il tonfo del 2020 causato dai vari lockdown decisi in mezzo mondo, i flussi commerciali sono tornati a crescere. Eppure, secondo molti esperti, in futuro le cose sono destinate a peggiorare. Sì, perché la parola chiave è diventata deglobalizzazione. Un fenomeno di cui tutti i paesi si stanno interessando, dato che le conseguenze sarebbero enormi.

Verso la deglobalizzazione

Il parlamento dell’Unione europea ha dedicato al tema una serie di analisi, curate dai principali centri studi internazionali, a dimostrazione del fatto che la preoccupazione è comune. Ma che cos’è esattamente questa deglobalizzazione? L’Ue la riassume così sul suo sito: «Un movimento verso un mondo meno connesso, caratterizzato da stati-nazione potenti, soluzioni locali e controlli alle frontiere». Tutto questo in contrapposizione a ciò a cui, almeno in gran parte del mondo, abbiamo assistito nell’ultimo mezzo secolo: istituzioni globali, trattati di libero scambio commerciale e di libera circolazione delle persone, eliminazione dei dazi sulle merci. La deglobalizzazione comporterebbe profondi cambiamenti per tutti i settori manifatturieri. Compreso chiaramente quello della meccanica italiana, da sempre molto votato all’export. Un mondo meno connesso, con barriere sempre più stringenti per la circolazione delle merci oltreché delle persone, costringerebbe infatti le imprese a una profonda ristrutturazione: cambi di fornitori, spostamenti di sedi, variazioni dei costi.

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